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Marocco: le seduzioni del Grande Sud

Il Grande Sud è, prima ancora che un luogo geografico, uno stato d’animo.

da Elena Bianco

pubblicato 04-11-2020

Il Sahara lambisce il Marocco con l’erg - il deserto di sabbia - solo in due zone, e se al Sud il tempo rallenta, qui si ferma, come accade in una stella che collassi a causa della sua stessa densità. 

FOTOGRAFIA DI Elena Bianco

Basta passare il Tizi-n-Tichka, il valico dei pascoli a 2260 mt sull’Alto Atlante a sud di Marrakech, perché lo spazio e il tempo siano percepiti in modo diverso; dove e quando il colore diventa quello rosso-mattone della roccia e degli ksour che si sciolgono alle intemperie come castelli di sabbia abbandonati da un bambino capriccioso; dove e quando le strade diventano sterrate e il passato coloniale mostra le sue cicatrici. Come a Telouèt, nel grande palazzo di Thami el Glaoui, pasha di Marrakech, viveur e collaborazionista dei francesi; appena il Marocco ebbe l’indipendenza nel ’56, cadde in disgrazia ed oggi le sfarzose sale destinate alle feste e alle concubine, brillano come gemme seminascoste fra le sabbie del tempo. Una sorte meno decadente è toccata allo ksour di Ait Ben Haddou, che la bellezza prepotente ha reso divo di una lunga serie di film famosi, prodotti nella vicina Ouarzazate.

I volti dei Berberi, gli Imazighen, o uomini liberi, che qui sembrano parte inscindibile del paesaggio e come il paesaggio si trasformano.

FOTOGRAFIA DI Elena Bianco

Il Grande Sud è, prima ancora che un luogo geografico, uno stato d’animo. Quello che si legge sui volti dei Berberi, gli Imazighen, o uomini liberi, che qui sembrano parte inscindibile del paesaggio e come il paesaggio si trasformano. Sono nomadi pastori di capre e asini nelle gole che il fiume Todra intaglia in falesie di oltre 160 metri. Sono coltivatori e distillatori di rosa damascena nella Valle delle Rose a cui si accede attraverso l’oasi di Skoura, immersa in un palmeto di 25 chilometri. Diventano genti fluide più a sud, dove la montagna scolpita da stratificazioni geologiche fantasmagoriche, quasi a frattali, cede il posto al deserto che, come un’onda di tsunami, abbraccia la terra.

Il Sahara lambisce il Marocco con l’erg - il deserto di sabbia - solo in due zone, e se al Sud il tempo rallenta, qui si ferma, come accade in una stella che collassi a causa della sua stessa densità.  Il deserto s’intuisce da lontano, prima di arrivare a Zagora e di leggere il famigerato cartello stradale che appare sui (pochi) souvenirs e sulle (molte) foto dei viaggiatori: «Tombouctou 52 jours (a dorso di dromedario)». A Zagora si respira già un clima di frontiera, perché da qui la strada porta verso il nulla. A interrompere il vuoto così preponderante solo un dromedario selvatico che attraversa fregandosene delle precedenze, e un inatteso, colorato, rumoroso mercato a Tagounite, dove antichi forni cuociono ceramiche verde scuro. Da qui si arriva all’ultimo confine, M’Hamid, con la strada che si perde nella sabbia e si fa pista prima e crosta di sale poi.

il Marocco è grande e le velocità del vivere sono diverse. In ogni caso, bisogna lasciarsi andare alla fascinazione del momento.

FOTOGRAFIA DI Elena Bianco

Per ore esistono solo dromedari e meli di Sodoma, le piante velenose usate contro le verruche, finché d’improvviso esplodono le dune dell’Erg Chegaga, colline abbaglianti alte fino a 300 metri. Come sirene attirano a camminare sulla sabbia infuocata come brace, seguendo la mappa dei disegni del vento sulle creste. I “bivouac”, oggi, sono a cinque stelle. Ma le umane comodità non hanno minimamente intaccato il fascino maestoso del luogo. I colori - rosa al tramonto, mattone all’alba - continuano ad accendersi purissimi. I Touareg, fasciati nella tagelmust, mantengono intatta la loro altera eleganza. Attorno al fuoco serale si rinnova una malìa antica.

D’altra parte il Marocco è grande e le velocità del vivere sono diverse. Se la Djemaa el Fnaa e la medina della Marrakech di oggi sono il regno di uno shopping che offre ottimo artigianato, alcuni vicoli della Mellah portano alla mente le atmosfere rarefatte narrate da Elias Canetti negli anni ’50 in Voci di Marrakech. In ogni caso, bisogna lasciarsi andare alla fascinazione del momento. Bene diceva nel suo In Marocco Tahar Ben Jelloun: «Il Marocco non si concede, non si dà. Forse bisogna sorprenderlo nel sonno o quando è insonne, in una notte di luna piena. Il Marocco è un enigma da sedurre con garbo».

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