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L'effetto folla

L'effetto folla
Giorgio Nardone

Pubblicato 3 anni fa
Giorgio Nardone

Leggi un estratto dal libro "Ipnoterapia Senza Trance" di Giorgio Nardone

Una rumorosa grande folla attende l’inizio della conferenza di un prestigioso relatore. I presenti sono medici, psicologi e psichiatri, un pubblico usualmente ben poco accomodante, soprattutto nei confronti di chi presenta qualcosa annunciato come innovativo.

Il personaggio entra in scena silenziosamente, con passo sciolto ed elegante; solo una parte dell’uditorio se ne accorge e si siede, osservandolo, mentre gli altri continuano a parlare tra loro. Giunto sul palco, il relatore si ferma e, senza dire una parola, inizia a osservare il pubblico usando lo sguardo come se fosse un cono di luce che si sposta per la sala, una zona dopo l’altra.

In pochi secondi, come attratti da una potente energia, tutti i partecipanti si zittiscono e si mettono a sedere, portando tutta l’attenzione su di lui.

Stai leggendo un estratto da questo libro:

Con il suo comportamento l’esperto comunicatore ha creato un effetto suggestivo portentoso, già ben noto tanto all’arte della persuasione sofista (Untersteiner, 2008) quanto all’oratoria romana (Cicerone, 2015): l’imposizione del proprio carisma alla folla.

In maniera non troppo dissimile, l’incantatore di serpenti «ipnotizza» il cobra con il movimento della testa e lo sguardo e non, come comunemente si crede, con il suono del suo flauto; il serpente che durante queste esibizioni si leva, guardando fissamente il suo addestratore, è infatti praticamente sordo.

Un altro esempio ancora è quello della persona aerofobica - che cioè soffre di paura delle altezze - la quale, sotto la guida di un esperto psicoterapeuta, esercita una forte pressione sul proprio pollice fino a provare dolore e riesce finalmente a guardare l’orizzonte che le si para davanti dalla terrazza della Carnegie Hall Tower di New York e poi, gradualmente, ad abbassare lo sguardo sino a giù, da quegli oltre duecento metri di altezza e, facendolo scorrere da destra a sinistra, a sperimentare la propria capacità di annullare quella che fino ad allora era un’invalidante fobia.

Cos’hanno in comune questi tre casi apparentemente tanto differenti e, ognuno a suo modo, sorprendenti? L’azione di un soggetto esperto, in grado di cambiare la percezione della realtà rispettivamente di una folla, di un serpente e di una persona aerofobica, orientandone l’esperienza e quindi, di conseguenza, le emozioni, le cognizioni e i comportamenti.

L’azione di cui stiamo parlando è il modo di comunicare utilizzato dall’oratore, dall’incantatore di serpenti e dall’esperto psicoterapeuta: un linguaggio non verbale, paraverbale e verbale in grado di attivare uno stato di potente suggestione nel soggetto che ne viene investito e che, associato ad esperienze di cambiamento sapientemente prescritte, crea effetti apparentemente magici.

Questo è ciò che Paul Watzlawick definì «ipnosi senza trance» e che, applicato al mondo della psicoterapia, diviene «ipnoterapia senza trance».

Numerosi sono i colleghi ipnotisti che tendono a negare questa realtà suggestiva e che la riconducono a fenomeni prettamente ipnotici (Loriedo, Zeig, Nardone, 2011); in realtà, suggestione e ipnosi sono fenomeni prossimi ma ben diversi. Se infatti nel caso dell’ipnosi abbiamo la possibilità di effettuare misurazioni oggettive, come le onde misurabili con l’elettroencefalogramma e le scale di induzione ipnotica rigorosamente applicabili (Weitzenhoffer, Hilgard, 1959; Yapko, 1990; Nash Barnier, 2008), nel caso della suggestione la misurazione è ben più difficile da effettuare, poiché si tratta di un fenomeno con molte più varianti e che si esprime in stato di totale veglia e di normale attività del soggetto coinvolto. Se allo stato ipnotico possono essere associati alcuni predittivi, soprattutto nel caso delle espressioni non verbali, questi segnali non sono obbligatoriamente presenti in uno stato suggestivo.

Un esempio è l’«effetto folla» studiato da Gustav Le Bon all’inizio del secolo scorso, quello stato di suggestione nel quale l’individuo, «immerso» in una massa di persone unite da uno stesso scopo, perde i freni inibitori adeguando il proprio agire individuale al comportamento del gruppo. Con le parole di Le Bon (1895), il singolo diviene «la goccia di acqua sospinta dalla corrente» rappresentata dalle tante singole gocce che però insieme formano una nuova irrefrenabile realtà: l’onda che travolge ciò che la contrasta.

