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Made in Turkey, parte I


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Made in Turkey, parte I, testo e foto by Taranis. Pubblicato il 21 Maggio 2015; 53 risposte, 9079 visite.


La meta del prossimo viaggio la conosciamo da tempo. Instanbul e la Turchia sono una destinazione nei nostri desideri da qualche anno e così, quando abbiamo l'occasione di spendere un pò di ferie, non ci lasciamo sfuggire l'opportunità di una nuova avventura on the road. Programmiamo il viaggio per la fine di settembre, quando ormai le folle agostane saranno solo un lontano ricordo così come le calde ed afose giornate estive, almeno così speriamo.





LA PARTENZA: I PRIMI ASSAGGI D'ORIENTE

L'estate avanza veloce e presto arriva il giorno della partenza. Decolliamo da Bologna con le valigie piene di aspettative, qualche vestito e le macchine fotografiche pronte a scattare. Dopo gli ultimi viaggi verso nord, verso quell'Europa nuvolosa ed anche un pò dispettosa, in cui abbiamo girato sempre con la spada di Damocle del meteo che incombeva sulle nostre teste, finalmente partiamo un pò più rilassati. La latitudine, stavolta, dovrebbe giocare a nostro favore e culliamo la convinzione che finalmente non dovremmo subire particolari rovesci meteorologici. Naturalmente Istanbul sarà la nostra prima tappa.

Appena atterrati scopriamo subito che, quando si parla di Istanbul, non si parla di una città come tutte le altre. Istanbul è la città per antonomasia, come New York, Parigi, Londra, è un crocevia di popoli e di tradizioni, una città che ha fatto la storia e che la storia ha reso grande ed importante, un meta per re, conquistatori, mercanti, spie, truffatori, avventurieri ed ora anche affaristi e turisti.
Si, affaristi, perchè se avete intenzione di recarvi in Turchia liberatevi dell'idea romantica della città adagiata sulle colline che si perdono fino in Asia, della città a cavallo di due mari e di due continenti.
Istanbul non è più solo la destinazione finale dell'Orient Express, un sincretismo tra belle epoque e cultura islamica ancorata sul Bosforo. Istanbul è il cuore pulsante di una nazione in vorticosa ascesa, di un popolo che ha fretta di crescere e che spesso lo fà in maniera disordinata, un popolo che lavora e corre, anche se, non sà bene dove.
Scopriamo una nazione sempre in bilico tra modernità occidentale e tradizionalismo e nazionalismo turco, questa è la Turchia oggi; una nazione che corteggia l'occidente e, contemporaneamente, strizza l'occhio ai suoi vicini orientali. Istanbul è questo ed anche di più, è un universo in cui vari mondi collidono e si fondono in un insieme che può sembrare caotico e disordinato ed...effettivamente lo è.
Al primo impatto scopriamo una città iperattiva che non dorme mai e in questa sua sfrenata corsa verso la modernità è cresciuta a dismisura, fagocitando tutto ciò che ha incontrato nella sua folle corsa verso il ventunesimo secolo. Istanbul non è una città, è un mondo, grande, anzi di più, immensa e tentacolare, tanto da disorientare quando la si vede apparire dal finestrino dell'aereo. Noi non riusciamo a scorgerne i confini, che si perdono, sfumati tra le gialle colline orientali, verso l'Asia Minore seguendo il profilo del mar di Marmara.




Atterriamo all'ereoporto Sabiha Gokçen, nella parte asiatica della città, e per arrivare in albergo dobbiamo attraversare l'enorme periferia fino a tornare nuovamente nella parte europea della città, nel quartiere delle moschee, percorrendo circa 55 chilometri di strada. Alle cinque del pomeriggio il traffico in città potrebbe essere infernale e quindi decidiamo di fare una parte del tragitto in bus per poi imbarcarci al terminale di Kadikoy, da dove arrivano e salpano i numerosi traghetti che fanno la spola tra le due sponde del Bosforo.
"Sarà più divertente così", pensiamo, inoltre ci affascina l'idea di arrivare in città solcando le acque per entrare nel Corno d'oro, come hanno fatto per secoli i mercanti, navigando su quelle acque celebrate in mille racconti. Ci imbarchiamo, camminando controcorrente, tra pendolari che si affrettano per tornare verso casa e placidi pescatori metropolitani incuranti dal caotico flusso di persone che gli sfila alle spalle.

Il battello molla gli ormeggi quando il sole sta tramontando e le prime luci della notte iniziano ad illuminare la città. Le moschee già brillano sulle colline che si affacciano sul mare e il disordinato skyline della città che inizia a prendere vita. Trovato l'albergo, lasciamo le valigie per lanciarci immediatamente alla scoperta della città vecchia, il quartiere di Eminonu. Entriamo nella moschea blu quando i cancelli sono prossimi alla chiusura, giusto il tempo per un veloce giro e avere un breve assaggio di uno dei monumenti più importanti della città ma ci ripromettiamo di tornare l'indomani con più calma. Appena usciti,vista l'ora, ci sembra più appropriato dedicarci alle esplorazioni gastronomiche, quelle si, forse più consone al tardo pomeriggio che si sta facendo sera. Cibo, anzi Street food, come si di dice ora, perchè anche questo è Istanbul. Così ci impegniamo nell'assaggio di vari piatti tipici, sedendoci in uno tanti ristorantini presenti in una delle vie centrali vicino alle moschee. Senza remore assaggiamo un pò di tutto, per di più servito, in porzioni generose.
Seduti al tavolo ci guardiamo l'uno l'altro, probabilmente colti dallo stesso folgorante pensiero e realizziamo che quello che stiamo affrontando non sarà un viaggio ipoglicemico. Quando la notte avanza, anche quell'ora in più di fuso orario, comincia a farsi sentire e la stanchezza incosciamente conduce le nostre gambe verso l'albergo. Il primo impatto con la città è stato molto positivo.


