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Nell'era dei sold out gonfiati, la favola di Ultimo è realtà

L'impresa del cantautore: portare 195 mila spettatori all'Olimpico. Il racconto del concerto.
Nell'era dei sold out gonfiati, la favola di Ultimo è realtà

Quelle sei lettere stampate sulla canottiera che indossa nel video che riproduce i riti che esegue al momento di salire sul palco, mostrato sul maxischermo orizzontale che si illumina non appena si spengono le luci dello Stadio Olimpico, prima dell’ingresso con “Sono pazzo di te”, gli ricordano che Ultimonon è un nome d’arte. È semmai un’idea, un concetto, una filosofia. Niccolò Moriconi lo ribadirà anche alla fine dello show, sulle note di “Sogni appesi”, la sua canzone-manifesto: “Da quando ero bambino, solo un obiettivo / dalla parte degli ultimi, per sentirmi primo”, urlerà, con tutta l’adrenalina che ha in corpo,

facendosi specchio, immagine riflessa di chi gli sta davanti e intorno. Il coro all’unisono che si alzerà nel finale sulle note della canzone con la quale Ultimo aggiorna le intense immagini di chiusura del concerto che quattro anni fa, nel 2019, lo vide celebrare sul palco dello stadio della sua città i suoi primi trionfi, contenute anche nel recente docu-film su Prime Video, è un indice a suo modo emblematico della capacità delle sue canzoni di aggregare, di cementificare uno spirito di comunità e di rappresentarlo. Sembrava incredibile, allora, che ad appena un anno e mezzo da quella “Il ballo delle incertezze” che lo aveva consacrato come un nuovo principino della canzone italiana Ultimo potesse già riempire l’Olimpico. Quarantotto mesi dopo, il cantautore su quel palco scrive una nuova pagina della sua storia. Anzi, tre. Quello che ieri sera lo ha visto tornare ad esibirsi nella sua città a un anno dallo show al Circo Massimo è stato il primo di tre concerti - replica stasera e poi ancora lunedì - per i quali gli organizzatori hanno dichiarato altrettanti sold out: 195 mila i biglietti venduti. La favola di Ultimo assume dimensioni sempre più epiche.



Sul palco il 27enne cantautore partito da San Basilio alla conquista del successo celebra il rapporto con quel pubblico che, evidentemente, numeri alla mano, in questi quattro anni non ha mai smesso di seguirlo. Il sold out è reale, non gonfiato come in certi casi, frutto di chissà quali magheggi: lo si intuisce ancor prima che lo show cominci, ascoltando i cori che si alzano dal parterre e dagli spalti, che riempiono anche quei pochi posti rimasti vuoti per imprevisti dell’ultim’ora, con il nome di Ultimo urlato.

 E poi il boato che alle 21.15, quando il cantautore compare sul palco, fa esplodere lo Stadio Olimpico. Non ci sono spettatori occasionali. “Sono pazzo di te”, “Ovunque tu sia” e “Ti va di stare bene” segnano un inizio intenso. .È un successo palpabile e concreto, non liquido, non fake, quello di Ultimo: ha le sembianze dei volti entusiasti dei fan accalcati nel parterre che vengono inquadrati e trasmessi in tempo reale, in rallenty, sul maxischermo alle spalle del cantautore, mentre cantano ogni verso delle sue canzoni. Già, le canzoni: sembrano essere state pensate in funzione dei live, più che per essere streammate compulsivamente sulle piattaforme. Raccontano una verità. Che viene evidentemente percepita come autentica, credibile. E che crea legami che valgono molto di più di un mucchio di televoti o di pareti stracolme di Dischi d’oro e di platino. Forse si può spiegare così un successo del genere. Ultimo parla soprattutto ai ventenni assetati di appartenenze, a quelli che hanno voglia di credere in qualcosa, senza sapere bene cosa, a chi si fa domande senza riuscire a darsi delle risposte. “E costa cara la fragilità / per chi un posto al mondo non ha”, canta in “Sabbia”, una delle prime canzoni pubblicate. Era il 2017: era lontanissima anche la partecipazione al Festival di Sanremo, tra i giovani, con “Il ballo delle incertezze”, figuriamoci tutto quello che sarebbe successo dopo. “Ero anch'io ragazzo senza voglia / parlavo dei miei sogni a chi non sogna”, ricorda oggi ne “L’unica forza che ho”.


La favola di Ultimo - che punta anche a San Siro, dove si esibirà il 17 e 18 luglio, e intanto ha annunciato il primo appuntamento per l’anno prossimo, quello che l’8 giugno 2024 lo vedrà esibirsi dal vivo allo Stadio Diego Armando Maradona di Napoli - è una storia condivisa, un romanzo corale. Guardandosi attorno si ha l’impressione che tutti si conoscano, allo Stadio Olimpico. È come se il concerto fosse un raduno, un ritrovo tra amici. È raro vedere un’adesione così precisa tra chi sta sul palco e chi canta sotto o tutto intorno, a meno che non si tratti di un concerto di

Vasco Rossi. Con le dovute proporzioni, Ultimo ne ricorda l’ambizione a quell’epicità che lo porta a immaginare i suoi concerti come riti collettivi (peraltro nella band c’è un piccolo pezzo di storia del rocker di Zocca: il sax lo suona Andrea Innesto, al fianco di Vasco dal 1985 al 2017, che insieme al batterista Mylious Johnson, uno che ha suonato con Madonna, le Destiny’s Child, Quincy Jones e in Italia con Jovanotti, Tiziano Ferro e Gianna Nannini, porta nel gruppo un po’ di esperienza). Anche per dimensioni. Il palco è imponente, con oltre 600mq di maxischermo sormontato da 500 corpi illuminanti a rendere la scenografia ancora più impattante e una passerella a croce che si allunga sulla platea fino a raggiungere il cuore del parterre, percorsa da Ultimo sulle note di “Piccola stella”, “Poesia senza veli”, “Il ballo delle incertezze” e “La stella più fragile dell’universo”, piccoli inni generazionali che rendono epici anche i tormenti adolescenziali da cameretta messi in musica dal cantautore prima del successo.



