Anticoli Corrado, o della stanchezza del passato

Piazza delle Ville, centro della vita di Anticoli Corrado, in una vivace mattina estiva.

Piazza delle Ville, centro della vita di Anticoli Corrado, in una vivace mattina estiva.

Desertum geografico. È così che nelle antiche mappe veniva indicata la valle dell’Aniene, culla del monachesimo occidentale, luogo di eremiti e di caverne scavate nella roccia, di boschi e di acqua. Al netto di una ferrovia e di un paio di incrostatissimi viadotti della A24, sono pochi i segni dell’impatto dell’“homo tecnologicus” nella valle.

L’industria, quella delle ciminiere e dei fumi inquinanti partorita dal progresso della tecnica, non ha mai attecchito tra questi antichi versanti montani. Ecco dunque che il popolamento umano della valle è ancora organizzato in piccoli borghi che nonostante lo scorrere del tempo, l’affacciarsi della globalizzazione, l’abbandono stagionale e il pendolarismo cronico verso la vicina metropoli romana, hanno mantenuto intatta una vocazione di fondo essenzialmente agricola.

Se si va in visita a Anticoli Corrado, la cosa risulta particolarmente evidente. Difficile infatti abbracciare con lo sguardo la piazza delle Ville, cuore della vita economica e sociale del paese, senza avvistare un qualche trattore posteggiato in un angolo, pronto a ripartire dopo una sosta più o meno lunga nei pressi di un bar.

La scorza contadina di Anticoli nasconde però sorprese inaspettate. L’arte si è infatti insediata tra i suoi giardini, le sue strade, le sue case, fin sotto la pelle dei suoi schivi abitanti; lo ha fatto in un passato recente, tra la fine del XIX secolo e la metà del XX, lasciando tracce indelebili nella memoria storica della comunità e nel tessuto architettonico del paese.

Quale altro piccolo borgo collinare di meno di mille anime può infatti permettersi di sfoggiare, al centro della sua piazza principale, una fontana realizzata da uno dei più grandi scultori italiani del secolo scorso? Già, perché nel centro esatto di piazza delle Ville, nascosta dietro ai trattori, c’è anche la cosiddetta “Fontana dell’Arca di Noè” di Arturo Martini, realizzata nel 1926 e presto divenuta il monumento più simbolico di Anticoli.

Ma come è stato possibile tutto ciò? In principio era il Grand Tour; gli artisti di tutta Europa arrivavano a Roma, per bearsi del calore del sole e della sfolgorante bellezza della Città Eterna. Quando sentivano il bisogno di aria più fresca, natura più incontaminata e paesaggi più suggestivi, si inoltravano lungo il fiume Aniene e arrivavano a Tivoli, incantati dalle sue ville romane e le sue pittoresche cascate. Molti si fermavano soddisfatti, ma i più avventurosi continuavano risalendo il fiume, attratti da boschi più verdi e montagne più alte.

Fu così che i primi artisti giunsero in vista dell’antico borgo di Anticoli Corrado. Qui, trovarono nella popolazione locale di contadini un alleato tanto inaspettato quanto formidabile. Una bizzarra, spontanea, irripetibile forma di mutualismo cominciò ad alimentarsi.

In cambio di un quadro, magari uno scorcio pittoresco del paese o un ritrattino di un membro della famiglia, l’artista riceveva dal contadino un piatto di pasta e un tetto sotto il quale passare la notte. Che si trattasse di una dignitosa stanza fornita di lucernario, oppure di una misera stalla, non importava; l’importante era potersi fermare in quel singolarissimo paese, godere della vista sulle montagne e sui boschi, osservare la vita di campagna scorrere lenta e ripetitiva, immortalare la luce e le ombre in gioco su un pezzo di muro a secco o le limpide acque di un fontanile.

La comunità di artisti cresceva sempre di più, e ormai il via vai con Roma si era fatto costante. Gli abitanti del paese si erano lasciati stregare dai forestieri e dal loro talento, si erano messi al loro servizio, diventando modelli e modelle, consegnando la loro effigie al pennello dei pittori e allo scalpello degli scultori.