ISTANBUL: TANTI MONDI IN UNO

La mattina, di buon'ora, siamo già pronti per ripartire ed esplorare la città.
Lunghi serpentoni di turisti in coda, sbarcati dalle navi da crociera ancorate sul Bosforo, attendono pazientemente il proprio turno per entrare nelle moschee. Così decidiamo di indirizzarci verso la cisterna basilica ed osservare questo meraviglioso capolavoro dell'ingegneria romana. Appena entrati, dopo pochi gradini, ci troviamo al cospetto di un incredibile selva di colonne che, ancora oggi, dopo decine di secoli ancora sorregge la città moderna a lungo ignara di quel tesoro custodito nel suo sottosuolo. L'impatto visivo ed emotivo è devastante e si ha la strana sensazione di toccare la storia con le mani anzi di esserci dentro. E' come trovarsi in mille mondi differenti allo stesso tempo: è un tempio, una cisterna, un progetto ingegneristico, un simbolo e una sfida, mille luoghi in uno, un vero e proprio capolavoro per i tempi in cui fu realizzata.





Ci confondiamo tra i classici gruppi di giapponesi ed europei mentre, non facciamo fatica a riconoscere le comitive dei nuovi turisti rampanti, cinesi e russi, rumorosi e diciamo così, alquanto coloriti.
Quando torniamo in superficie ci perdiamo per le strade affollate di gente indaffarata in mille traffici, tra dolci che friggono in pentoloni di olio bollente e tazze di tè e caffè fumante che viaggiano su precari vassoi come avventurosi equilibristi.
Scopriamo la torre di Galata con la sua vista panoramica sul Corno d'Oro e poi, di nuovo, giù, in una corsa senza soste, fino a piazza Taksim e gli imponenti alberi di quel Gezi Park divenuto tristemente famoso per gli scontri tra manifestanti e Polizia. L'affollata via della Repubblica ci riporta verso Galata e il suo tunnel con la funicolare che riconduce i pigri, gli stanchi ed i curiosi fino alle sponde del mare dove un piccolo mercato del pesce fa da contorno ad una selva di ristorantini improvvisati cresciuti disordinatamente sul molo. Sulla strada del ritorno, una sosta sul ponte di Galata, ci permette di osservare il sole scivolare oltre la moschea di Solimano. Gli ultimi raggi di sole ci regalano un tramonto dai colori fiammeggianti che sembrano voler incendiare tutta la città. Un cielo che vira verso tonalità rosso fuoco accompagna i nostri passi sulla strada del ritorno, mentre, passando davanti ad alcuni ristorantini veniamo nuovamente attratti dagli odori forti e speziati della cucina mediorientale. Pavidi, come solo i ghiotti sanno essere, ci arrendiamo, cedendo alle tentazioni culinarie senza nemmeno provare a combattere.




Come ho scritto in altre occasioni non sono un amante delle città ma, non posso negare che, il fascino di Istanbul è coinvolgente forse per lo stretto legame che la città ha con la storia. Osservando il mare immaginiamo caicchi e vele latine sfilare sulle acque calme e sicure del Corno d'Oro. Vascelli carichi di spezie, animali esotici e genti di tutto il mondo scambiarsi merci nel grande bazaar. Istanbul può essere una trappola, ti attrae e cattura con il rischio non lasciarti più andare.

La mattina successiva ci svegliamo con l'aria fresca dell'ovest che spazza il cielo portando nuvole che non sembrano promettere nulla di buono. Il meteo è incerto ma, reduci da mille altre peripezie metereologiche, non intendiamo farci intimidire dal primo cielo bizzoso. Ci imbarchiamo a bordo di uno dei numerosi traghetti che offre il classico tour sul Bosforo e, sfiorando le coste, passiamo sotto i due grandi ponti che congiungono l'Asia all'Europa. Durante la navigazione verso nord ovest scopriamo gli esclusivi quartieri di Besiktas che guardano, con le loro abitazioni un pò snob, quello che era l'antico villaggio di pescatori di Uskudar, sulle sponde Asiatiche del Bosforo. Un vento fastidioso inizia ad increspare la superficie del mare e in cielo, le nuvole, sembrano voler stringere ancor di più il loro abbraccio, oscurando il sole. Poi, come in una scena di un film di hitchkock, migliaia di uccelli iniziano a volare caoticamente come fossero spaventati da una forza invisibile.




In pochi istanti è tutto un precipitare di eventi. Pesanti nuvoloni si materializzano in pochissimi minuti trasportati da un vento che a tratti si trasforma in turbine. Il comandante, evidentemente preoccupato, cerca di riguadagnare velocemente la via del porto tra improvvise folate di vento che spazzano il ponte facendo volare via le sedie. Ci sono momenti di panico e tutti i passeggeri, spaventati, si accalcano, spintonandosi e gridando, per cercare di rifugiarsi sottocoperta.
Alle nostre spalle, sul Bosforo, una tromba marina nasce e fortunatamente non ha l'energia sufficiente per prendere vita mentre, il mare, sembra come attraversato da un invisibile fremito energetico. Il giorno è sparito, sopraffato dal grigio cinereo di una strana luce di una stagione indefinita.
Fortunatamente, dopo il momento critico, l'imbarcazione riesce a raggiungere il porto senza danni ma con tanto spavento per i presenti anche se, confesso, di essere rimasto, per l'ennesima volta, affascinato dall'imprevedibile ed imponderabile forza della natura.
Il vento ha abbassato le temperature e ci regala un tramonto dal sapore più nordico che orientale con una luce radente che si insinua nella coltre di nuvole illuminando tutta la città dai minareti fino al mare.




E' l'ora propizia per visitare le grandi moschee anche perchè i numerosii turisti sono, quasi del tutto spariti, obbedienti ai rigidi dettami delle compagnie da crociera, sono già sciamati verso le grandi navi ancorate nel porto, lasciandoci così il campo libero. All'interno, la vista lascia senza fiato mentre i nostri sguardi si perdono inseguendo le alte colonne sormontate dalle enormi cupole che sfidano la gravita. Questi edifici sono veri e propri capolavori dell'ingegneria che ancora oggi affrontano impunemente il trascorrere inesorabile dei secoli.
La moschea Blu ci accoglie con le sue decorazioni e le splendide vetrate, dall'alto soffitto grandi lampadari scendono fino a restare sospesi qualche metro a mezzaria sul pavimento per illuminare i fedeli e i tanti turisti presenti.
Poi di seguito visitiamo la grande moschea di Haja Sofia dove i turisti si perdono, inghiottiti, nella vastità dei suoi spazi. In una città che sorge proprio al margine di una faglia tettonica attiva e i terremoti non sono una rarità, dimostra la bontà dell'antico progetto.
Il nostro giro non è ancora terminato, di buon passo ci incamminiamo alla ricerca di un'altra moschea persa nella città, alle spalle del bazaar. Cerchiamo la moschea di Solimano che scruta e sorveglia l'accesso al Corno d'oro con i suoi marmi bianchi la rendono visibile fin da lontano mentre troneggia, dall'alto di un colle, sull'intera città vecchia.


