Società

Sangue, quel fluido vermiglio che pulsa, ribolle, unisce e divide

L’editoriale della puntata di Cliché del 3 aprile 2024

  • 3 aprile, 11:00
  • 4 aprile, 12:21

Sangue

Cliché 03.04.2024, 22:00

  • iStock
Di: Tommaso Soldini

Il sangue chiama il sangue. È come il battito di uno strumento musicale a percussione, pulsa, riverbera l’eco del cuore. Fa tremare le vene e i polsi; nel bene e nel male. Perché se è vero che la vendetta e l’odio sembrano essere dei sentimenti primari, capaci di trasformare ogni placido vicino di casa in un Caino qualsiasi, allo stesso tempo la linea del sangue chiede di essere prolungata, come se l’essere umano fosse spinto da una forza superiore e irrazionale. Che ci fa dire tu sei il sangue del mio sangue, come se la frase stessa fosse una dichiarazione d’amore, anzi, di più, un’eredità, un’investitura che può produrre valore o nepotismo.

Forse è proprio l’immagine della famiglia, la cerchia familiare, che sa riprodurre al meglio il girare in tondo di questo elemento rosso come il drappo che fa perdere il senno a tutti i tori da corrida. Perché quando qualcuno strappa una tessera di questo mosaico fragile e dall’apparenza perfetta, la rabbia che ne scaturisce può essere cieca e irrefrenabile. Ne è l’esempio massimo l’eroe Achille, così sconquassato dalla morte del suo amato cugino Patroclo da voler distruggere tutta la genia dei troiani, che uccide e scaraventa nello Scamandro. È il fiume stesso, funestato dalla sua ira, ad assumere forma umana per cercare di placare l’eroe dal tallone più famoso.

«Ma ficca li occhi a valle, ché s’approcciala riviera del sangue in la qual bolle
qual che per vïolenza in altrui noccia»

Virgilio indica a Dante un altro fiume scarlatto, il Flegetonte, vale a dire quello che, nell’antichità, era un fiume di fuoco e che nella Commedia è diventato di sangue.

Il sangue ribollente è immagine reale e metaforica allo stesso tempo. Siamo nel canto XII, stiamo per incontrare i violenti contro gli altri, quelli cioè che in vita hanno sentito il proprio sangue ribollire. Questa rabbia e brama di potere li ha portati a uccidere, sterminare, far scorrere, appunto, grandi quantità di quel liquido vermiglio che, una volta a terra o sugli abiti, fa scivolare via la vita. Nel profondo dell’Inferno, gli assassini vengono così lessati da quella stessa sostanza che avevano versato con i loro delitti.

Insomma il sangue è un liquido che è bene tenere nascosto, nelle arterie e nelle vene, dato che, fino a quando sta lì, porta ai diversi organi energia, calore, ma anche un sistema di difesa che raramente fallisce. Quando lo si vede, invece, spesso non è perché Dio sta disegnando una croce di sangue nel lavandino di Dan Brown, investendolo del ruolo di difensore del Graal, il sangue reale; di solito, più prosaicamente, la porcellana si tinge di rosso perché ci si è incisi col coltello o col rasoio, con la scatola di tonno, con una, in definitiva, delle mille potenziali armi da taglio che infestano il nostro quotidiano, nascoste da un’altra funzione, eppure pronte, alla prima distrazione, a diventare offensive.

Ma che esca per epistassi, per una cipolla scivolosa o perché qualcuno ha sparato il più classico dei colpi alla testa, il sangue chiama anche la nostra repellente curiosità. Le file di automobili che si formano sulle autostrade quando, dall’altra parte del guardrail, c’è stato un incidente, sono solo la rappresentazione plastica di tutti quegli occhi che seguono le cronache, sulle riviste o alla televisione, degli omicidi più neri, provinciali, terribilmente troppo umani. Sì, siamo tutti dei piccoli dracula, assetati di sangue.

Lo si capisce già da piccoli, quando col monopattino sotto braccio ci si inerpicava lungo la salita, ogni volta un metro più in su, pronti per affrontare il pericolo, lasciarsi andare veloci come il vento, proprio come sapevano fare i grandi, quelli che avevano già capito come gestire la velocità, e la frenata. L’arte del fermarsi è una cosa che si apprende a suon di ginocchia e gomiti sbucciati, che subito si portavano alla bocca, per lenire il dolore, certo, oppure perché Bram Stoker, nel suo epistolario più famoso, non racconta solo la storia fantastica di un sanguinomane, dice qualcosa di tutti noi. Perché se è vero che solo pochi berrebbero il sangue di un’altra persona, resta inconfutabile che, freddo o caldo, il sangue ha il colore del vino buono. E ci attrae.

Cliché

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