Punta Licosa è essenzialità. Terraferma a forma di isola che si accompagna a un’isolina. È vasta pineta sul mare, punteggiata di carrubi e soprattutto di fichi. È tempo frammisto a pietre scanalate, arenarie in scivolio obliquo su materie intermedie.
Se ci vai ti dà misura di te. La prima volta è sperdimento, paura degli spuntoni, curiosità per un mare che ha per fondale il proseguimento della costa, desiderio di raggiungere l’isolina fornita di faro. Poi diventa familiarità che va sempre tenuta a bada. I passi sugli scogli devi misurarli bene, altrimenti basta poco e torni a casa ferito. Se capita, torna quando puoi a riprovare il passo; la volta dopo sarai graziato; potrai tuffarti nella chiarità di un mare che fa da specchio ai mutamenti del cielo.

Azzurro verde turchese viola e vinoso (come lo volevano gli antichi), ricco di posidonie ondeggianti con capigliature, capiente di pesci a branchi, dispensatore di ricci, il mare di Licosa è avventura d’onde, seta liquida che carezza gli scogli. È l’antico Tirreno che fa ponte tra le terre ed è ingordo di isole, un mediterraneo nel Mediterraneo. A Punta Licosa si entra. Ogni volta è un battesimo. La soglia è un cancello cigolante che se si apre per te ti conduce a un viale lungo a dividere in due la tenuta e s’interrompe dove Licosa prende le forme di un porticciolo in sedicesimo. Barche poche al moletto chiuso dai frangiflutti; un castelletto color crema dai lati bombati e chiesina rossa come sorella; l’isolina grigiochiaro di lato. Una volta dentro, il tempo fa i minuti diversi, le ore larghe, i giorni preludio a tramonti recitati tra la punta della Campanella e Capri. Rispetto a Napoli, città delle albe, dirimpettaia della costieta sorrentina e di una Capri bitorzoluta, Punta Licosa è un mondo ribaltato. Capri in modo particolare si stampa nell’aria della lontananza al contrario.

Da qui a volte si spezza in due: tra Anacapri e il resto dell’isola ti sembra ci siano le onde a far festa nel vuoto; e invece basta alzarsi di poco e il rebus si ricompone e un pezzetto di Ischia fa capolino prolungando la forma intera dell’isola. Mentre il sole ogni sera corteggia il mare, producendo volteggi cromatici che accendono le nuvole di colori senza nomi, il faro sull’isolina dà indicazioni ai naviganti ignari di secche. Il tramonto a Punta Licosa è un rito; va onorato con attenzione e voluttà di sguardo; è impossibile voltargli le spalle; fa degli occhi cecità a brillii, fosforescenze perse nell’acqua, mentre la luna si arrampica nel cielo violetto alle tue spalle. È il momento delle consegne: le cicale smettono una tessitura sonora degna della migliore musica minimale e i grilli dopo una zona intermedia di stupore silenzioso gli danno il cambio. Anche i pini più radicalmente torti dai venti avversi e capaci di crescere paralleli alla terra con chiome simili a vasti cespugli, sembrano partecipare del rito recitato senza un copione prestabilito. S’inforca la bicicletta per fendere il buio e andare verso casa. Ogni dettaglio si sospende nell’attesa.

Anche i cinghiali fanno assemblea a cerchio per decidere traiettorie di preda. Sono ghiotti di orti; ne faranno massacro.
Adesso però sono musi allungati con occhi persi negli occhi, punti di sguardi a sventaglio. Si sente il girare della catena che fa andare la bicicletta. È un suono frusciante come un respiro. Vengono incontro le poche abitazione di Punta Licosa. Sono ancorate alla terra come le imbarcazioni nel porto al moletto. Punta Licosa è isola, quintessenza di isola. Chi ci abita possiede sapienza di essenzialità. Sa che il poco è una risorsa non una mancanza. Per cena sarà quasi pronta un’aquasale. Pane biscottato da mettere nell’acqua per ammordirlo un po’ e poi farlo a pezzetti. Pomodori da tagliare e da condire con sale origano e olio. Basilico da prendere foglia a foglia dai vasi del patio. Un bel piatto fondo di ceramica smaltata per accogliere il tutto. Il vino rosso pronto nel bicchiere. Il buio fa chiare le stelle. Ogni boccone rievoca le prese d’aria salate tra una bracciata e l’altra, mentre nuoti e nuoti dentro l’estate.

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