Quando scende la sera, dopo aver immaginato antichi navigatori, decidiamo di sperimentare il modo moderno di viaggiare e con tanta curiosità ci avventuriamo nelle gallerie del nuovo progetto Marmaris.




Un lungo tunnel sottomarino, inaugurato nel 2013, collega le due parti della città, Sultanamhet con Uskudar, l'Europa e l'Asia. Finalmente i due continenti sono uniti dal ferro, non delle spade ma della ferrovia. Marmaris è l'idea di una nuova, grande rete metropolitana in grado di connettere le due anime della città, passando sessanta metri sotto il mare. Camminiamo in corridoi deserti, accompagnati dal sinistro echeggiare dei nostri passi; siamo soli. Sulla banchina ci raggiungono pochi altri sparuti passeggeri che, probabilmente, fanno rientro a casa. Arriva un convoglio, moderno, comodo e silenzioso che in meno di tre minuti ci proietta dall'altra parte.
Una grande opera, un nuovo modo di spostarsi, una rivoluzione per una città che a furia di crescere rischia di finire soffocata dal traffico. Un gigante di argilla che sarebbe potuto crollare sotto il proprio stesso peso.
Una volta in Asia, ci concediamo una passeggiata sul lungomare osservando lo sfavillante skyline della moderna Istanbul, che fa da contraltare alle linee medioevali della Torre di Leandro, silente testimone di mille battaglie.
Prima però, che la notte avanzi oltre, facciamo ritorno in Europa, prendendo una delle ultime corse della metropolitana. Attardarsi oltre avrebbe potuto significare rimanere bloccati in Asia, a meno di non prendere una costosa corsa in taxi.


IL TUZ GOLU: LO SPECCHIO DEL CIELO

Il giorno successivo è tempo di salutare Istanbul, ci aspetta un'auto noleggiata con tanta fatica e parecchia strada verso gli altopiani Anatolici e la Cappadocia. Sfioriamo Ankara con la sua giungla di palazzi in corsa verso il cielo e proseguiamo fino a costeggiare il Tuz Golu, il grande lago salato, che raggiungiamo sul fare della sera. La distesa bianca si trova proprio accanto alla superstrada, che dalla capitale si spinge verso sud, verso Antalya e il mediterraneo e si perde a vista d'occhio fino all'orizzonte.
Verso occidente il cielo comincia a rosseggiare, così decidiamo di fermarci per curiosare un pò.




Un panorama bianco, piatto ed uniforme scricchiola sotto le nostre scarpe man mano che i nostri passi ci conducono verso l'interno, lontano dalle sponde, di un lago ormai senza più acqua.




Pochi sparuti turisti se ne stanno ai margini, sulle rive, tra il sale sporco e le tracce ancora evidenti di pneumatici. Non capiamo il motivo del perchè nessuno si avventuri oltre, alla scoperta di un luogo così alieno. Basterebbe poco, basterebbe spingersi un pò più avanti, dove il silenzio e la desolazione diventano sovrani assoluti.
Così, in compagnia degli ultimi raggi di sole che tingono la distesa del blu della notte rimaniamo ad osservare l'orizzonte e le calde tonalità della sera che uniscono cielo e sale in un sfondo unico.

Al mattino il Tuz Golu si veste di un manto nuovo, completamente diverso. Se la sera riflette i colori del tramonto prima di sprofondare nel silenzio della notte, il giorno indossa un abbagliante abito bianco.




In mezzo alla distesa, dispersi in tutto quel nulla, a quel bianco cangiante che offusca e stordisce la mente, i pensieri vengo scaraventati nelle geometrie astratte di un mondo immaginario dove infinte rette si rincorrono e si proiettano verso lo sconfinato orizzonte, verso quei lontanissimi punti di fuga dove il bianco e l'azzurro si abbracciano.
Con il sole alto nel cielo sarebbe impossibile resistere senza gli occhiali. Di giorno, il lago, superbo, dopo qualche minuto, ci costringe ad abbassare lo sguardo.

Così , con il viso arso dal sole e con il sale che ci brucia la pelle, come fosse colpito da una pioggia di minuscoli aghi ipodermici, torniamo alla realtà, ricordandoci che dobbiamo ripartire alla volta della nostra prossima meta.
Una volta in macchina riprendiamo a percorrere la dritta superstrada che costeggia il lago. La strada punta verso sud, dritta coma una lancia. In lontananza una foschia nasconde alla vista le terre basse ma non riesce a celare il cono dell'Hasan Dagi che troneggia, quieto e solitario. Poco più a sud, appena visibile, il profilo più tozzo del vulcano gemello sfuma verso un orizzonte incerto e confuso.


CAPPADOCIA, L'ALTRO MONDO

Ad Aksaray svoltiamo in direzione del Goreme milli parki ed intuiamo di essere quasi giunti alla meta quando nel mezzo dal profilo piatto dell'altopiano emerge solitario il "castello" di Uchisar, un bastione di tufo che sorveglia tutto il circondario, prima che la scarpata precipiti verso la valle. Come un faro, il castello ci indica la strada, indirizzandoci verso l'entrata, verso la porta della Cappadocia. Uchisar è un monolito crivellato di stanze e gallerie, tutte collegate, quasi fosse un gigantesco termitaio. Un luogo ancora abitato fino a qualche decennio fà, con le sue abitazioni troglodite e con tutta un'umanità agreste che nè faceva quasi una struttura organica, una cosa viva. Come fosse un grosso scoglio, circunavighiamo Uchisar. Goreme è poco oltre, al termine di una discesa che in poche curve ci conduce verso il basso fino al fondovalle. Al Goreme panorama non possiamo non fermare la macchina e scendere, abbiamo bisogno di una pausa per pensare e respirare un pò. Quello che si presenta alla nostra vista è qualcosa di indescrivibile e che necessità di alcuni momenti per essere affrontato.
Dall'alto, il nostro sguardo spazia sopra il paese, fino alla Red ed alla Rose valley.




