Van Dyck, ritrattista di corte

Van Dyck, ritrattista di corte

Una mostra a Torino

Van Dyck, ritrattista di corte
Nel breve filmato (Save the date, 2019), la storica dell'arte e curatrice Annamaria Bava, presenta la mostra "Van Dyck. Pittore di corte", allestita alla Galleria Sabauda di Torino, tra il 2018 e il '19. 

Allievo prediletto di Rubens, artista precoce e di indole inquieta, van Dyck viaggiò più del maestro e raramente si fermò a lungo in un posto, ma dovunque arrivava signori e monarchi si contendevano un suo ritratto, tanto che la sua firma, ancor oggi, restituisce la precisa immagine delle corti europee

Antoon van Dyck (1599-1641), nasce ad Anversa, settimo di dodici fratelli di una ricca famiglia borghese che, da qualche generazione, commerciava la seta. Dal 1609, il giovane entra da apprendista pittore nella bottega di Hendrik van Balen (1575-1632), una delle figure di spicco di Anversa, dal quale apprende i rudimenti della tecnica pittorica. A sedici anni circa, l'artista apre una propria bottega indipendente, già prima di essere riconosciuto "Maestro" dalla "Gilda di San Luca", corporazione che nelle Fiandre amministrava le professioni e nella quale Antoon entrava nel 1618.  


Anonimo (forse Pieter Paul Rubens), Autoritratto di Rubens e van Dyck, 1615 circa, olio su tela, 58x74cm., Museo del Louvre, Parigi

Non è chiaro come, dove e quando, Pieter Paul Rubens (1577-1640) e van Dyck si conoscono, ma è certo che i maggiori artisti d'Anversa visitavano incuriositi lo studio del pittore emergente, affiancato da apprendisti più giovani di lui, come Jan Brueghel il Giovane (1601-1678). 
L'incontro tra i due, avvenuto intorno al 1615 circa, fu propiziatore:  riconosciute le doti, Rubens lo fece suo stimato collaboratore, come si evince dal "doppio ritratto", spesso citato quale prova dello stretto rapporto tra maestro e allievo.
Con Rubens, già poco prima del 1617, van Dyck collabora ad importanti commesse per le chiese di Anversa: lo affianca sia nel ciclo di tele sui "Misteri del Rosario", destinate alla Chiesa di San Paolo, su commissione dei domenicani sia, nel 1618, per le decorazioni della Chiesa di San Carlo Borromeo (Rubens, il Principe del Barocco). 

L'influenza di Rubens in questi anni è determinante. Gli interessi intellettuali ad ampio spettro, la profonda conoscenza dell'arte, dell'architettura, della letteratura classica antica, sono suggestioni forti per l'allievo particolarmente permeabile, come evidente nelle sue prime opere 

Più giovane di ventidue anni, van Dyck raggiunse presto le stesse capacità del maestro. Vicino a Rubens, studia e approfondisce, in primis, la "pittura di storia", anche religiosa e mitologica, per la quale impara ad istoriare su grande scala. E di sicuro, van Dyck guardava anche a quei "ritratti di gruppo" che il maestro dedicava a toccanti scene familiari, con mogli e figli.
Infatti, sarà il ritratto l'espressione più originale di van Dyck, ma l'approccio dei due pittori è molto diverso. Rubens unisce la conoscenza dei modelli rinascimentali all’osservazione diretta e realistica, van Dyck,  più intuitivo e geniale, elabora nuove iconografie, come quella del "ritratto mitologico" e soprattutto, dimostra una capacità di scrutare l'animo umano profondo veramente inedita, degna della grande tradizione fiamminga del Nord, attenta ai minimi dettagli e alla psicologia del personaggio plasmato dal pittore. 


Antoon van Dyck, Sir Georges Villiers e Lady Katherine Manners, in Venere e Adone, 1620-'21, John Paul Getty Museum, Malibu

Dal 1620 al '21, van Dyck compie un primo soggiorno a Londra. La tela che ritrae Sir George Villiers, futuro duca di Buckingham e la moglie Katherine Manners, nelle vesti di "Venere e Adone" (1620-'21), è un esempio di "ritratto allegorico". Van Dyck lo dipinge negli anni in cui anche Rubens si accingeva ad elaborare la stessa formula nel ciclo di Maria de' Medici (1622-'25). Il giovane, che in "Venere e Adone" evocava il gusto pastorale e mitologico di Tiziano, già esibiva il coraggio di un anticonformismo di sicuro censurato nella cattolica Anversa.

