IL MESSAGGIO DI MONSIGNOR SATRIANO, ARCIVESCOVO BARI-BITONTO

La pienezza del tempo. All'inizio pensavo che San Paolo, nello scrivere ai Galati, volesse indicare le circostanze ideali, il tempo opportuno. Certo, Dio - se è Dio - sa realizzare sapientemente i suoi progetti. E invece no… Il fatto, l’evento, ha una portata unica. Tutto viene riempito di pienezza.

Il fluire transitorio e irreversibile delle albe e dei tramonti umani trova pienezza in questo evento. Sappiamo come ogni vicenda umana è transitoria, non torna più, e questo ne fa la sua preziosità ma anche la sua debolezza. Ogni istante è unico, e la bellezza della vita è anche la sua tristezza.

La frase di San Paolo andrebbe capovolta: «Quando Dio mandò il suo Figlio, nato da donna... fu la pienezza del tempo!». Ne nasce una visione nuova: il mondo cessa di essere quell’«atomo opaco del male» di pascoliana memoria, per divenire un luogo dove il bene torna ancora a nascere. Tutto quello che viviamo, che respiriamo, non scorre più a vuoto se vissuto con l’Amore che in Gesù ci è donato.

Il Natale viene a restituirci la consapevolezza che il bene ha bisogno di tempo, e che il nostro tempo, se disteso e orientato al bene, prende la consistenza dell’eternità.

Viviamo come se non ci fosse mai abbastanza tempo per vivere, in apnea, succubi di una logica consumistica di un tempo che, per essere vissuto pienamente, impone continue accelerazioni. Accelerare sembra essere diventato l’imperativo della nostra vita. L’accelerazione della tecnologia e delle trasformazioni sociali annienta lo spazio e la geografia stessa: ogni luogo è a portata di un click o di qualche ora d’aereo. Tutto è frammentato in attimi che si susseguono e si sostituiscono freneticamente, uno dopo l’altro. Perdiamo sempre più il gusto delle pause, degli intervalli, delle soglie, dei passaggi, e quanto viviamo non viene a costituire un’unica storia: la nostra storia. La nostra stessa identità si ritrova minacciata e resa pascolo per mercanti illusori di felicità e di futuro.

È notizia di pochi giorni fa che, durante una recita scolastica, per non offendere nessuno le maestre abbiano fatto cantare la parola “cucù” al posto di “Gesù”. Il cucù, che sbuca da un orologio a scandire il tempo che fugge, prende il sopravvento sull’Eterno che si fa bambino. E un bambino non offende nessuno. Chi si sente offeso dal Natale, probabilmente ne ha smarrito il senso e, forse, anche il tempo per cercarlo.

Oggi, il Natale assume il significato di una redenzione del tempo che ci è dato. Riflettiamo: la necessità di produrre e consumare come forma di realizzazione umana ha bisogno di redenzione, di riscoperta di un tempo ritmato, che sappia onorare il lavoro e celebrare il riposo.

Il Natale ci invita a un tempo lento, ci invita a indugiare, a soffermarci, a guardare col cuore e non solo con una intelligenza speculativa, ci invita a contemplare. «Per mancanza di quiete – scrive Nietzsche – la nostra civiltà sfocia in una nuova barbarie.

In nessun tempo gli attivi, vale a dire gli irrequieti, hanno avuto una maggiore importanza. Per cui una delle necessarie correzioni che si devono apportare al carattere dell’umanità è quella di rafforzare in larga misura l’elemento contemplativo».

Parole chiare dove emerge l’invito a tenere i piedi per terra… per guardare meglio il cielo!

C’è bisogno di dare tempo al tempo, vita alla vita, e Gesù viene per dilatare la storia e restituirle la pienezza persa. L’augurio che sento di porgere a tutti è quello di ritrovare il “giusto tempo per vivere”, una “intelligenza” del vivere, per tornare ad amare, a donare, a condividere. Buon Natale a tutti.

IL MESSAGGIO DI MONS. SANTORO, ARCIVESCOVO EMERITO DI TARANTO

Mentre noi ci prepariamo al cenone di Natale in Terra Santa c’è un misto di strazio per le vittime e gli ostaggi del terrorismo come per la reazione e gli eccidi che stanno dilaniando Gaza. Insieme all’indicibile dolore, comune a tutte le guerre, i sentimenti dominanti in questa terra sono la paura, la rabbia e il sentimento di vendetta. E cresce un clima di sospetto reciproco, di sfiducia e di diffidenza. Alcune voci si aprono al dialogo. La portavoce israeliana degli ostaggi ha detto in una intervista: «Bisogna che noi cominciamo a riconoscere la sofferenza dei palestinesi e bisogna che i palestinesi comincino a riconoscere la nostra sofferenza». E in prima linea c’è il Cardinale Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme, e le varie confessioni cristiane presenti in Terra Santa alimentando in mezzo a tanta difficoltà la speranza evangelica con iniziative di solidarietà di vario tipo, anche, oltre agli aiuti umanitari, dando in opere di carità quanto si sarebbe speso in cene natalizie.

