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Cambiamenti climatici: gli arcobaleni sono un simbolo di speranza o di pericolo?

In molte culture il fenomeno variopinto dell’arcobaleno significa rischio invece che speranza. Un’idea in linea con uno studio che ne collega l’apparizione al cambiamento climatico in corso.

DI ALEJANDRA BORUNDA

pubblicato 30-10-2023

Cambiamenti climatici: gli arcobaleni sono un simbolo di speranza o di pericolo?

Un magnifico arcobaleno doppio si staglia sulle rocce rosse vicino a Sedona, in Arizona.

FOTOGRAFIA DI DEREK VON BRIESEN, NATIONAL GEOGRAPHIC IMAGE COLLECTION

Una mattina di qualche anno fa, mentre era nella propria casa nella Mānoa Valley di Oahu, la scienziata Kimberly Carlson guardò fuori dalla finestra e vide un arcobaleno dai colori così luminosi e intensi da toglierle il fiato.

Nulla di strano: ad oggi le Hawaii sono forse il luogo migliore al mondo per vedere gli arcobaleni, e a Mānoa in particolare ci sono le due condizioni ideali perché se ne formino di variopinti: piogge frequenti e molto Sole.

Ma Carlson, professoressa di scienze ambientali alla New York University, si rese conto di non sapere la risposta a una semplice domanda: il cambiamento climatico influirà sulla formazione dei meravigliosi arcobaleni delle Hawaii e dell’intero pianeta? Posta la questione ad alcuni colleghi climatologi, questi si incuriosirono a tal punto da formare un’intera classe di studenti per indagare a riguardo.

“Il cambiamento climatico sta influenzando la formazione degli arcobaleni: ora sappiamo che è così”, afferma Carlson, autrice principale del lavoro. La professoressa ha utilizzato modelli computerizzati per simulare le future condizioni necessarie per il verificarsi di questi fenomeni. Mentre i principali assetti meteorologici si modificano a causa del cambiamento climatico, infatti, entro la fine del secolo molte parti del mondo - in particolare i luoghi più vicini ai poli, come l’Alaska o la Siberia - diventeranno più piovosi, creando così le condizioni favorevoli ad una maggiore frequenza degli arcobaleni.

“Ma c'è anche un rovescio della medaglia”, avverte. Si prevede che in futuro il Mediterraneo, l’Africa meridionale e persino alcune zone del Sud America tropicale diventeranno più secche, e che entro il 2100 in queste zone potrebbe ridursi notevolmente il numero di giorni in cui si manifestano gli arcobaleni.

Dunque, anche se spesso provocano momenti di gioia come quello vissuto da Carlson a Mānoa, in realtà cieli più colorati sono un campanello d’allarme per seri problemi in tutto il mondo.

La “ricetta” dell’arcobaleno

“Gli arcobaleni sono come le erbacce: spuntano ovunque, piccoli o grandi, luminosi o a volte quasi invisibili”, afferma Raymond Lee Jr., esperto di ottica e meteorologia presso l’Accademia Navale degli Stati Uniti di Annapolis, nel Maryland; questo perché i fattori di base che li scatenano sono comuni e regolati da leggi fisiche relativamente semplici.

“La formula di base per poterne vedere un segmento naturale”, spiega Lee, “è avere della pioggia illuminata dal Sole”.

In primo luogo, quindi, sono necessarie delle gocce di pioggia: più grandi sono, meglio è, continua Lee, perché quelle più piccole riflettono e rifrangono la luce solare in entrata, facendo in modo che le onde luminose in uscita interferiscano tra loro, smorzando dunque la luminosità dell’arcobaleno; è poi necessaria della luce solare diretta che attraversi l’atmosfera ad un angolo inferiore a 42 gradi rispetto all’occhio dell’osservatore, cosa che avviene di mattina o di pomeriggio nella maggior parte del mondo. Infine, il cielo deve essere piovoso e non coperto da nuvole.

