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mettere fine al suo vizio ma trova sempre la scusa per fumare un'ulteriore ultima
sigaretta. Il capitolo, intitolato "la morte di mio padre" è l'analisi di un difficile
rapporto, fatto spesso di silenzi e malintesi, fino all'ultimo, quell’estremo colloquio,
quando in punto di morte il padre, avendo male interpretato un gesto del figlio, lo
colpisce con uno schiaffo; un equivoco che pone un doloroso sigillo alla vicenda. Zeno
passa poi a narrare la storia del suo matrimonio e di come, innamoratosi di una delle
tre sorelle Malfenti, Ada, si trovi poi, passivamente, a sposare quella meno
desiderata, Augusta. A quest'ultima Zeno rimane comunque legato da un tiepido ma
sincero affetto, installandosi nella comodità e nella sicurezza regolata dalla vita
familiare. Questo non gli impedisce di trovarsi un'amante: un'avventura insignificante
con una certa Carla, che in seguito lo abbandonerà per sposare un maestro di musica
che Zeno stesso le aveva presentato. Di Augusta sappiamo solo ciò che Zeno ci ha
voluto comunicare. Ad esempio la prima descrizione fisica di Augusta risente
moltissimo della situazione psicologica in cui si trova Zeno quando la vede per la
prima volta, da lui immaginata bellissima e deluso rispetto ai suoi sogni. In seguito la
bruttezza di Augusta viene ridimensionata in quanto Zeno capisce che quella donna
che aveva sposato quasi per dispetto, dopo essere stato rifiutato dalle due sorelle
molto più affascinanti sarebbe stata l'unica possibile compagna della sua vita. La
presenza di Augusta si intuisce dietro tutti i momenti della vita di Zeno. Già dalla sua
prima apparizione, Augusta è la guida per il recupero della salute del marito; infatti è
lei che fa rinchiudere Zeno in una casa di cura, per farlo guarire dal vizio del fumo. La
saggezza di Augusta viene però via via ridimensionata da successivi giudizi che Zeno
dà su di lei, fino a sembrare un miscuglio di egoismo e di superficialità molto simili ad
una malattia morale. Comunque la vita di Augusta si svolge completamente
all'ombra di Zeno: ogni suo gesto serve a rendere più dolce il "nido" dove i due
trascorrono la loro vita in comune. Invece nel romanzo Ada svolge il ruolo di
antagonista di Zeno; infatti è l'unico personaggio che si oppone ai suoi piani.
Raccontando il suo primo incontro con Ada, Zeno sottolinea lo strano rapporto che
subito si crea con quella donna, prima ancora di conoscerla. Mentre Augusta accetta
Zeno così com'è, Ada lo rifiuta perché lo sente molto diverso da sé e incapace di
cambiare. Zeno è colpito soprattutto dalla bellezza della donna che non è soltanto
esteriore ma anche interiore. Proprio quella bellezza sembra a Zeno una garanzia per
il recupero della salute. Carla, la terza donna che entra nella sua vita, dopo Ada ed
Augusta, compare nel romanzo in modo del tutto casuale. Di lei vengono date subito
due informazioni: è "una povera fanciulla", orfana di padre e mantenuta dalla carità
pubblica, ed è "bellissima". La figura di Carla non è isolata ma collegata ad un'altra
donna, Augusta, con la quale è messa spesso a confronto. Nonostante Zeno voglia
considerare la sua relazione con Carla una semplice "avventura" per "salvarsi dal
tedio" della sua vita coniugale, Carla stringe con Zeno una relazione forte. Ben presto
il desiderio fisico si trasforma in una vera passione, anche se Zeno si accorgerà di
questa passione troppo tardi; alla descrizione fisica di Carla è dedicata molta
attenzione. Innanzitutto viene descritto il povero appartamento della vecchia madre.