Buttare lo sguardo sulla valle è come essere colpiti da un pugno nello stomaco. Ci guardiamo increduli e poi torniamo ad ammirare lo spettacolo che si distende davanti ai nostri occhi.
In lontananza, possiamo scorgere il responsabile di questo paesaggio alieno, l'Ercyes Dagi che dall'alto dei suoi quasi quattromila metri ancora imbiancati dalla neve, sorveglia vanesio e soddisfatto il nostro stupore al cospetto della sua grande opera. Dopo settecento chilometri finalmente siamo riusciti ad arrivare in Cappadocia, così risaliamo in macchina per coprire quegli ultimi chilometri e lasciare tutto in albergo prima di lanciarci alla scoperta di questo strano angolo di mondo.
Arrivati a Goreme è difficile perdere l'orientamento, il paese è poco più di un grosso incrocio stradale, divenuto paese, anzi attrazione turistica negli ultimi anni. In cinque minuti siamo in albergo per prendere possesso della nostra stanza. L'albergo offre una bella vista sul paese e la nostra stanza è grande, bella ed accogliente, lasciamo le valigie e dopo aver fatto il check-in siamo già fuori, non abbiamo intenzione di perdere tempo e in preda ad una sorta di frenesia ci lanciamo su per le strette stradine che si arrampicano per il paese e le colline circostanti. La visione dall'alto lascia senza parole, il panorama sembra essere uscito direttamente dalla fervida mente di uno scrittore di fantascienza.
Come in Scozia, anche qui l'abbigliamento da trekking la fà da padrone e con scarpe comode, tanta buona volontà ed un cappello ci mettiamo in marcia ed iniziamo a inoltrarci nella Pigeon Valley, una delle molte che da Goreme si diramano in tutte le direzioni. Camini e pinnacoli di morbida cenere vulcanica si innalzano ovunque, emergendo, come razzi sulle rampe di lancio, in mezzo a frutteti e vigneti purtroppo già svuotati dal raccolto già avvenuto.




Seguiamo un sentiero, uno dei tanti che come rivoli risalgono la valle, tutto intorno il terreno varia in continuazione, sia nei colori che nelle forme, quasi stessimo osservando un panorama ideato e scolpito da Gaudì. Come un'opera d'arte del maestro catalano, il paesaggio è dominato dalla sinuosa grazia di infinte linee curve che si rincorrono quasi fino ad accavallarsi e confondersi in un tripudio geometrico di matrice gaussiana. Raggiungiamo il Goreme panorama e da qui ci dirigiamo verso la White valley. Cavalchiamo i sentieri come fossimo su un ottovolante: scivoli, curve, gallerie e poi risalite prima di finire in un comodo sentiero che attraversa bassi vigneti. Il sole morente ci annuncia l'approssimarsi del tramonto e una fame tremenda annulla i nostri freni inibitori così, quando troviamo alcuni grappoli d'uva scampati alla vendemmia, non ci facciamo troppi scrupoli nel coglierli e mangiarli.
Seguendo la White valley finiamo nella valle dell'Amore e subito intuiamo il perchè di tale nome. Grossi pinnacoli di cenere sormontati da cappelli di pietra più dura si ergono a gruppi, o solitari, in ogni direzione. Anche essendo dotati di poca fantasia si intuisce immediatamente il facile accostamento tra le curiose formazione geologiche e un particolare anatomico prettamente maschile. Ogni passo rivela una nuova scoperta, ogni svolta rivela una novità. Questa è la Cappadocia, uno scrigno di tesori a cielo aperto. Torniamo in albergo quando il tramonto ha ormai lasciato il passo alla sera, stanchi, affamati ed impolverati, abbiamo solo il tempo di una doccia ristoratrice e sprofondiamo nel grande letto, addormentadoci immediatamente.


L'ARTE DEL VOLO

Ci svegliamo quando il mattino deve ancora arrivare e, stranamente, riusciamo persino ad anticipare il canto del muezzin pronto ad intonare il canto dall'alto del minareto proprio di fronte alle finestre dell'albergo. Nel buio di una notte che si sta facendo mattino, osserviamo le prime mongolfiere sollevarsi tutte intorno.




Dapprima è solo qualche pallone isolato che si illumina nella notte quando il pilota apre la manetta del gas, poi, il cielo si riempie di decine di palloni che, silenziosi, sembrano andare alla ricerca dei primi raggi di sole.




Anche noi siamo in trepidante attesa di decollare, il personale dell'albergo è riuscito a trovarci gli due ultimi posti su un pallone ad un prezzo scontato. E' inutile nascondere che siamo emozionati, quasi fossimo pionieri del volo, non abbiamo mai volato su un pallone aereostatico.
Purtroppo la nostra partenza ritarda, così l'alba svanisce e con essa la sua luce eterea ed avvolgente. E' un vero peccato che ci fà quasi balenare l'idea di rinunciare al decollo per, magari, riprovare l'indomani. Alla fine decidiamo di partire, nonostante il sole ormai abbia fatto capolino da quasi un'ora, e, nonostante siano all'ultimo giorno di permanenza, alcuni canadesi decidono di rinunciare. Proviamo a protestare e dopo qualche discussione finalmente arriva anche il nostro turno. Silenziosamente il nostro pallone si stacca dal suolo e in un attimo svaniscono tutti i dubbi e i borbottii. Il cielo è solcato da decine e decine di mongolfiere che sembrano danzare e rincorrersi al ritmo di invisibili correnti ascensionali mentre l'aria fredda del mattino viene scaldata dai raggi di sole che si fanno sempre più caldi. Ci libriamo sulle ali del vento, leggeri, ascoltando le descrizioni del nostro pilota, una simpatica ragazza turca che ci indica le particolarità geografiche del paesaggio circostante.

Un volo in mongolfiera non può non entusiasmare, si galleggia letteralmente nell'aria in un silenzio irreale, ad oggi non ho ancora termini di paragone. In lontananza spunta il castello di Uchisar e, quasi all'orizzonte oltre la foschia del mattino, emerge il cono altero e solitario del Ercyes Dagi. Dall'alto sembra di poter toccare con le dita il disegno onirico delle valli che circondano Goreme. E' spettacolo allo stato puro che ci lascia continuamente senza parole.