Carlson e i suoi colleghi hanno capito che potevano cercare le condizioni da loro individuate - per quanto fugaci ed effimere - nei modelli climatici, e confrontarle poi con reali osservazioni di arcobaleni, arrivando così a capire se i modelli ne riuscissero a prevedere accuratamente la comparsa.

Gli scienziati hanno setacciato Flickr (sito web di condivisione di fotografie) alla ricerca di foto con il tag “arcobaleno”, che fossero provenienti da tutto il mondo e pubblicate nell’arco di circa 10 anni. Le hanno poi abbinate ai luoghi che, secondo i modelli climatici, presentavano le condizioni giuste per il manifestarsi dei fenomeni variopinti, ossia posti con la giusta quantità di pioggia e l’assenza di una copertura nuvolosa troppo pesante, in particolari momenti ideali del giorno e dell’anno. Nella maggior parte dei casi, i modelli sono risultati corrispondenti alle osservazioni, dimostrando così di essere utilizzabili per prevedere il manifestarsi degli arcobaleni futuri.

Tuttavia Lee, che non ha partecipato allo studio, ha specificato che i modelli non sono riusciti a prevedere gli arcobaleni che si sono verificati durante gli scrosci di pioggia più intensi, ossia proprio quando - stando alle leggi della fisica - dovrebbero apparire gli archi colorati più spettacolari, causati dalle maggiori dimensioni delle gocce.

Cambiamenti climatici: gli arcobaleni sono un simbolo di speranza o di pericolo?

Gli arcobaleni si formano grazie a una semplice combinazione di ingredienti: i raggi del sole, la giusta angolazione e un cielo carico di gocce di pioggia; è poi necessario un osservatore con il sole alle spalle. L’insieme di questi fattori può dar vita a un fenomeno stupefacente ma, oltre la gioiosa visione, sono numerose le culture che lo considerano come un segno di pericolo o di rischio.

FOTOGRAFIA DI DELVIN GANDY, NATIONAL GEOGRAPHIC IMAGE COLLECTION

Un futuro con più arcobaleni

Quando il team ha applicato i modelli climatici al 2100 ricercando le stesse condizioni per la comparsa degli arcobaleni, è emerso uno schema chiaro: in generale, su una Terra più calda se ne vedranno di più.

In media, tuttavia, l’aumento sarà lieve: compariranno circa quattro o cinque giorni in più all’anno rispetto a quanto accade ultimamente: saranno 108-117 giorni (range che varia a seconda del modello che si consulta). Gli aumenti più significativi, però, saranno concentrati in pochi luoghi.

“I modelli prevedono un aumento notevole di questi fenomeni in Russia, Canada, Alaska e in punti ad altissima quota, come l’altopiano dell’Himalaya”, spiega Carlson. Qui si aggiungeranno 30, 40 o addirittura 50 potenziali giorni all’anno in cui compariranno arcobaleni.

Ma se dovessero apparire nel cielo senza che nessuno possa vederli, come sarebbe possibile tenerne conto? Infatti, si prevede che le zone del mondo che al giorno d’oggi ne sono più popolate e ricche - come il Mediterraneo e molte isole - avranno modo di assistere ad un numero minore di questi fenomeni. I luoghi in cui in futuro si verificherà un aumento di arcobaleni “non sono quelli che oggi sono più densamente popolati, né probabilmente lo saranno un domani”, afferma Carlson.

Queste dinamiche seguono gli schemi più ampi del cambiamento climatico: le variazioni infatti mettono in evidenza alcuni dei più gravi rischi e pericoli che gli sono correlati. Gli aumenti nell’Artide, ad esempio, si verificheranno probabilmente perché l’acqua che prima cadeva dal cielo come neve in un futuro più caldo sarà sempre più spesso pioggia. Si prevede inoltre che l’attuale Amazzonia, ad oggi ricca di arcobaleni, sarà sempre più frequentemente colpita dalla siccità; questo sia perché la foresta che ad oggi crea la propria pioggia perderà questo superpotere a causa della riduzione della sua superficie, sia perché il cambiamento climatico sta spostando e modificando a livello planetario le principali condizioni meteorologiche che causano le precipitazioni tropicali.