Questo fenomeno, come è ben noto agli psicologi sociali, è alla base dei crimini perpetrati dalle masse. A ulteriore riprova della difficoltà di misurare oggettivamente la suggestione - per quanto si tratti di un fenomeno continuamente presente nella nostra realtà di esseri viventi in costante relazione con sé stessi, gli altri e il mondo - mi sia concesso di narrare un caso recentemente avvenuto. Presso la Link University di Roma, uno studioso di fama tenne una relazione magistrale sugli avanzamenti dei suoi studi a proposito dei cosiddetti neuroni specchio. In vista di una possibile collaborazione di ricerca, dopo la presentazione avemmo modo di scambiare le nostre esperienze.

Durante questa discussione chiesi allo studioso se si fosse mai rilevata l’attivazione dei neuroni a specchio in soggetti in stato di suggestione; lui, con l’entusiasmo tipico dei veri ricercatori, rispose che sarebbe stato davvero interessante realizzare una sperimentazione siffatta e mi chiese come fosse possibile misurare oggettivamente e quantitativamente la presenza di uno stato di suggestione.

Al mio replicare che, al momento, non vi erano strumenti oggettivi in grado di misurare tale fenomeno, se non una attenta osservazione dei mutamenti nel sentire e nell’agire delle persone che si trovavano in quello stato, egli concluse che non era possibile realizzare alcuno studio.

Questo scambio faceva emergere uno dei più insidiosi limiti della ricerca scientifica, ovvero il suo appiattirsi sui metodi quantitativi e, quindi, sui fenomeni a cui questi metodi possono applicarsi. E come se tutti i fenomeni puramente qualitativi, non «operazionalizzabili», non fossero importanti o addirittura non esistessero, poiché esclusi dalla ricerca (Nardone, Milanese, 2018; Castelnuovo, Molinari, Nardone, Salvini, 2013); i fenomeni suggestivi, non riducibili a una operazionalizzazione quantitativa, vengono ignorati anche se la loro evidenza empirica è spesso eclatante.

Sin dall’antichità sono noti esempi di suggestione sia individuale, sia di massa, in cui si assiste a una sorta di «imposizione» esterna cui la mente dei soggetti non può resistere, all’azione di una forza oscura che sottomette la volontà delle persone. Ma anche ai nostri tempi moderni le descrizioni dei fenomeni suggestivi non si discostano di molto da quelle antiche, a dispetto del progresso e dell’affinamento delle conoscenze. Basta cercare il termine, non solo nelle pubblicazioni enciclopediche o nei dizionari ma anche nei trattati specialistici di psicologia per verificare quanto sia tuttora fumosa, vaga e decisamente ben poco esplicativa la spiegazione del fenomeno, ridotta all’osservazione del fatto che la suggestione si opporrebbe alla volontà, alla logica e alla capacità di scelta razionale.

Gli stati suggestivi sarebbero non coscienti, o solo parzialmente tali, poiché prodotti da qualcosa che va ad alterare la lucida presenza e la volontà dell’individuo. Pertanto, l’accezione del termine è perlopiù negativa: la suggestione è pericolosa perché può far fare cose contro la propria volontà e ragionevolezza.

Tutte queste definizioni non tengono in considerazione che gran parte delle scoperte scientifiche, delle opere artistiche, delle imprese e dei record sono stati possibili grazie al fatto che chi li ha realizzati era in stato di suggestione, in quella che si definisce «trance performativa» (Nardone, Battoli 2019): sì, uno stato d’incoscienza.

Ma educato dall’esercizio reiterato, che libera la mente dalle costrizioni della lucida coscienza e della ragione permettendo al soggetto di esprimere potenzialità altrimenti bloccate. Non vengono considerati nemmeno i poteri terapeutici della suggestione, come nel caso dell’effetto placebo e di quello delle aspettative - effetti, questi, tanto sperimentalmente dimostrati quanto il più delle volte ignorati dalla medicina e dalla psicologia, paradossalmente proprio quando trattano di evidenze terapeutiche. La stessa cosa vale per gli studi relativi al linguaggio e alla comunicazione, settore disciplinare ove - sebbene il potere delle suggestioni evocative venga ben dell scritto ed esplicitato - si continua a indicare come preferibile una comunicazione «priva di orpelli retorici» e suggestioni.