La bellezza della natura riesce a sorprenderci sempre oltre le nostre aspettative. I minuti scorrono via velocemente mentre ci solleviamo a qualche centinaio di metri dal suolo e le altre mongolfiere atterrano lasciandoci come unici attori sul palcoscenico. Sorvoliamo la valle dell'Amore sfiorando i suoi curiosi pinnacoli e più in là, scivolando sulle vigne e i campi coltivati, atterriamo. Un bicchiere di spumante locale e un certificato di volo sugellano questa bella esperienza e poco dopo siamo nuovamente in marcia alla scoperta dell'Open Air Museum. Il museo di Goreme è in una stretta valle dove si insediarono i primi evangelizzatori cristiani giunti nella zona e che, probabilmente, cercavano riparo dalle persecuzioni che stavano subendo sotto la dominazione dell'impero Romano. Questi primi colonizzatori scavarono con maestria la tenera roccia, costruendo una fitta rete di monasteri ed abitazioni sotterranee che, in seguito, affrescarono con il classico stile bizantino. Il posto è bello ma, ahime, affollatissimo di turisti che si accalcano e distrattamente sfilano senza prestare la dovuta attenzione alle numerose opere d'arte paleocristiana.
Paragonato all'estasi del volo in mongolfiera, questa visita è un accostamente che stona e quindi ci allontaniamo, prendendo uno dei numerosi sentieri e ci avventuriamo alla scoperta della Rose Valley.




Anche lontano dall'Open Museum scopriamo ed esploriamo numerose abitazioni troglodite rendendoci conto che, in realtà, la Cappadocia è un unico, continuo, susseguirsi di cunicoli e stanze sotteranee scavate nel corso dei secoli. Ci troviamo al cospetto di un'intera città in cui gli abitanti hanno sfruttato il materiale più abbondante e facilmente lavorabile: il terreno. Risaliamo la Rose Valley con le pareti che si fanno sempre più incombenti ed arriviamo in alto per sbucare nella Red Valley. Il panorama è in continua mutazione, ora i colori si sono fatti più intensi ed accese sfumature color rosso si susseguono nella stratigrafia. Dall'alto della Red Valley il paesaggio è un complicato intrigo di pinnacoli e canion e se non sapessi di essere in uno sperduto angolo dell'altopiano Anatolico potrei pensare di essere finito su un mondo alieno. Scendiamo verso valle e da qui raggiungiamo il piccolo villaggio di Cavusin con la sua imponente rocca, in parte crollata ed in parte, sfidando la gravità, ancora orgogliosamente aggrappata alla montagna.




Sembra di osservare la sezione di un gigantesco formicaio. Stanze e cunicoli terminano nel vuoto affacciandosi su un baratro dove si possono vedere enormi massi di quelle che furono antiche volte ormai crollate. L'entrata di una chiesa galleggia a mezzaria e, per raggiungerla, mi devo arrampicare in maniera un pò avventurosa. La chiesa, ad unica navata, è un grande ambiente e il sole, che sta ormai tramontando, illumina con i suoi raggi la nicchia dove forse anticamente era alloggiata una croce.




Esploro il luogo ancora un pò, spingendomi fin dove la mia prudenza e il mio istinto di autoconservazione ritengono sia giusto, poi ridiscendo e raggiungo la mia ragazza che non se l'è sentita di arrampicarsi fin quassù. Tornati in paese chiamiamo un taxi per raggiungere un punto panoramico, da dove, vogliamo osservare il tramonto. Ci arrampichiamo un pò e trovato uno piccolo spiazzo attendiamo che il sole scenda verso occidente quando all'improvviso vediamo decine di mongolfiere decollare proprio sul far della sera.




Scattiamo un pò di foto, approfittando della calda luce del tramonto, e quando la sera guadagna terreno ci rifugiamo in un piccolo ristorante per gustare qualche piatto locale, non prima però di aver visitato Ortahisar e il suo castello scavato nel tufo.




Viaggiare in due significa anche approvare e talvolta sopportare uno le piccole idiosincrasie dell'altro, così quando Martinica mi sveglia all'alba per fotografare il volo delle mongolfiere non posso che apprezzare il lodevole gesto, specie se fatto da una che ama crogiolarsi nel tepore delle coperte calde.

Così anche questa mattina anticipiamo il muezzin e ci portiamo su una piccola collina da dove potremo osservare anche le fasi di decollo dei palloni. Da numerosi pulmann scendono i tanti turisti giunti da tutta la Turchia per fare un giro in mongolfiera. E' il momento dei turisti mordi e fuggi che in una sola giornata voleranno, esploreranno ed infine abbandoneranno questa terra meravigliosa. In tutta coscienza, anche rispettando le diversità di visione degli altri non posso trovarmi d'accordo con questo turismo da corsa. Non si può avere tutto, subito e senza fatica...questo modo di fare turismo non fà decisamente per noi.
C'è un gran fermento, qualche clacson che risuona nel mattino e il rumore dei bruciatori intenti a gonfiare i palloni mentre un vento secco spira da nord, fortunatamente siamo preparati e ben coperti.




L'alba tinge la Cappadocia di un tenue colore viola che, man mano, si fà sempre più intenso. Il cielo, però, rimane deserto. I palloni, che avevano iniziato a gonfiarsi, si afflosciano e nuovamente si adagiano sul terreno come pugili messi al tappeto. C'è agitazione, la torre di controllo non ha concesso l'autorizzazione al decollo: troppo vento, quell'esile soffio di vento che spira, rende non consigliabile il decollo. Pur nella loro maestosità, le mongolfiere devono sottostare alle bizze del meteo e rispettare il respiro della terra.
In simili condizioni viene giudicato troppo alto il rischio per i palloni di essere sballottati in aria, rischiando pericolose collisioni.




Dopo alcuni attimi di incertezza e qualche protesta tutti devono riporre i sogni nel cassetto, per l'intera giornata non si volerà. Solo allora capiamo quanto siamo stati fortunati ad essere stati inseriti in uno degli ultimi voli; le previsioni, come ci avevano annunciato, davano il meteo in peggioramento e il venerdì sarebbe stata l'ultima finestra disponibile al volo per diversi giorni.