Mariano Barbasàn Lagaruela, L’ora della mungitura a Anticoli Corrado, 1922.

Mariano Barbasàn Lagaruela, L’ora della mungitura a Anticoli Corrado, 1922.

Fu così che in breve tempo si generò il mito del “paese degli artisti e delle modelle”, casa temporanea di alcuni dei più grandi artisti del Novecento italiano, da Arturo Martini, a Fausto Pirandello, a Felice Carena; luogo di passaggio di infinite schiere di pittori più o meno famosi ma provenienti da tutte le parti del mondo, dal Brasile (Augusto Luiz de Freitas) alla Lettonia (Maurice Sterne), dalla Spagna (Mariano Barbasàn) all’Austria (Oskar Kokoschka).

Per decenni Anticoli Corrado fu vertice di flussi umani di una vastità assolutamente senza confronti per un borgo della sua dimensione; mentre gli artisti si incamminavano da Roma per raggiungerlo e fermarvisi una settimana, un mese, un’estate, da Anticoli cominciarono invece a muoversi gli anticolani stessi, ormai diventati, a forza di posare per i pittori, modelli professionisti.

Giggi il Moro, famoso modello anticolano, in una fotografia del 1911.

Giggi il Moro, famoso modello anticolano, in una fotografia del 1911.

Fu una stagione di fioritura culturale e artistica irripetibile, che trovò il suo canto del cigno nel 1969, quando l’intero paese fu trasformato in un grande e vibrante set per la produzione hollywoodiana “Il segreto di Santa Vittoria”, pellicola girata da Stanley Kramer e interpretata da famosi attori americani e italiani come Anthony Quinn, Anna Magnani e Virna Lisi.

E poi? Che fine ha fatto tutto questo fermento? Dove sono finiti gli artisti, i modelli, l’odore di fieno misto a trementina per le strade del borgo? Per chi oggi si spinge nella media valle dell’Aniene, curioso di scoprire qualcosa in più sul “paese degli artisti e delle modelle”, la delusione può essere anche cocente.

Della meravigliosa storia del paese contadino che aprì le porte delle sue case agli artisti, rimangono davvero poche tracce. Certo, i nomi delle vie sono dedicate a Adolfo De Carolis, Arturo Martini, Orazio Amato, Pasquarosa Marcelli; eppure, quelle targhe rischiano oggi di apparire quasi come lapidi, memorie di un passato, neanche troppo lontano, che un giorno se ne è andato via senza più ritornare.

Solitario guardiano di queste memorie, racchiuso all’interno dell’antico Palazzetto Baronale nel centro del paese, sta il Civico Museo di Arte Moderna e Contemporanea, aperto nel 1935 per ospitare l’abbondante raccolta di dipinti accumulata dal Comune di Anticoli grazie ai doni degli artisti, segni di gratitudine per l’ospitalità ricevuta. A esso è ancora oggi demandato il compito di tramandare il ricordo dell’importante ruolo del borgo nel cammino dell’arte italiana tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento.

Una delle sale del Civico Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Anticoli Corrado.

Una delle sale del Civico Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Anticoli Corrado.

Ma anche il museo appare oggi un’entità estranea, scollata dal resto del paese e dalla sua comunità. Certo, tutti gli Anticolani del presente conoscono il Civico Museo, lo citano come motivo di orgoglio; eppure, non ci vanno, non lo frequentano, non lo vivono.

Lo ammirano, ma come si ammira qualcosa che forse, fino in fondo, non si capisce. Fin qui nulla di nuovo, si penserà, rispetto alla modalità “media” di percepire il patrimonio culturale anche nel resto di Italia. In fondo a Roma non siamo un po’ tutti fieri del Colosseo, dei Fori, dei Musei Vaticani, ma poi l’ultima volta che li abbiamo visitati risale alla nostra fanciullezza?