Uno strumento segreto

Quando Andrew Gettelman, scienziato del clima presso il Pacific Northwest National Laboratory, ha saputo dell’articolo di Carlson, le ha inviato immediatamente un’e-mail: stava lavorando a un progetto simile, ma con uno scopo diverso, ossia verificare la correttezza dei modelli climatici.

Questi ultimi sono molto utili per vari aspetti, ma faticano ancora a individuare con precisione alcuni ingredienti della “ricetta” dell’arcobaleno: i rovesci di pioggia e la copertura nuvolosa (da cui dipende la possibilità che il sole faccia capolino e ne generi uno). Dunque, “verificare se i modelli predicono correttamente gli arcobaleni è un buon modo per capire se il sistema è affidabile”, spiega Gettelman. Quelli che ha esaminato sono riusciti a farlo con precisione, con risultati corrispondenti a quelli di Carlson.

“Quello che probabilmente accadrà è che in futuro ci saranno meno nuvole e un po’ più di pioggia; e proprio perché le nuvole stanno diminuendo, sarà più semplice vedere gli arcobaleni”, afferma. In generale, ciò che viene suggerito dai modelli e dalla ricerca è che “le nuvole diventeranno un po’ meno comuni e più sottili”.

In definitiva, un futuro ricco di arcobaleni e meno nuvoloso potrebbe essere indice di seri problemi per il pianeta, sottolinea il ricercatore, perché le nuvole, in particolare quelle a bassa quota, contribuiscono a raffreddare la Terra, in quanto riflettono la luce solare in entrata.

Il significato degli arcobaleni: speranza, orrore e non solo

In questo senso, un futuro con più arcobaleni potrebbe essere in linea con la considerazione che molte culture mondiali nutrono verso questi fenomeni, tradizionalmente ritenuti un segno di pericolo o di rischio anziché un presagio positivo.

“Provate a pensarci: spesso sono associati a eventi climatici estremi”, prosegue Lee, e un forte acquazzone che si sposta rapidamente nel paesaggio intervallato dalla luce del sole, solitamente è segno di condizioni climatiche pericolosamente instabili.

In alcune comunità aborigene dell’Australia il fenomeno variopinto rappresenta il Serpente Arcobaleno, divinità creatrice ma anche forza distruttiva. La comparsa di quest’ultima - che avviene sotto forma di arcobaleno, appunto - è legata ai cicli stagionali dei monsoni, che si ritirano durante la stagione secca e riemergono, spesso con una certa violenza, durante quella delle piogge.

In Grecia, invece, il fenomeno è rappresentato dalla dea minore Iride, che spesso assolve la sua funzione di messaggera tra dei e mortali portando messaggi di guerra o di conflitto, oppure facendo da ponte tra la Terra e l’aldilà.

Nell’antica Babilonia, poi, molte calamità come la sconfitta di un famoso condottiero nel 651 a.C. furono precedute da straordinari arcobaleni, cosa che ha consolidato la loro reputazione di presagi oscuri.

In altri luoghi come le Hawaii, sono praticamente parte del paesaggio. La lingua dei nativi hawaiani ha tantissime parole diverse per descriverli: pūloʻu è usato per indicare un arcobaleno che non tocca il suolo; kahili è invece un frammento verticale che si protende verso il cielo; punakea, infine, è un arco molto flebile, formato da minuscole gocce che creano solo una debole macchia di colore.

Attualmente i modelli climatici non mostrano ancora grandi cambiamenti nella comparsa degli arcobaleni alle Hawaii, ma “qui nelle isole la tendenza generale va verso la siccità”, afferma Steven Businger, uno dei coautori dell’articolo nonché professore dell’Università delle Hawaii a Mānoa.

In attesa che ciò avvenga, Businger si accontenta di un piccolo lato positivo. “Il cambiamento climatico di solito porta siccità, disastri, distruzione”, afferma, “questa sua manifestazione, invece, è decisamente più eterea”.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente in lingua inglese su nationalgeographic.com.