Ecco così spiegato anche l'imprevisto volo serale, l'ultimo prima delle condizioni meteo sfavorevoli. Purtroppo, per noi, i mancati decolli fanno sfumare anche la possibilità di altri scatti, una delusione che è comunque minima rispetto a quella avuta da chi ha fatto centinaia di chilometri per rimanere con un pugno di mosche in mano. Riponiamo l'attrezzatura con la consapevolezza di essere stati baciati dalla fortuna cosa che sicuramente non potrà dire il gruppo di cinesi che voleva effettuare un workshop fotografico per riprendere il volo delle mongolfiere. In questi casi è una fortuna non sapere le lingue.

Visto l'imprevisto cerchiamo di riprogrammare la giornata e così puntiamo verso Uchisar. In macchina risaliamo la valle, parcheggiamo nella piazza del paese ed entriamo nel reticolo di tunnel che si inoltrano nel castello. A questo punto mi sembra doveroso spiegare che, quando si parla di castello, non lo si fà riferendosi ad una costruzione nel senso classico del termine, in realtà si tratta di uno sperone roccioso più compatto che ha resistito all'erosione e alle ingiurie del tempo in misura maggiore rispetto al terreno circostante.
Proprio in questi luoghi, che dominavano le valli circostanti, le antiche popolazioni costruirono i loro edifici più importanti. Castelli, in senso lato dunque, erano comunque punti di riferimento per gli abitanti, posti da cui potevano sorvegliare e difendere il loro territorio dalle incursioni dei predoni.




Corridoi, cunicoli e scale ci conducono sulla sommità della rocca, da dove, la vista può spaziare a trecentosessanta gradi su tutta la regione, da Neveshir fino ad Avanos ed oltre. Sul punto più alto, l'onnipresente bandiera turca sventola tesa dal vento, che quassù non è più una semplice brezza che rende difficile persino parlarsi l'un l'altro.




Ora capiamo il diniego delle autorità a far decollare le mongolfiere, in una situazione del genere, la sicurezza dei voli sarebbe stata sicuramente pregiudicata e, a prescindere dalle proteste e dai mugugni, riteniamo sia stata la scelta migliore. Dall'alto osserviamo una sottile striscia di nubi che man mano si fà più scura e minacciosa e quando il vento si fà troppo intenso decidiamo di ridiscendere e raggiungere la macchina per dirigerci a Pasabag e di lì a Zelve.
Percorriamo solo qualche chilometro e, nonostante il processo geologico che ha modellato questa regione sia sempre lo stesso, il paesaggio assume sfumature differenti. Da questo lato della montagna le ceneri vulcaniche sembrano essere più compatte e ciò ha reso possibile la creazione di pinnacoli dalle dimensioni maggiori. Pasabag è una sorta di giardino in cui si ergono giganteschi funghi di pietra. Ci infiliamo in piccoli tunnel ed entriamo in una grotta arrampicandoci su consunti gradini. Purtroppo lo stretto cunicolo non conduce da nessuna parte e così ci troviamo a dover ridiscendere i gradini a ritroso senza aver nessun appiglio per le mani. Trattasi di una furbata che potevamo tranquillamente evitare, vista la difficoltà di tornare sui nostri passi.


ZELVE: L'INCANTESIMO DI PIETRA

Abbandoniamo Pasabag per spostarci verso l'ultima tappa della giornata che riserviamo a Zelve. La Cappadocia toglie il respiro e non concede pause, così quando pensiamo di aver raggiunto il massimo della magnificenza, davanti ai nostri occhi si aprono scorci che riescono a farti dimenticare quanto visto finora.
Lo Zelve open air museum non sfugge a questa regola. La strada termina dove una stretta valle si incunea sotto le pendici della montagna. Tutto intorno mani di antichi uomini hanno plasmato ogni singola roccia e abbiamo la sensazione di trovarci in una città pietrificata, immobile e sospesa nel tempo.
Ogni singola pietra, parete e angolo sono stati lavorati e modellati con saggezza e maestria da uomini che cercavano riparo in queste valli forse dimenticate dal resto dagli uomini.




Purtroppo le pesanti nuvole che avevamo visto dalla sommità del castello oscurano il sole ed iniziano a rovesciare il loro carico di pioggia. Fortunatamente riusciamo a trovare riparo in una delle numerose abitazioni mentre un forte vento ruggisce attraverso i tunnel alzando turbini di polvere. La pioggia battente, velocemente come è arrivata, si allontana verso est.




I raggi di sole, sqaurciando le nuvole, rischiarano il resto della nostra escursione. Zelve è un posto fantastico, a metà strada tra il villaggio di Tatooine di Star Wars e il pianeta Marte di Edgar Rice Burroughs, una valle aliena in piena Anatolia. Grandi caverne artificali dalle volte semisferiche fanno da contorno a tunnel che attraversano uno sperone di roccia che divide la valle in due settori distinti. Un labirinto tridimensionale anticamente interconnesso da funi, scale a pioli e corridoi, con grandi ruote di pietra usate per bloccare l'accesso in caso di visite da parte di "ospiti indesiderati".
Zelve e tutta la Cappadocia, sono un mondo strano, bizzarro, che sembra essere stato plasmato seguendo le regole di una geometria differente, un mondo di fattura Lobacevskiana, frutto di ingegneri con il mito di Escher. Si entra, ci si arrampica su strette ed improbabili scale a chiocciola, ci si affaccia nel vuoto attraversando consunti archi in pietra, per finire in stanze che terminano su baratri di decine di metri. Tutta la Cappadocia è un monumento al tempo che passa, un omaggio all'entropia, al divenire che avanza inesorabile verso il disordine.
Enormi massi giacciono sul fondovalle, mentre alcune transenne impediscono il passaggio dove, il fragile tufo, cedendo al passare del tempo non ha più la forza per opporsi alla gravità.
L'opera maestosa e incessante dei piccoli umani ha facilitato questo lento ma inesorabile sfacello, minando la montagna fin dalla base. Gli antichi abitanti, come fossero operosi tarli, hanno intaccato le fondamenta di queste fragili montagne; la morbida cenere vulcanica non ha la struttura e l'orgoglio per sfidare il tempo, non è nella sua natura. Per questo motivo, per questo peccato originale, tutta la Cappadocia è un capolavoro effimero che non riuscirà ad opporsi per molto tempo all'incessante trascorrere dei millenni. Un giorno, in futuro, tutto tornerà ad essere polvere, come quella cenere da cui tutto ha avuto inizio. Questa è Zelve, l'essenza stessa di questa terra, il simbolo ultimo di un mondo morente che, pezzo dopo pezzo, si sta sgretolando. Gli elementi continuano a scavare e a trasformare e noi non possiamo che osservare il lento, inesorabile disfacimento di questo capolavoro dell'architettura troglodita, un luogo fantastico fuori dal mondo, fuori dal nostro mondo.
Lasciamo l'inverosimile panorama di Zelve con gli occhi pieni di meraviglia e la pancia piena di buonissimi Gozleme, un sfoglia ripiena di patate e spinaci o formaggio, una specie di piadina in salsa turca e rientriamo in albergo soddisfatti della memorabile giornata appena trascorsa.