In confronto a tanto squallore la fresca bellezza di Carla viene messa ancora più in
luce. Al momento dell'addio Carla non è più la ragazza insicura e desiderosa di
protezione di una volta, ma una donna energica e dignitosa. Ma nel cuore di Zeno
non rimarrà tanto quest'immagine di Carla quanto quella di "Carla, la dolce, la
buona", da rimpiangere con "lacrime amarissime". La "storia di un'associazione
commerciale" è la narrazione dei rapporti tra il protagonista e Guido Speier, divenuto
suo cognato. Guido è il rivale di Zeno nell'amore per Ada. Egli ha tutte quelle doti di
cui invece Zeno è privo: la bellezza e l'eleganza della persona, la scioltezza nel
parlare un buon italiano, l'eccellente esecuzione musicale come violinista. Tutte
queste qualità unite alla giovinezza e alla ricchezza, fanno di Guido una persona
vincente. Invece agli occhi di Zeno, le vere caratteristiche di Guido sono la mancanza
di intelligenza, la meschinità e la vanità. Dopo un periodo di reciproca diffidenza,
causata anche dalla gelosia di Zeno perché Guido gli ha sottratto Ada, i due
diventano amici; l'azienda che costruiscono ben presto va in completa rovina, a
causa dell'inadeguatezza e la disattenzione dell'uno e la neghittosità, l'incertezza del
secondo; Guido finge un suicido per salvare l'onore e ottenere un ulteriore prestito
dalla famiglia della moglie: purtroppo sbaglia le dosi del sonnifero e per errore,
muore davvero. Occupandosi dell'azienda e dei debiti del defunto cognato, Zeno si
avvicina nuovamente ad Ada, e fra loro sembra rinascere qualche sentimento: ma è
solo gioco della memoria, che ancora una volta non raggiunge la realtà. Nelle ultime
pagine il protagonista dichiara di voler abbandonare la terapia psicoanalitica, fonte di
nuove malattie dell'animo (infatti nella finzione del romanzo è lo psicoanalista che
pubblica questo diario, per vendicarsi del suo deluso paziente) incapace di restituire
all'uomo la salute, che è un bene che questo non potrà mai raggiungere.
L’occhialuto uomo (l’ultima pagina del romanzo)
“Ma l'occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c'è stata
salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si
comperano, si vendono e si rubano e l'uomo diventa sempre più furbo e più debole.
Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi
suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci
che per la forza dello stesso, ma, oramai, l'ordigno non ha più alcuna relazione con
l'arto. Ed è l'ordigno che crea la malattia con l'abbandono della legge che fu su tutta
la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare.
Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero
di ordigni prospereranno malattie e ammalati.
Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute.
Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel
segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in
confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali
innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri
un po' più ammalato, ruberà tale esplosivo e s'arrampicherà al centro della terra per
porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esplosione
enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli
priva di parassiti e di malattie.”
Nelle pagine riportate il protagonista della “Coscienza”, Zeno Cosini, dimostra di aver
imboccato una nuova strada: egli ha superato la torpida inettitudine che sinora ha
contrassegnato la sua vita, ha scoperto l’azione. Si è cioè immerso nel commercio e,
favorito dalla situazione creata dalla I guerra mondiale, realizza lucrosi affari.
L’accettazione dell’azione, l’inserimento nella vita significa superamento della
malattia, cioè della consapevolezza paralizzante di quanto di precario, di storto e di
alienante ci sia nella vita, negli atteggiamenti dei “sani”, di coloro che non sentono
questa frattura, questa dimensione esistenziale.
Ma l’illusione di essere guarito, in un certo qual modo, amplia la consapevolezza di
Zeno: accettare le regole del gioco della vita non significa non riconoscerne la
disumanità. E’ Zeno, che pur è ora immerso nell’azione della vita, proclama che la
vita attuale è inquinata alle radici e che essa ha già messo in moto una spirale –
l’agonismo produttivistico senza esclusione di colpi – che la distruggerà. L’uomo, che
si è messo al posto degli alberi e delle bestie, ora produce ordigni; gli ordigni si
comprano e si vendono; da qui all’esplosione enorme, alla catastrofe inaudita che
distrugge il pianeta il passo è breve.