Nello studio di Rubens, centro di conoscenza dell’Italia, van Dyck trovava opere, stampe e disegni originali delle antichità classiche, del grande Rinascimento romano e dei pittori veneziani, sui quali aveva studiato il maestro

Nel 1621, van Dyck lascia Londra per l’Italia, un viaggio formativo allora consueto tra gli artisti fiamminghi, ma qui, la fama lo precede e il giovane si sposta sulle orme di Rubens tra Genova, Roma, Venezia, Padova, Firenze, Mantova, fino a Palermo, per vedere con i suoi occhi quello che fino ad allora era stato mediato dall'esperienza del vecchio pittore. 
I suoi ricordi dell'Isola, sono conservati nel “Taccuino italiano” (British Museum, Londra), un quaderno di oltre un centinaio di fogli, pieno di disegni ed aneddoti colti durante il soggiorno, tra il 1621 e il '27. 


Antoon van Dyck, Ritratto di Agostino Pallavicino, 1621, olio su tela, J. Paul Getty Museum, Los Angeles

A Genova, van Dyck abita presso i fratelli Lucas (1591-1661) e Cornelis de Wael (1592–1667), pittori e mercanti d’arte di Anversa che, stabiliti nella Superba, avevano creato una "colonia" di artisti fiamminghi nella loro "casa bottega", offrendo accoglienza, strumenti di lavoro e contatti con i committenti locali. Sarà questa, fino al suo rientro definitivo, la base di van Dyck durante gli spostamenti per l’Italia. 

Genova è una cornice ideale per il pittore, a  suo agio nel mezzo del ricco patriziato di banchieri e commercianti che, ben consapevoli del valore simbolico e celebrativo delle immagini, faranno a gara per farsi ritrarre dall'artista 

Il primo ritratto genovese eseguito dall'artista, nel 1621, è sicuramente quello dedicato al futuro Doge della città, Agostino Pallavicino, immortalato in occasione della nomina ad ambasciatore della Repubblica. Come in tutti i ritratti di van Dyck, la figura appare di tre quarti e su un fondo neutro, utile a far risaltare i bianchi della gorgiera pieghettata che cinge il collo e mette in risalto il viso sul quale l'artista fissa l’attenzione. Per presentarsi al cospetto di Gregorio XV, Pallavicino si fa ritrarre con una magnifica veste in seta rossa, riccamente decorata e luccicante, una forzatura che avrebbe suscitato l’invidia di qualche cardinale romano. 


Antoon van Dyck, Ritratto di Paolina Adorno Brignole Sale, olio su tela, 286x151cm., Palazzo Rosso, Genova

Van Dyck tornava a Genova dopo la Sicilia, dal 1625 al '27. Al secondo soggiorno, risalgono i ritratti di Anton Giulio Brignole Sale e della moglie Paolina Adorno, uno dei rari esempi di ritratti concepiti "en pendant" e rimasti ancora insieme. Mentre il marito sfoggia in un grande ritratto equestre, eseguito nei celebri esempi rubensiani, la moglie si palesa in un grandissimo formato, compendio di tutti gli stilemi del pittore. La figura intera di tre quarti, lo sguardo rivolto allo spettatore, lo spazio connotato da imponenti colonne, e sontuosi drappi rossi, la presenza di animali allegorici e soprattutto, il magnifico abito da parata di Paolina, realizzato con una sottile stesura di blu e una materia più corposa, una pasta gialla e bianca, ad imitare l’oro dei ricami.

Paolina, sulla soglia dei vent’anni, all’apice della giovinezza, viene ritratta con gli elementi simbolici della "Vanitas", ad indicare la caducità della bellezza destinata a finire: le piume del pappagallo sul cuscino e la rosa aperta in piena fioritura, in mano alla dama

L’impatto dei pennelli di van Dick a Genova sarà decisivo per due generazioni di pittori liguri, memori della lezione impartita proprio sui ritratti dell’aristocrazia.  
Nel 1622, van Dyck si sposta a Roma. Mentre a Genova fu ben accolto, nell'Urbe non si integra nell’ambiente artistico dei suoi conterranei, perché qui, la rumorosa “banda dei pittori fiamminghi”, annoverava una maggioranza di paesaggisti e caravaggeschi olandesi (Caravaggio e la sua "cerchia"), ostili sia al pennello rapido e sicuro del giovane, sia ai suoi modi pomposi, sempre accompagnato da servitori.


