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Conte perde faccia e M5s: costretto a smentire Patuanelli

Pietro De Leo
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Oramai è un dato pressoché scientifico, l’estate porta dubbi, rovelli, psicodrammi più o meno lievi in casa Movimento 5 Stelle. Certo, la congiuntura spesso ha fatto da acceleratore. Nel 2019, quando Salvini staccò la spina al governo Conte 1, scattò il tormento amletico sull’allearsi o meno con il Pd, risolto poi in senso affermativo da Beppe Grillo con un mini-vertice nella sua residenza estiva. L’estate dello scorso anno vide il dipanarsi del grande bivio se rimuovere o meno il tetto ai due mandati. Poi, dopo molta sofferenza politica, Conte (incalzato da Grillo) optò per il mantenimento della normetta, e fu ghigliottinata la prosecuzione del cammino politico di molti big. Ieri, nel caldo è arrivata a freddo l’idea di Stefano Patuanelli sul finanziamento pubblico. Il presidente dei Senatori pentastellati è tipo refrattario ai toni rumorosi del Movimento delle origini, è stato volto governativo ed è idealtipo di un centrosinistra riflessivo, che agogna ad un ritorno ad un abbraccio tra post grillini e il Pd.

 

 

 

 

IL MANTRA

Ebbene, quale mantra affronta Patuanelli? Quello, pesantissimo del finanziamento pubblico ai partiti. «È necessario reintrodurlo», afferma in un colloquio al Corriere della Sera. Delineando un ragionamento articolato: «I cittadini - argomenta - devono sapere quale nodo da sciogliere sta dietro il finanziamento: bisogna garantire alle forze politiche l’esercizio delle loro funzioni democratiche». Certo, Patuanelli riconosce le storture e le degenerazioni verso le quali il finanziamento spesso incappò: «La mole di risorse pubbliche fu tale da tutelare anche chi non ne aveva diritto». Da lì nacquero «casi di arricchimento personale». Però furono travolti, come spesso avviene nei frettolosi fenomeni di massa, i vari aspetti di un fenomeno complesso, arrivando a confondere i «costi della politica» con i «costi della democrazia».

 

 

 

Il Capogruppo pentastellato a Palazzo Madama specifica di parlare a titolo personale, e però tocca una questione mica da niente. Perché quello della riduzione dei costi della politica, in special modo il finanziamento pubblico ai partiti, non è stato soltanto un punto qualificante del Movimento, ma proprio una delle ragioni fondanti. Tanto che l’abolizione del finanziamento pubblico, deliberata sotto il governo di Enrico Letta nel 2013, fu un’iniziativa assunta proprio per togliere argomenti, realizzandoli, a quell’avanzata grillina che pareva inarrestabile. E sarà per questo, oltre probabilmente al contropiede, che il Presidente pentastellato Giuseppe Conte, ieri, prontamente ha escluso che il ragionamento di Patuanelli possa avere un seguito: «L’ho sentito- ha scritto in un post su Facebook riferendosi al suo capogruppo - e mi ha spiegato che il suo è un discorso generale e astratto sui partiti e sulla democrazia. Mi ha chiarito, però, che non firmerebbe mai nell’Italia attuale e con la politica attuale una legge per il finanziamento pubblico ai partiti».

 

CONTRARIO IL MOVIMENTO

E ancora: «Lo dico senza girarci intorno, la posizione del Movimento 5 Stelle è sempre stata e resta contraria al finanziamento pubblico ai partiti». Dunque, ipotesi stroncata dal leader pentastellato, e forse non poteva essere diversamente: al momento, infatti, il Movimento riscontra una certa difficoltà a qualificare la propria proposta politica e dunque abbandonare un retaggio storico potrebbe essere rischioso. Ma sta di fatto che Patuanelli, comunque, ha lanciato un sasso. E non è da escludere che, del tema, in futuro si possa riparlare.


 

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