Il brano è da vedere, anzitutto, come approdo alla vocazione critica di Svevo nei
confronti della società borghese. Molti critici insistono sul pessimismo profetico e
anticipatore di queste pagine (e alla luce di quello che successe 22 anni dopo la
pubblicazione del romanzo, ovvero l’esplosione della prima bomba atomica su
Hiroshima, non ne hanno, certo, tutti i torti) e ne prospettano una lettura in senso
modernamente impegnato.
Gli uomini spesso non riescono a vedere oltre i propri nasi,
rimangono chiusi nelle loro illusioni e hanno i paraocchi,
non capiscono che ciò che stanno guardando è soltanto
una piccolissima parte di un tutto che li circonda. Questa è
la teoria che ha Pirandello nella sua filosofia del lanternino.
Riusciamo a vedere soltanto ciò che è da sempre
illuminato dal nostro lanternino e non sembriamo
interessati a scoprire il “buio” che ci circonda è che è
immenso, accontentandoci delle più sicure ma limitate
certezze illusorie che spesso ci forniscono gli altri.
Luigi Pirandello
nasce a Girgenti il 28 giugno 1867 e muore a Roma il 10 dicembre 1936
1904 Pubblica “Il fu Mattia Pascal”.
1908 Esce il saggio “L’umorismo”.
1917 A Milano viena rappresentata “Così è (se vi pare)”
1921 “Sei personaggi in cerca d’autore” dopo una prima deludente a Roma riscuote grande
successo a Milano.
1922 a Milano viene rappresentato “Enrico IV”.
1925 comincia a pubblicare a puntate il romanzo “Uno, nessuno, centomila”
Il fu Mattia Pascal
E se tutto questo buio, questo enorme mistero, nel quale indarno
i filosofi dapprima specularono, e che ora, pur rinunziando
all’indagine di esso, la scienza non esclude, non fosse in fondo
che un inganno come un altro, un inganno della nostra mente,
una fantasia che non si colora? Se noi finalmente ci
persuadessimo che tutto questo mistero non esiste fuori di noi,
ma soltanto in noi, e necessariamente, per il famoso privilegio
del sentimento che noi abbiamo della vita, del lanternino cioè, di
cui le ho finora parlato?
L’umorismo
Tutta quell’ombra, l’enorme mistero che tanti e tanti filosofi
hanno invano speculato e che ora la scienza, pur rinunziando
all’indagine di esso, non esclude, non sarà forse in fondo un
inganno della nostra mente, una fantasia che non si colora? Se
tutto questo mistero, insomma, non esistesse fuori di noi, ma soltanto in noi, e
necessariamente, per il famoso privilegio del sentimento che noi abbiamo della vita?
Temi del romanzo: la “lanterninosofia”
Gli estratti sopra citati fanno parte del discorso sulla “lanterninosofia” come la
definisce Barilli. Paleari sostiene che la coscienza umana è come un lanternino debole
e fumoso che, col suo stesso accendersi, interroga l’intatta continuità dell’Essere, la
Notte compatta e uniformemente distesa, generando dubbi e problemi. Solo per un
autoinganno l’uomo può ritenere che la luce del lanternino della propria coscienza
sia la luce stessa delle cose poiché l’uomo ha bisogno di verità assolute per credere
che i propri valori siano certi e che quindi la realtà sia oggettiva.
In realtà queste non sono che proiezioni soggettive da cui ne deriva il carattere
illusorio di qualunque certezza, anche di quelle date dalla religione e dalla scienza. A
complicare le cose va aggiunto che gli stessi lanternini delle coscienze individuali
cessano di illuminare il cammino nei momenti di trapasso e di crisi: infatti essi
perdono la luce dei lanternoni, cioè delle grandi ideologie collettive che sono
storicamente determinate. Quando questi lanternoni cessano di fare luce a causa
dello sviluppo storico che rende improponibili i valori del passato, allora anche i