Forse non c’è alcuna differenza, però fa effetto pensare come il patrimonio di opere e memorie che Anticoli sta lasciando progressivamente sfiorire non sia traccia di un mondo di duemila anni fà, ma piuttosto espressione di un periodo recentissimo, risalente al massimo a 50, 60 anni orsono, quando andare in visita al borgo significava calarsi in un luogo dove per respirare l’arte non c’era bisogno di entrare nelle stanze di un polveroso museo, ma banalmente passeggiare per le strade e buttare un occhio tra gli studi degli artisti.

Qualche coraggioso erede della comunità artistica anticolana però c’è ancora. Come i membri de “L’arca di Corrado”, Associazione Culturale nata negli anni ’70 e da allora indefessamente impegnata a proporre un ritorno del paese a quella dimensione di fucina sensazionale di creatività, idee e fermento artistico che era stato nei suoi anni ruggenti.

Ma al netto di qualche iniziativa ben riuscita, il progetto complessivo è ben lontano dalla sua realizzazione. A sentire gli artisti dell’Arca, molto si deve imputare a un mutato atteggiamento della comunità locale; non c’è più la volontà di ripetere il passato; la timidezza ha preso il sopravvento; la chiusura provinciale ha sostituito quella disponibilità di aprirsi al nuovo e all’inaspettato che aveva spinto il primo anticolano ad accogliere nella sua casa un artista forestiero di passaggio.

Se nella comunità paesana si è (legittimamente?) insinuata questa stanchezza, questa pigrizia nei confronti di un passato forse percepito come troppo ingombrante, tale stanchezza ha trovato un suggello imperdonabile da parte delle istituzioni politiche locali, evidentemente incapaci di sostenere concretamente quelle poche realtà propositive ancora rimaste nel paese e ancora in grado di lottare per non abbandonare all’incuria un’eredità culturale così importante.

E così il Museo Civico ha per anni (prima dell’arrivo dell’attuale, capace Manuel Carrera) vissuto preda di direttori non specialisti che lo hanno usato come presidio per promuovere mostre di pittorucoli di loro conoscenza senza alcun legame col paese e il territorio. Mentre oggi è un’istituzione che vive di una cronica mancanza di fondi, che si appoggia sui volontari per tenere aperto il portone, che raramente dunque riesce a dare valore alla sua collezione e alle sue memorie.

E così le stalle e i casolari che negli anni di fioritura erano stati dimora e bottega di illustri pittori sono caduti in rovina, assaliti dall’incuria e dalla vegetazione, oggi nemmeno segnalati con lo straccio di un pannello o un’indicazione.

E così Palazzo Carboni, uno degli edifici storici più illustri del centro storico e una delle prime strutture ad aprirsi all’ospitalità verso i pittori forestieri alla fine dell’Ottocento, dopo anni di progetti per trasformarlo in polo culturale multi-funzione, in un centro per riportare la produzione artistica anticolana a un possibile rilancio, è tragicomicamente diventato la Comunità Alloggio “La Resilienza”, confortevole residenza per anziani.

Ma niente è ancora perduto. Alle nuove generazioni di anticolani l’arduo compito di non far definitivamente appassire il ricco patrimonio di storia e arte giunto fino a loro, per quanto sgangherato da anni di scarsa manutenzione.

Perché quando ci si stanca del passato, allora si rischia di perdere la bussola del presente e di non saper fare scelte azzeccate per il futuro.

Perché il “paese degli artisti e delle modelle” può rinverdire e restituire forza alla sua vena artistica senza per questo replicare o scimmiottare quanto è già stato.

Perché il Civico Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Anticoli Corrado non può certo diventare il Civico Museo “La Resilienza”, confortevole residenza per vecchie opere d’arte malandate.

La chiesa di San Pietro a Anticoli Corrado nel cielo rosato di un tramonto autunnale.

La chiesa di San Pietro a Anticoli Corrado nel cielo rosato di un tramonto autunnale.