Come in ogni favola, anche in quella di Niccolò-Ultimo ci sono degli antagonisti. Non importa se immaginari o reali. Per Ultimo sono i detrattori. Il primo sassolino dalle scarpe, sul palco dell’Olimpico, se lo leva nel duetto intergenerazionale con Antonello Venditti, che definisce un “padre artistico”, su “Sora Rosa”: “C’ho er core a pezzi pe’ la vergogna / de questa terra che nun m’aiuta mai / de questa gente che te sputa n’faccia / che nun ha mai preso ‘na farce in mano”, canta, in romanesco, portando nei versi di una delle prime canzoni di Venditti l’insolenza e la disillusione di chi è sempre stato ai margini, quella sana rozzezza di chi è nato ai bordi di periferia.

“È una canzone che parla agli ultimi. L’ascoltavo quando avevo 15 anni”, racconta Ultimo, sotto lo sguardo severo di Antonellone, prima di sedersi con le gambe icrociate a guardare il maestro alle prese con la classica “Notte prima degli esami”. .Su “Canzone stupida”, come al debutto della scorsa settimana a Lignano Sabbiadoro, arriva l’attacco ai giornalisti. È una strategia di posizionamento: andare contro la stampa è comodo, funziona. Soprattutto se tra tutti gli articoli usciti in questi anni sceglie i quattro o i cinque che sono più funzionali al tipo di racconto che vuole costruire. “Canzone stupida, canzone stupida / come te, come quello che scrivi”, sorride, indicando gli articoli riprodotti sul maxischermo.

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“Colpa delle favole”, “Sul finale”, “Quel filo che ci unisce”, “Tutto questo sei tu”, “Supereroi” e poi ancora “Alba”, “L’eleganza delle stelle”, “Solo”, “Rondini al guinzaglio”, suonate al piano sospeso a mezz’aria su una pedala che si alza al centro del palco, “Vieni nel mio cuore”, “Ti dedico il silenzio”: davanti agli oltre 60 mila dell’Olimpico Ultimo mostra grinta, consapevolezza e sfoggia un repertorio ormai solidissimo, con i brani degli ultimi due album, “Solo” e “Alba”, che vanno ad aggiungersi a quelli di “Pianeti”, “Peter Pan” e “Colpa delle favole”. Quell’idea di nuovo-vecchio cantautorato che Ultimo porta avanti ormai da sei anni, che guarda con rispetto a maestri come lo stesso Venditti, a Renato Zero o a Claudio Baglioni (forse non è un caso che abbia vinto il Festival di Sanremo, tra i giovani, nella prima delle due edizioni baglioniane), lo recupera e lo rielabora, rendendolo in qualche modo presente,

è diventato una reference nel pop italiano. Nei testi racconta sentimenti semplici, comuni: non hanno chissà quali ambizioni se non quella di aggregare in un’unica grande storia le storie individuali, che poi paradossalmente è l’ambizione più grande. E puntano a rendere epici anche quei “piccoli particolari” di cui canta Ultimo. Come una birra con gli amici al “parchetto” a San Basilio, dove incontrava la sua comitiva prima del successo e dove, di tanto in tanto, va a ritrovare le sue radici: oggi su Google Maps si chiama “Parchetto di Ultimo”, per dire. 

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La favola di Ultimo vuole essere d’ispirazione: “È una storia semplice, senza effetti speciali: avevo un pianoforte e le mie parole. Nient’altro. Io ho scelto di chiamarmi Ultimo e di provare a vincere con questo nome, proprio per tentare di ribaltare i pronostici. Non so se posso già dire di aver vinto, posso dire però che sto giocando la partita che volevo giocare”, spiega. Su “Fateme cantà” canta le sue urgenze: “E fateme cantà / pe’ l'amici che ho lasciato ar parcheggio / io che quasi me ce sento 'n colpa / pe ave' avuto 'sto sporco successo / che è amico sul palco e t'ammazza nel resto”. Se non commuove, di sicuro affascina. Si commuove anche lui. Su “Sogni appesi”, mentre scorrono i titoli di coda, racconta che alla fine il segreto per arrivare al cuore della gente è farsi un mazzo tanto: "Non smettete mai di credere alle favole - urla - abbiamo vinto noi". 



SCALETTA:
“Sono pazzo di te”

“Ovunque tu sia”
“Ti va di stare bene” “Sabbia”
“Nuvole in testa”

“L’unica forza che ho”
“Piccola stella”

“Poesia senza veli”

“Vivo per vivere”
“Sora rosa” (con Antonello Venditti)
 “Il ballo delle incertezze”



“Amati sempre”

Medley: “La stella più fragile dell’universo”, “Tu”, “Cascare nei tuoi occhi”, “Peter Pan”, “Farfalla bianca”, “Chiave”, “Buongiorno vita”

“Ipocondria”

“Canzone stupida”

“Colpa delle favole”

“Sul finale”

Medley: “Quel filo che ci unisce”, “Tutto questo sei tu”

“I tuoi particolari”

“Supereroi”

Medley piano e voce: “Alba”, “Amare”, “L’eleganza delle stelle”, “Solo”, “Giusy”, “Rondini al guinzaglio”

“Vieni nel mio cuore”

“Ti dedico il silenzio”

“Pianeti”
"Fateme cantà"

“22 settembre”

“Sogni appesi”

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