DERINKUYU: STRANI MONDI IPOGEI

Il giorno successivo salutiamo la Cappadocia per dirigerci verso una delle città sotterranee, verso il paese di Derinkuyu e la valle di Ilhara. Abbandonare la Cappadocia è, in verità, un dispiacere ma la nostra tabella di marcia non ci consente troppe pause, da qui in avanti ci aspettano le scoperte di altri, strani, mondi ipogei.
Derinkuyu nell'antica lingua anatolica significa pozzo profondo e mai nome sembra corrispondere alla reale natura di un luogo. Ci mettiamo in coda con altri visitatori e quando arriva il nostro turno ci infiliamo in una stretta scala scavata nel tufo che si avvita nel sottosuolo. Inizia così una nuova avventura nel sottosuolo.

Evitate Derinkuyu se soffrite di claustrofobia. Questo potrebbe essere l'unico motivo valido per non esplorare questo luogo, altrimenti non avreste scuse per evitare la visita.




La città sotterranea si estende per diversi ettari sotto la superficie, scende nel ventre della terra, ramificandosi sotto il paese moderno. Alcuni fantasticano di tunnel che si diramano in tutte le direzioni, giungendo persino a connettersi con le numerose altre città sotterranee presenti nella zona. Ascoltiamo un nebuloso mix di favole, mitologia e fantascienza ma comunque ci rendiamo immediatamente conto di essere entrati in una sorta mondo capovolto, sottosopra, speculare a quello di superficie, una dimensione alternativa e complementare al mondo di sopra. Nei cunicoli e nelle sale non manca nulla, ogni spazio è organizzato in maniera scientifica. La città al massimo della capienza avrebbe potuto ospitare circa ventimila persone per un periodo di tempo abbastanza lungo. Una volta sigillati gli ingressi, l'autonomia era garantita dai profondi pozzi di ventilazione che ancora rendono possibile la perfetta aereazione di questo mondo all'apparenza claustrofobico. Ci sono stalle per il bestiame, forni, pozzi per l'aqua, magazzini, alloggi, stanze per le guardie, cucine, sale mensa e templi per il culto delle divinità. Tutto è perfettamente organizzato come se gli antichi abitanti si fossero preparati in un'astronave in rotta verso l'infinito anzi, in una grande arca arenata sulla terra.
Probabilmente i nemici da cui nascondersi e proteggersi erano spietati e la facilità di scavare rese possibile la costruzione di queste strutture bizzarre. Sulle pareti ancora si possono osservare i segni degli scalpelli e degli attrezzi usati per aprirsi la strada verso il ventre della terra. Stretti cunicoli ci conducono verso il fondo della città, verso i templi ospitati nei più reconditi anfratti della madre terra. I punti più profondi giungono fino ad ottanta metri sotto il livello del suolo. Oltre sarebbe stato impensabile andare per la presenza delle falde acquifere che hanno avrebbero reso impossibile scavare ancora più in profondità. Giungiamo così nel punto più profondo a cui possono accedere i visitatori ed anche qui, così lontano dalla luce del sole, i pozzi di aereazione garantiscono un ricircolo dell'aria che possiamo ancora chiaramente percepire.




Mille considerazioni scorrono nella mia testa e la mia mente razionale fa, comunque, fatica ad immaginare migliaia di persone stipate in spazi così angusti e limitati, forse siamo troppo distanti temporalmente per comprendere quale paura atavica abbia spinto degli uomini a nascondersi fin quaggiù. La paura è una motivazione potente che ancora oggi spinge gli uomini a lottare contro avversità fuori portata.
Gli spazi ridotti sono comunque un fattore determinante ed anche durante la nostra visita alcuni dei visitatori presenti accusano dei disagi, la claustrofobia, infatti, è un nemico sempre in agguato anche perchè i cunicoli di collegamento tra i vari livelli sono stati, volutamente, costruiti in modo da risultare estremamente angusti per rendere difficoltoso l'accesso ai nemici tanto che in alcuni tratti siamo costretti a camminare carponi per evitare di dare delle sonore testate al soffitto.
Tutti gli spazi ed ogni particolare è stato concepito in chiave difensiva, quella che chiamano città sotterranea dà l'impressione di essere un'unica, gigantesca fortezza difensiva. Un baluardo inespugnabile contro un nemico che questi uomini hanno scavato nelle viscere della terra spinti da una paura feroce ed ancestrale.
Alcuni studiosi, più arditi e fantasiosi, hanno ipotizzato che la funzione di questi labirinti sotterranei fosse quella di difendere le popolazioni da invasori extraterrestri o servisse come rifugio durante un'antica era glaciale ma forse, più semplicemente, erano utilizzate per difendersi dalle scorribande delle tribù nomadi degli sciiti ed avevano la funzione di rifugi temporanei, un pò la funzione che avevano quelli antiaerei costruiti in Europa ai tempi della seconda guerra mondiale.

Mettendo da parte le leggende e le curiosità, scoprire questa Turchia è stato come entrare in una terra dalla doppia identità, schizofrenica ed esagerata, con una dimensione alla luce del sole e una parte nascosta, esoterica, più oscura e sfuggente.Viaggiamo alla scoperta di una terra di ombre, di profondità recondite e segrete, di passaggi che prendono direzioni impossibili e non convenzionali.