Del resto, questa è la millenaria sorte della persuasione che pur ritenuta «la più nobile delle arti» (Nardone, 2015) viene guardata con diffidenza ed ancora bollata dai più come una modalità scorretta, se non addirittura disonesta, di comunicare. Platone ancora domina la scena della Filosofia (Whitehead, 2014) e purtroppo, oltre all’appiattimento delle scienze sui metodi quantitativi, le discipline logiche e filosofiche sono ancora gravate dal pregiudizio che solo ciò che è riconducibile a una logica stringente e a una razionalità cristallina possa essere considerato valido e legittimo. Ma questo modo di interpretare la conoscenza che l’uomo può sviluppare ne limita l’ambito a ciò che può essere ricondotto a quei criteri di valutazione e misurazione, rendendo la stessa riduzionista, sbilanciandola sul contesto della giustificazione e del controllo e tarpando le ali alla scoperta.

E invece, come ha sostenuto Albert Einstein, «La logica ci porta da A a B, l’immaginazione ovunque». O riguardo all’eccesso di fiducia nella logica basata sulla matematica si consideri che se inverti l’ordine degli addendi il risultato non cambia, se inverti l’ordine delle parole cambi il significato. In altri termini, limitare la scienza e le sue applicazioni solo a ciò che è operazionalmente misurabile e logicamente coerente, congruente e non contraddittorio è rendersi ciechi e sordi nei confronti di tutte quelle realtà che non riusciamo a spiegare per i limiti dei nostri metodi di conoscenza (Nardone, 2017). Il che ne produce le involuzioni invece che l’evoluzione; come accade in tutti i sistemi autoreferenziali, simili a stanze piene di specchi che si rimandano vicendevolmente la stessa immagine.

Per questo molti fenomeni naturali e sociali che mostrano concreti effetti, spesso riproducibili ma non spiegabili, vengono esclusi dalle cosiddette buone pratiche anche in ambiti dove potrebbero essere decisamente utili, come nel caso della medicina e della psicologia applicata. Abbiamo già citato ad esempio l’effetto placebo, che spesso risulta tanto efficace quanto normali terapie e talvolta anche di più, ma comunque in grado di elevare l’efficacia delle prescrizioni mediche: nonostante questo non viene mai annoverato dalla medicina tra i presidi terapeutici.

In ambito di psicologia clinica è dimostrato che l’aspettativa del paziente nei confronti della terapia e del terapeuta rappresenta il più rilevante tra i fattori di successo della cura, ma non viene spiegato che è frutto di suggestioni quali la notorietà e il carisma del terapeuta e la comunicazione per-suasoria riguardo ai metodi della terapia. Nel suo La speranza è un farmaco (2018), Fabrizio Benedetti espone numerosi esempi di come semplici suggestioni positive, evocate dal medico nei confronti di malati anche molto gravi, influenzino notevolmente gli effetti delle terapie. «Originariamente le parole erano magiche» ha scritto il fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud, frase ripresa da uno dei maestri della psicoterapia breve, Steve de Shazer (1994), che l’ha addirittura usata come titolo di un suo testo.

La «magia» effetto della comunicazione, non certo limitata alle parole, ma che comprende i gesti e la musicalità della voce e tutto ciò che è linguaggio analogico ed evocativo, tanto celebrato nelle arti, deve ritrovare spazio anche in una scienza che superi i suoi attuali limiti, poiché se il suo conclamato potere trovasse adeguata applicazione in discipline come la medicina, la psicologia e le scienze sociali ne incrementerebbe ed eleverebbe efficacia ed efficienza.

Lo scopo di questo testo è proprio quello di dare la giusta attenzione alla sfera arcana, «misterica» dei fenomeni suggestivi e degli stati alterati di coscienza, al loro effetto e alla loro applicazione come veri e propri strumenti terapeutici e metodi per realizzare cambiamenti personali, sociali e organizzativo-economici.

Analizzeremo quindi sia la suggestione e i modi per utilizzarla strategicamente, sia gli stati alterati di coscienza, per essere in grado di riprodurli e usarli come veicoli di cambiamento terapeutico e sociale. Vedremo come, in virtù della ultratrentennale esperienza clinica e di ricerca applicata, le tecniche di comunicazione suggestiva prima elaborate, poi sperimentate su una casistica davvero ampia, a livello anche transculturale e infine formalizzate in quanto veri e propri strumenti, siano capaci di mettere in atto tanto cambiamenti terapeutici «apparentemente magici», quanto sorprendenti mutamenti nelle relazioni tra le persone nei loro contesti sociali e/o professionali.

Questo è quanto insieme a Paul Watzlawick abbiamo definito, nel 1989, «ipnoterapia senza trance» (Nardone, Watzlawick, 1990).

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