Il Custode francescano di Terra Santa, Padre Francesco Patton, dice: «Il bambino di Betlemme piange e chiede a ognuno di noi di ascoltare il suo pianto per poterci guidare davvero alla pace». E così anche per noi questo Natale può essere più sobrio e aperto alle varie iniziative di solidarietà per i territori in guerra. È da ricordare il momento di preghiera, di meditazione e di canto che Al Bano Carrisi ha fatto gratuitamente per la pace il 21 scorso nella Cattedrale di Molfetta dove ha dato la sua testimonianza eroica il Venerabile don Tonino Bello. Dopo la missione a Mosca e Kiev la delegazione dell’Associazione l’Isola che non c’è ha promosso un momento di canti per la pace, preghiera e bellezza. Questo insieme a tante altre opere in ambienti laici e cattolici per i nostri poveri e per aiuti ai vari conflitti nel mondo.

Come ci richiama costantemente Papa Francesco è necessaria una riscossa del pensiero e delle coscienze a favore della pace, della solidarietà e della cura della casa comune. Alcuni segnali dati dalla Cop28 ci fanno ben sperare, Occorre un vero cambiamento di mentalità e gesti concreti che partano dalla considerazione del «perché e del per che cosa e, soprattutto, del per chi si vive». Sembrava che fosse lontano il terrore dell’ultima guerra mondiale e dei massacri avvenuti anche in Italia come hanno documentato tanti nostri martiri di Roma e di tante parti d’Italia dei campi di concentramento nazisti.

Come Ungaretti nel poema Mio fiume anche tu scriveva in una Roma occupata. «Cristo pensoso palpito, perché la tua bontà si è tanto allontanata». E poi precisava il suo messaggio: «Fa piaga nel Tuo cuore La somma del dolore Che va spargendo sulla terra l'uomo; Il Tuo cuore è la sede appassionata Dell'amore non vano. Cristo, pensoso palpito, Astro incarnato nell'umane tenebre, Fratello che t'immoli Perennemente per riedificare Umanamente l'uomo, Santo, Santo che soffri, Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli, Santo, Santo che soffri Per liberare dalla morte i morti E sorreggere noi infelici vivi, D'un pianto solo mio non piango più, Ecco, Ti chiamo, Santo, Santo, Santo che soffri».

Come segno di umanità donata, anche per chi non coltiva la fede cristiana, Gesù è venuto a nascere a Betlemme, nella nostra storia e continua anche nel dolore più grande. Ottocento anni fa San Francesco faceva il primo presepe a Greccio per ricostruire la povertà dei pastori, il bue e l’asinello, il freddo della nascita del Redentore, l’amore di Maria, la semplicità di Giuseppe e soprattutto la gioia del Bambino che nasce. E lì mentre un sacerdote celebra la messa, Francesco che era semplice diacono, canta il vangelo della nascita di Gesù, e come omelia si commuove di fronte all’immenso amore di Dio che si fa uomo. Dice il il biografo di San Francesco, Tommaso da Celano: «Parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme». E poi il sacerdote celebra l’eucaristia, la presenza per eccellenza di Gesù in uno stupore immenso.

Ce lo ha ricordato Papa Francesco parla di Greccio, «Io ho sottolineato una parola: lo stupore. E questo è importante. Se noi cristiani guardiamo il presepe come una cosa bella, come una cosa storica, anche religiosa, e preghiamo, questo non è sufficiente. Davanti al mistero dell’incarnazione del Verbo, davanti alla nascita di Gesù, ci vuole questo atteggiamento religioso dello stupore. Se io davanti ai misteri non arrivo a questo stupore, la mia fede è semplicemente superficiale; una fede “da informatica”. Non dimenticate questo» (Udienza di mercoledì 20 dicembre 2023). Diceva San Gregorio di Nissa: «Solo lo stupore conosce» (La vita di Mosè). Tutto questo in estrema povertà «perché non c'era posto per loro nell'albergo» (Luca 2,7). Rifiutato da tutti il Signore nasce per tutti con un grande rispetto per la libertà di ognuno. La cosa più grande del mondo lasciata alla risposta libera di ogni persona. Incarnazione: una presenza nella storia. «Cristo pensoso palpito, astro incarnato nelle umane tenebre». Una presenza dentro il mondo che la Chiesa continua ad annunziare come l’angelo ai pastori, Un avvenimento che lo stupore riconosce.

GLI AUGURI DEL VESCOVO DI LECCE, MONS. MICHELE SECCIA, E DI QUELLO DI NARDO'-GALLIPOLI FERNANDO FILOGRANA

Gli auguri di Natale di monsignor Seccia sono dedicati alle future coppie di genitori, ma anche a chi è avvolto dalla disperazione. Persone con cui l’arcivescovo sta entrando in contatto in questi giorni: dai piccoli ospiti del “Fazzi” ai ragazzi del “Dopo di noi”. Poi al carcere di Borgo San Nicola, dove ieri il vescovo ha celebrato la messa, constatando quanto sia dura «la vita per tanti uomini e donne che – dice il vescovo – non ce la fanno più e per i quali questo Natale sarà un’altra ferita da aggiungere alla collezione della disperazione».

