Incontri di alpinismo. Adam Ondra, la perfezione nella scalata

Il climber ceco ha riscritto i confini dell'arrampicata. «Qualcuno scalerà il 9c+, ma non credo che sarò io. Mi piacerebbe iniziare ad aprire vie lunghe».
Adam Ondra su The Dream, 9b, Brar, Albania © B. Gimenez

Provare a rinchiudere Adam Ondra in una intervista – anche se non proprio breve - è impossibile e bisogna scegliere se parlare di roccia, di gare, o di tutto quello che non ha a che vedere con la dimensione verticale. Oppure si può prendere un po' di qua e un po' di là, ben sapendo che la risposta non sarà mai banale: tutto è molto semplice e allo stesso tempo un po' magico nel mondo di Adam. Come gli inizi. «Non volevo essere l'unico a non scalare, tutti intorno a me scalavano. I miei genitori avevano vissuto avventure incredibili. Mio padre poi era partito proprio dal niente: si era addirittura cucito l'imbrago da solo e per due anni aveva tenuto nascosto a mio nonno che arrampicava. Quando lo ha saputo non si sono parlati per due mesi...a ogni modo adesso mio nonno è un mio gran tifoso.

 

Quando ti ho visto per la prima volta in azione sono rimasto colpito dalla tua velocità di esecuzione. Era quasi difficile seguirti con lo sguardo. Rimane un tratto distintivo della tua arrampicata anche ora che sei in una fase più matura della tua carriera?

Sì. Il fatto è che devi avere una certa velocità per essere efficiente e poi è anche una questione di divertimento. Non mi piace stare fermo in parete, mi piace il movimento, mi piace scalare. Fin da piccolo è stato così e quando scali a vista (a vista significa senza avere alcuna informazione riguardo alla via, ndr), quando ti piace scalare a vista, sviluppi questo intuito, questa cosa che ti porti dentro che ti dice cosa fare mentre sali, mentre sei già verso il prossimo movimento. E così diventi efficiente e veloce.

 

Il tuo libro trasmette la voglia di fare le cose bene. È qualcosa che ti porti dentro come indole o è più un fatto derivante dall'educazione?

Non lo so. Fin da piccolo tutto quello che facevo lo volevo fare al cento per cento, già prima della scalata. Ma la passione per la scalata non l'ho mai sentita come qualcosa che va fatto in un certo modo, era un desiderio.

 

Anche negli studi però sei sempre andato bene.

Negli studi ho sempre pensato che l'educazione fosse importante e comunque non era possibile scalare 24 ore al giorno, quindi il tempo libero lo riempivo così!

 

Adam Ondra su Zpritomneni, 8b, Labske udoli, Cechia © P. Chodura

 

Sei cresciuto leggendo e rileggendo le pagine di Rockstars, un libro sui miti della scalata. Li vedevi come icone irraggiungibili o fin da subito hai pensato: voglio diventare uno di loro?

Mi sembravano incredibili, irraggiungibili. Vedevo questi miti lontani, ma ero interessato comunque già a capire dove fossero quelle falesie. Poi, dopo un po', è stato anche importante fare alcune vie di quel libro. Tipo Wallstreet, Action directe, Open air, Weisse rose. Vie di Wolfgang Güllich o Alexander Huber. Già quando avevo 8 anni comunque pensavo che ci sarei potuto arrivare, non ne dubitavo. Non che lo dicessi a qualcuno, era una cosa dentro di me, ma ci credevo.

 

Mi ha fatto sorridere un aneddoto che hai raccontato su Underground, un famoso 9a di Massone, per anni una delle vie più dure della scena.

Thomas Mrazek era un mio mito. Avevo dieci anni e mi aveva chiesto se la volevo provare e io gli avevo risposto di no, perché me la volevo tenere da parte per tentarla a vista. Ed era davvero ridicolo (ride, ndr) perché al tempo il massimo grado a vista era 8b+, ma io avevo questa idea. Poi comunque non ho resistito, perché c'era un video di quella via e l'ho guardato, per curiosità mi sono giocato la mia possibilità di farla a vista.

 

La tua arrampicata mostra un'autentica gioia di essere lì. C'è stato un momento o un periodo nel quale ti sei sentito in dovere di raggiungere certi obiettivi, piuttosto che nel piacere di quello che stavi facendo?

Certo, la pressione c'è. A 16 anni era più facile, adesso la gente si aspetta che vinca. Almeno, sulle gare è così e non è facile confrontarsi con la nuova generazione. Le gare sono dure, ma non è mai un conflitto che mi porta a perdere la voglia di scalare. Forse tra 10 anni, quando nessuno si aspetterà più che io sia il migliore, forse allora diventerà di nuovo facile. Ma fino quando riuscirò a muovere mani e piedi scalerò.

 

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi su roccia? Raggiungere un grado più alto in arrampicata sportiva? Muoverti verso una forma di alpinismo che sia più completa?

Sai, in arrampicata sportiva mi piacerebbe fare un grado in più, arrivare a 9c+, ma non credo che mai lo farò. Per fare un 9c+ serve un livello molto, molto più alto. Sicuramente è possibile, ma non credo che sarò io a farlo. Dobbiamo aspettare un po' e vedere se qualcuno ci arriva. Soprattutto mi piace l'idea di continuare a unire stili diversi di arrampicata, ma comunque su roccia. Gli Ottomila non mi interessano. Per me è importante, è qualcosa di ancestrale potere tenere le mani sulla roccia, mantenere questa connessione diretta.

 

Adam sale a vista Il Domani, 9a, Baltzola, Spagna © B. Gimenez

 

Hai il desiderio di aprire una via tua di più tiri?

Sì, sicuramente. Anche se c'è una differenza enorme tra aprire una via sportiva di 300 metri nelle Alpi a spit e una tradizionale in Patagonia. Mi piacerebbero entrambe le cose e dopo avere fatto un po' di esperienza qui, non vedo perché non andare anche là. Ma sicuramente ho molta attrazione per i posti a nord, come Groenlandia, Isola di Baffin. Forse anche per questo mi piace Flatanger.

 

Hai vissuto Flatanger come una casa? A leggere il tuo libro (leggi qui la recensione, ndr) sembra che sia stato più di un posto dove semplicemente scalare i tiri più duri al mondo.

Sì, lo è stato, anche se i posti significano qualcosa limitatamente a un determinato periodo. Ci sono ancora un paio di progetti che vorrei finire lì, ma poi credo che mi muoverò in qualche nuovo posto.

 

Capitolo Olimpiadi: c'è stato qualcosa di buono da salvare di quell'esperienza?

Onestamente non lo so. E ho difficoltà a dire quanto sono io a volere andare di nuovo alle Olimpiadi e quanto invece ci vado perché tutti se lo aspettano. Ma alla fine sono in una posizione per cui bisogna provare e devo dare tutto quello ho. In fondo mancano solo 8-9 mesi, poi sarò di nuovo libero e potrò scalare come voglio sulla roccia.

 

Cosa può fare uno scalatore - sotto il profilo dell'impegno- per arginare gli effetti del cambiamento climatico?

Sai, in Europa siamo molto fortunati perché abbiamo tutto, tutti gli stili di arrampicata e non ho nemmeno troppa voglia di spostarmi fuori. Repubblica Ceca, Austria, Italia, Spagna: si può scalare tutto quello che si vuole e vedo che tra volare e andare in macchina, cambia molto in termini di inquinamento. Sicuramente viaggio tanto e mi piace, è difficile pensare di rinunciare per motivi ambientali. Ma forse con la nascita di Hugo ci sposteremo un po' meno, almeno nei primi anni.