Alla ricerca di altre dimensioni Turche, riprendiamo la marcia alla scoperta di questo paese, virando verso occidente, dove altri monaci scavarono chiese nei fianchi cedevoli di una gola incisa dal corso di un fiume. Così, attraversando l'altopiano anatolico, ci dirigiamo verso la valle di Ihlara, la nostra prossima meta.

La seconda parte dell'articolo sarà prossimamente!


Stefano Chiorri scrive di sè: "Sono nato a Roma, cresciuto in Abruzzo ma da diversi anni vivo a Bologna dove, con l'avvento del digitale, mi sono riavvicinato alla fotografia, una vecchia passione di famiglia. Ritrovare la fotografia è stato come riscoprire un vecchio amore che ha avuto il merito di trasformare il modo che avevo di osservare il mondo, quasi mi avesse dato occhi nuovi. Sono curioso da sempre, appassionato di scienze naturali, storia, viaggi e montagne, con la fotografia ho cercato di unire tutte queste passioni per "affinare" la mia visione del mondo. Camminando, viaggiando ed osservando il mondo cerco sempre di catturare l'essenza dei luoghi che visito, provando a trasmettere la mia personale visione del mondo. Riuscirci è tutto un altro discorso. Per altri scatti vi invito sul mio sito, ancora in fase di sviluppo per critiche e consigli: www.stefanochiorri.com/wordpress/ "



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avatarsenior
inviato il 21 Maggio 2015 ore 19:43

Straordinario reportage e foto stupende!
Molti complimenti
CiskaEeeek!!!

avatarsenior
inviato il 21 Maggio 2015 ore 19:45

Grazie mille ciska per l'apprezzamento.
La turchia offre mille scorci fantastici dai colori molto forti....un paese fotograficamente molto coinvolgente!
Stefano

avatarsenior
inviato il 21 Maggio 2015 ore 19:57

Meravigliose foto, racconto appassionato, non vedo l'ora di leggere la seconda parte.
Sono stato in Cappadocia, ma ahimè avevo a quei tempi una Nikon a pellicola. Bravissimo

avatarsupporter
inviato il 21 Maggio 2015 ore 20:38

Racconto a dir poco coinvolgente: mi hai "teletrasportata"MrGreen letteralmente in questo mondo fantastico. Grazie anche per le "briciole" di storia che hai inserito in maniera interessante. Le foto sono semplicemente spettacolari, mi ha colpito molto quella con le mongolfiere illuminate nel cielo ancora buio (non so perchè ma mi piace tanto). Attendo con ansia la seconda parteSorriso ciao Tiziana

avatarsenior
inviato il 21 Maggio 2015 ore 21:19

Grazie Editore per il passaggio.
Ero curioso anche io di visitare la Cappadocia...e il viaggio non ha smentito le mie aspettative. Logo magico e ti capisco quando parli di avere un rammarico "fotografico"...io sono stato due mesi in sudamerica e mi sono perso miliardi di bellissime foto per incapacità ed mancanza di corredo...ma consoliamoci dicendo che le foto più belle sono quelle che dovremo fare.
Stefano

avatarsenior
inviato il 21 Maggio 2015 ore 21:23

Contento ti siano piaciute le foto Tiziana.
Effettivamente all'alba con le mongolfiere illuminate dalle fiamme del gas si crea un'atmosfera suggestiva. Sembra di vedere decine di lanterne che si accendono e spengono alternativamente.
Sulla seconda parte ci sto lavorando...anche perchè inizialmente il pezzo era nato come articolo singolo poi mi sono fatto prendere la mano ed alla fine non si sono stato più dentro....lo devo modificare ed inserire qualche brano. CIimpieghjerò qualche giorno.
Grazie del passaggio
Stefano

avatarsenior
inviato il 21 Maggio 2015 ore 21:39

Ad fata roba Eeeek!!!
Ho guardato le immagini, tutte stupende. Poi mi leggo il tutto con calma. Sorriso

avatarsenior
inviato il 21 Maggio 2015 ore 22:05

Con molta calma...mi sono dilungato un pò!Sorry
SorrySorry
E' l'entusiasmo del dilettante!
Stefano

avatarjunior
inviato il 22 Maggio 2015 ore 0:05

Foto meravigliose, degne di una monografia.

avatarjunior
inviato il 22 Maggio 2015 ore 7:07

solo complimenti per un racconto stupendo corredato da foto al top.
Tanta sana invidia da parte mia, bravi!
Giuseppe

avatarsenior
inviato il 22 Maggio 2015 ore 7:10

@Poalpina....qualcosa di personale lo farò giusto per avere qualcosa di stampato da sfogliare di tanto in tanto.
SOno contento ti sia piaciuto
Stefano

avatarsenior
inviato il 22 Maggio 2015 ore 7:20

Grazie condorg per l'apprezzamento.
Ad avere un pò di tempo (neanchè tanto)..la Turchia non è un viaggio costoso....se ci si organizza con un pò di attenzione si riesce a fare tanto con poco.
Certo il volo in mongolfiera non costa poco ma se posso dire ne vale sicuramente la pena.
Stefano

avatarjunior
inviato il 22 Maggio 2015 ore 7:34

Finalmente il tuo reportageMrGreen ero curioso di leggere le tue emozioni su questo viaggio, tra l'altro le hai corredate da belle immagini ..... immagini che fanno venire il desiderio di andarci al "volo".
La Cappadocia mi manca e leggendo/vedendo le notizie sulla regione mi chiedo il perchè non ho allungato di qualche gg la mia permanenza in turchia per arrivarci Confuso(il perchè lo so: finite le ferieMrGreen).

La Turchia ha dei panorami favolosi , ai primi di maggio l'ho sorvolata da est verso ovest, dal lago di Van alla costa del mar Nero ed ho avuto la fortuna di trovare poche nuvole tra il "finestrino " e la "terra".

complimenti ancora ;-)

avatarsenior
inviato il 22 Maggio 2015 ore 10:20

Hai ragione copie sui panorami bellissimi.
A me invece sarebbe piaciuto andate più a est.... Zone montuose del Kurdistan fino a van e all'ararat....ma come dici tu... Ferie finite.
Contento tu l'abbia atteso e gradito.
Stefano

avatarsenior
inviato il 22 Maggio 2015 ore 10:54

Un viaggio bellissimo, reportage interessantissimo ed intenso.;-)





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