Antoon van Dyck, Ritratto di Virginio Cesarini, 1623, olio su tela, 104,8x86,5cm., Museo Statale Ermitage, San Pietroburgo

A Roma, van Dyck dipinge alcuni ritratti di personaggi importantissimi, tra cui quello del Cardinale Maffeo Barberini, prossimo papa Urbano VIII (1623-1644), oggi perduto. Ma il ritratto più straordinario, è dedicato a Virgilio Cesarini, eseguito un anno prima la sua prematura morte per tubercolosi. Cesarini, era uno degli intellettuali più in vista della Roma di inizio Seicento: finissimo poeta, pupillo del gesuita Roberto Bellarmino, membro dell'Accademia dei Lincei, amico di Galileo e del Cardinale Barberini.

Van Dyck coglie nel ritratto il mistero del giovane chierico: l'aria nobile ed estenuata, lo sguardo intenso e rivolto altrove, le parole tra le labbra e la mano destra gesticolante un discorso 

Il soggiorno di van Dyck in Sicilia, nel 1624, rappresenta l’episodio più sensazionale del suo viaggio in Italia. Chiamato a Palermo dal Viceré Emanuele Filiberto di Savoia, pronipote di Carlo V, del quale eseguiva il ritratto (Dulwich Picture Gallery, Londra), il pittore annotava nel suo "Taccuino" fatti e storie di costume palermitani: dall'incontro con la ritrattista Sofonisba Anguissola (1532-1625), ormai cieca e ultra novantenne, alle feste popolari della Commedia dell’arte, fin'anche al "miracolo di Santa Rosalia". 


Antoon van Dyck, Santa Rosalia incoronata dagli angeli, 1624, olio su tela, 155x132cm., Galleria Regionale di Palazzo Abatellis, Palermo

Il pittore, che arrivava a Palermo durante un'epidemia di peste, assisteva al ritrovamento da parte di alcuni monaci francescani delle reliquie di Santa Rosalia. Il fatto clamoroso, indusse la cittadinanza a "risolvere" il problema sanitario portando in processione le ossa della Santa per la città.


Antoon van Dyck, Santa Rosalia in gloria, intercede per la fine della peste a Palermo, 1624, olio su tela, 99,7x73,7cm., Metropolitan Museum of Art, New York

Van Dyck, creava l’iconografia di Santa Rosalia, futura patrona di Palermo, celebrata in alcune tele commissionate dai nobili siciliani, opere che contribuiranno a plasmare la pittura Barocca del siciliano Pietro Novelli (1603–1647), detto il Monrealese. Non sono molte le opere religiose di van Dyck, ma nella penisola, l’artista rinnova anche la tipologia del "Cristo in croce", rappresentato con grande pathos nella figura cadente e molto allungata, con le braccia tese verso l’alto, come gli esempi conservati a Genova, Venezia e Napoli.

Dopo il viaggio in Italia, van Dyck conserva i modi sperimentati nella penisola; i colori più fluidi e cangianti, i tocchi di pennello più larghi, lo strato di colore meno liscio e gli impasti più generosi, caratteristiche che riesce ad adattare, di volta in volta, alle richieste dei committenti

Nel 1627, van Dyck torna ad Anversa accompagnato da una grande fama. Qui, avvia l'intensa attività di ritrattista e mentre con i suoi pennelli lavora per la borghesia locale, abbigliata alla moda del Nord, in modelli a mezzo busto, l'artista prende in mano il bulino e realizza un progetto di incisioni unico nel suo genere.


Antoon van Dyck, Ritratto del pittore Jan de Wael, da "Iconografia di V. D.", Calcografia del Louvre, Parigi

L'intensa attività di ritrattistica degli anni italiani, sfocia in un centinaio di incisioni ad acquaforte, dedicate ad uomini illustri del suo tempo, a cui si aggiungeranno anche i ritratti dei Reali inglesi. "Iconografia di V. D." (Calcografia del Louvre, Parigi), così chiamata dall'artista, pubblicata e rilegata ad Anversa nel 1645, dopo la morte di van Dyck, raccoglie diciotto incisioni originali dedicate soprattutto alle effigi di intellettuali nordeuropei, come il caso del pittore Jan de Wael (1558-1633), padre degli amici genovesi di Antoon, Lucas e Cornelis. L'originalità della raccolta, a cui lavorano anche i suoi collaboratori, è data non solo dai ritratti derivati dai dipinti, ma anche da alcuni piccoli "chiaroscuri" di personaggi abbozzati in veloci schizzi, dalla mano dell'artista.