Seccia si concentra sull’orizzonte per tutti auspicabile, fatto di gioia, pace, giustizia sociale, solidarietà, benessere. Poi l’aneddoto: l’incontro con una scolaresca di bambini in visita all’antico presepe. E il canto corale, sollecitato proprio dall’arcivescovo, “Tu scendi dalle stelle”; un momento in cui, dice Seccia, «ho immaginato come quelle voci, allegre e spensierate, siano arrivate dritte al cuore del Bambinello e lo abbiano commosso. Poi, come un nonno ai suoi nipotini, ho dato a ciascuno un bacio sulla fronte e sussurrato parole di gratitudine». Le famiglie rappresentano un nodo cruciale della riflessione di Seccia. «Per quest’anno – aggiunge – gli auguri del vescovo sono rivolti soprattutto ai genitori, specie a quelli più giovani e alle coppie di fidanzati che stanno pensando di metter su famiglia. Non abbiate paura della vita che bussa. Come Maria, la mamma di Gesù, accogliete la vita nascente come un dono».

Tematiche in parte presenti anche nel messaggio di Natale del vescovo di Nardò-Gallipoli, monsignor Filograna.

«La vita – dice Filograna – splende nell’andare incontro all’altro, nello sperimentarsi amati, ricordati, visitati. Con tali sentimenti ho portato a compimento la mia prima visita pastorale. Tra le esperienze che hanno segnato il passo del mio camminare con voi ricordo l’attesa dei malati e degli anziani che, pur non potendo allontanarsi da casa, hanno confidato nella presenza di Dio. A loro e a tutte le famiglie della diocesi giunga il mio più caro abbraccio».

Poi, il pensiero si rivolge «a chi da troppo tempo attende il dono della pace, che appare smarrirsi dietro le false stelle dell’orgoglio e del predominio internazionale».

«Continuiamo a chiedere al Signore – continua il vescovo – la fine di ogni conflitto, impegnandoci a costruire la più genuina fraternità anzitutto nelle nostre case, nei luoghi di lavoro, nelle relazioni quotidiane ed ecclesiali. Nessuno resti indietro nel cammino della speranza, soprattutto chi attende una vita migliore e più dignitosa, perché vive la stessa precarietà della Santa Famiglia. Lasciamoci pervadere da questo appello ad uno stile essenziale, sobrio nell’esteriorità perché colmato nelle attese più profonde dalla nascita del Verbo».

IL MESSAGGIO DI MONS. PELVI, ARCIVESCOVO METROPOLITA DI FOGGIA

«Tutti, giovani e adulti, siamo cittadini e abbiamo una vocazione al servizio del bene comune. Orizzonte e fine di questa vocazione è la buona politica, amica delle persone, inclusiva, che non lascia ai margini nessuno, ma tiene il timone fisso nella direzione del bene di tutti. Ogni offerta politica non può identificare nemici da guardare come ostili. Abbiamo bisogno di uno spazio libero da parole cattive e dalla tecnica della chiusura e della derisione dell’avversario. L’impegno concreto e responsabile in politica non è potere, ma quasi un martirio quotidiano per cucire reti d’incontro e solidarietà. Torniamo alla politica della verità e non perdiamo la speranza, recuperando il bene comune dei cittadini. Anche perché la politica non è un incontro tra uguali, ma la convivenza e la comprensione tra persone diverse, che possono raggiungere obiettivi comuni», ha affermato il metropolita di Foggia che ha poi aggiunto: «Una buona politica deve sapere indicare la strada del futuro, cercando di governare senza creare disuguaglianza e discriminazione. Ciò implica che gli stessi politici siano capaci di governare sé stessi, le proprie debolezze, così da acquisire autorevolezza e ottenere quella virtù che si chiama gentilezza e coerenza. Prima dei nostri doveri quotidiani e delle nostre attività, soprattutto prima dei ruoli che rivestiamo, occorre riscoprire il valore delle relazioni, e cercare di spogliarle dai formalismi, di animarle di spirito evangelico, anzitutto ascoltandoci a vicenda senza pregiudizi, con apertura e sincerità. Ascoltare è diverso da udire. Camminando per le strade della nostra città possiamo udire molte voci e molti rumori, eppure generalmente non li ascoltiamo, non li interiorizziamo e non ci restano dentro. Una cosa è semplicemente udire, un’altra cosa è mettersi in ascolto, che significa anche ‘accogliere dentro’.»

Infine, proprio alla vigilia del suo arrivederci (mons. Pelvi resterà vescovo emerito di Foggia), l’augurio alla città che ha rinnovato le proprie rappresentanze.

«L’augurio è che il rinnovo delle funzioni elettive costituisca un’occasione per tornare al rispetto di quei diritti umani fondamentali, che sono doveri reciproci. Come ricorda don Primo Mazzolari: “La città non ha soltanto bisogno di case, strade, acquedotti e marciapiedi… ma ha bisogno anche di una maniera di sentire, di vivere, una maniera di guardarsi, una maniera di affratellarsi, una maniera anche di condannare il male”.»

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