Nel 1632, van Dyck arriva a Londra dove rimane, pressoché stabilmente, fino alla morte, nel '41. Sepolto nella cattedrale di Saint Paul, la sua tomba scompare nel grande incendio di Londra del 1666

A Londra, pagato e spesato di tutto, van Dyck diventa il primo "pittore di corte" del re Carlo I d’Inghilterra, suo principale mecenate e al tempo stesso, con la moglie Enrichetta, grande collezionista sensibile all’arte contemporanea. 


Antoon van Dyck, Ritratto di Carlo I con M. de Saint-Antonie suo maestro di equitazione, 1636, olio su tela, 368,4x269,9cm., Castello di Windsor, Windsor

Onorato dal titolo nobiliare, van Dyck dipingeva i ritratti del re, della regina e dei figli, esibendo il suo genio ora maturo. Nelle circa quattrocento tele realizzate a Londra, in quasi otto anni di permanenza, l'artista restituiva la propria visione della società inglese che gravitava attorno alla corte e a una famiglia reale, il cui modo di essere era tutto esteriore.
In una serie di ritratti equestri d’apparato celebrativo, l'artista offriva l'immagine fiera e maestosa di un monarca assoluto: al ritratto di  "Carlo I a cavallo" (1636, National Gallery, Londra), segue una seconda versione del sovrano con il suo maestro di equitazione Saint-Antonie.

Carlo I, su un grande destriero bianco, attraversa un arco di trionfo, vestito con un'armatura da parata sulla quale spicca il nastro azzurro dell'Ordine della Giarrettiera e in mano, regge il bastone del comando militare

A sinistra, sotto il grande drappo verde simbolo della potenza regia, van Dyck ritrae il maestro personale di equitazione del re che, con in mano l'elmo di Carlo, lo guarda sottomesso. A terra, un grande stemma con i simboli di Casa Stuart, sormontato da una corona. 


Antoon van Dyck, Enrichettaria di Francia, 1636-'38, Museo d'Arte di San Diego, California

Nel 1626, Carlo I era asceso al trono e un anno prima, sposava per procura la bella Enrichetta Maria di Borbone, ultima figlia di Enrico IV di Francia e di Maria de' Medici. Più giovane di lui di nove anni, dotta e amante delle arti, il matrimonio del re protestante con la principessa cattolica non fu facile, ma ebbero nove figli, più volte ritratti da van Dyck, dei quali solo sei sopravvissero all'infanzia. 


Antoon van Dyck, Re Carlo I e la regina Enrichetta Maria, 1632, olio su tela, 113,5x163cm., Castello Arcivescovile di Kroměříž, Repubblica Ceca

Tra i pochissimi ritratti di coppia realizzati da van Dyck, quello dei due coniugi reali inglesi, fatto appena giunto a corte, rappresenta una rarità perché l'artista, era solito esibire i congiunti in due tele en pendant. Poco prima di van Dyck, quello che era stato fino ad allora il pittore ufficiale di corte, anche lui fiammingo, Daniel Mytens (1590-1648), aveva già realizzato un ritratto della coppia che però non era piaciuto. La tecnica di van Dyck, appariva molto superiore e più moderna rispetto a quella di Mytens, tanto che l'artista umiliato, lasciò Londra. 
Van Dyck adatta la figura della regina da un suo ritratto singolo e Carlo I, di solito abbigliato in scuro, qui appare con un abito rosa-arancio che richiama i nastri di Enrichetta. 
L'insieme, restituisce la sensazione di un ritratto informale e quasi privato, rispondente alla richiesta del re. 


Antoon van Dyck, Carlo II, Maria e Giacomo II, figli di Carlo I ed Enrichetta, Royal Collection, Castello di Windsor

Nei molti ritratti reali, dedicati ai figli di Carlo ed Enrichetta, van Dyck riuscì a rinnovare il genere proprio grazie alle sue doti intuitive e all'estro fantasioso.
Tuttavia, nella prima versione del ritratto di Carlo, Mary e James, mentre il pittore cercava di rendere più leggero e meno austero il tutto, sia il re, sia la regina, ebbero da dire sui figli abbigliati come "mocciosetti" e "privi di posa". 
Il quadro, oggi ai Musei Reali di Torino, venne accantonato e sostituito da un altro (Royal Collection, Castello di Windsor), dove il piccolo Carlo, futuro erede al trono, veste una mise più regale d'oro zecchino e Mary, appare più composta.

FOTO DI COPERTINA
Immagine tratta dalla mostra di van Dyck: sullo sfondo il "Ritratto di Carlo I in tre posizioni" (1635, Castello di Windsor), realizzato dall'artista