Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Serve per far nascere un dialogo nuovo, lo vede in Beuys, crede nel potenziale di ogni essere
umano. C’è una rilettura storica.
Nel ’31 a Parigi si tiene la Grande Esposizione Coloniale, con i manufatti prelevati dall’Africa, con
la supremazia del mondo francese, si tratta di elementi esotici, non opere. Martin nel catalogo
inserisce l’esposizione, con la critica dei comunisti che fanno una contro mostra.
Dice che lui crea un’esposizione che è tutto il contrario, dice di essere in grado di far nascere un
dialogo. Decide di chiamarla “Indagine”, Martin è il capo curatore, chiama una serie di
collaboratori che compiono ricerche sul campo, un metodo antropologico.
Questo aspetto è fondamentale per capire gli artisti selezionati, infatti non si è tenuto conto del
contesto, si è preferito adottare un approccio di scoperta, del colonialismo.
Problema nella definizione dell’artista africano, non esiste un’identità unica, c’è il nomadismo
culturale, Shonibare è uno degli artisti che riflette sull’identità dell’artista.
Il termine magia: qualifica comunemente l’influenza viva che porta l’arte e il terreno dell’arte è
spirituale e metafisico, questo riflettere sul magico si riferisce all’esposizione di oggetti rituali.
Nel catalogo molto spesso parlano di prodotto, invece che di opere. I criteri sono vaghi, il più vago
è l’energia.
Concetto di centro con Europa e America e periferia, i margini, il dialogo si basa su queste due
macro aree.
Si seguono i metodi, di ricerca sul campo, con artisti sconosciuti.
Il curatore sceglie di far dialogare gli artisti occidentali con gli altri. L’atteggiamento è come quello
di Gauguin, scelta di abbandonare la mentalità occidentale e andare verso altre culture.
Ci sono più o meno 100 artisti: sono artisti famosissimi quelli occidentali. Molto spesso si sceglie
l’artista per la provenienza, non tanto per quello che tratta.
Jeff Wall dal Canada, tratta il tema dell’immigrazione, con la fotografia, sintassi derivata dalla
pubblicità, con molti riferimenti alla storia dell’arte.
On Kawara dal Giappone, nell’esposizione espongono molti artisti concettuali, che sono vicini al
concetto della mostra. Famoso per i date painting, opere monocromatiche con data di conclusione
dell’opera, se non lo fa in 24 ore le distrugge.
“One million year” viene fatto nel ’69, parte dalla data di nascita dell’artista, come un calendario, si
tratta di un opera sul tempo.
Il criterio non è tematico, mette in scena artisti provenienti da tutto il mondo.
Sarkis dalla Turchia, si trova il nastro magnetico di un film, lui riallestisce una mostra già tenuta.
Baldessarri USA, riflette sul cinema e sulla pubblicità. Si riferisce a viaggio in Congo di Gide.
Nam June Paik Corea, è il primo artista ad usare il video. Viene fatto dialogare con i ricami di
Boetti.
Incontro tra Oriente ed Occidente nel mondo della comunicazione.
Boetti, ha una grande intuizione, cioè fa realizzare i ricami alle donne africane, nomadismo e
alterità, come mi rapporto ad un'altra cultura? Arte concettuale, mandava i disegni e le scritte da
realizzare. Qui c’è una poesia che si snoda sul muro, qui c’è un riferimento diretto alla cultura
dell’altro. Si tratta di una riflessione dell’artista di anni.
Bruly Bouabrè artista della Costa d’Avorio, caso emblematico delle scoperte di Martin. L’artista fa
un’operazione sulla lingua: cerca di trascrivere la tradizione orale della sua popolazione. Si tratta di
dialoghi formali.
Anselm Kiefer Germania, uno degli artisti più importanti, che lavora sul tema della memoria e della
storia, recupera i temi della Cabala. Non crea un opera ad hoc, ma nasce come artista che indaga su
una cultura non sua.
Francesco Clemente (nella mostra c’è anche Cucchi, della transavanguardia) amico di Boetti,
soggiorna molto anche in India, si trovano suggestioni di cult extraeuropee. Si appropria di un
repertorio iconografico extraeuropeo, cioè fuggire dalla tradizione iconografia occidentale e
appropriarsi degli elementi formali.
Artista del Nepal opere d’arte con significato religioso, oggetti rituali. Che differenza c’è tra l’opera
d’arte e l’elemento religioso?
Louise Bourgeois Francia, forme organiche, che danno senso di repulsione e attrazione. Di matrice
surrealista. Breton si scaglia contro l’esposizione coloniale.
Seni Camara Senegal, statuette.
Altro tema: primitivismo, c’era stata una grande esposizione al MOMA “Primitivism” fino a che
punto la categoria primitivismo può essere catalogata.
Quando Picasso scopre l’arte africana si riferisce all’astrazione dell’arte africana e la stilizzazione
delle maschere iberiche.
Si tratta di un riappropriarsi di stilemi e forme della cultura africana per l’estrema astrazione che
hanno. Quando Argan parla delle matrici del cubismo dice che da una parte che spazio e dall’altra
oggetto.
Morriesseau Canada.
Spoerri Romania, ha una sua ironia, feticci dove mette insieme qualsiasi tipo di elemento.
Cheri Samba emblema degli artisti sconosciuti.
Abramovic Serbia, installazione con pezzi di quarzo dove si può scegliere a cosa riferirsi testa,
cuore, sesso, a cui si trasmette energia.
Ulay Germania, con tappeti con vasi.
Nell’esposizioni sono prevalentemente oggetti, perfino l’Abramovic non realizza un happening.
Oldenburg Svezia, la visione è pessimista, si tratta della distruzione della cultura e del patrimonio
culturale, in mezzo ai libri ci sono anche delle mappe dell’Africa, dice che non stanno preservando
la cultura e non ci interessa di quella africana.
Molto spesso le opere sono rituali.
Alfredo Jaar Cile, tunnel buio con monitor dove si vede realtà spiazzante.
Si tratta di un esposizione fondamentale che fonda un punto di riferimento essenziale dell’arte extra
occidentale in Europa. 10.03.2014
Longobardi
Mario Martone, regista ha fatto un documentario per la TV, ispirato ad una collezione Terrae Motus
del gallerista Lucio Amelio. Collezione nata dopo il sisma di Napoli da Longobardi nel 1980. Nasce
un progetto come grande opera d’arte totale. Sollecitano il meglio dell’arte mondiale a realizzare un
opera ispirata al sisma. Si tratta del migliore gallerista italiano anche da morto (’94).
La collezione ha avuto varie declinazioni anche itineranti. Oggi è conservata alla Reggia di Caserta.
Film “Morte di un matematico napoletano” molto vicino a questo documentario. Da un lato è il
ritratto di Amelio e della sua visionarietà, dall’altro lato è il ritratto di una passione enorme e della
difficoltà di resistere nell’arte napoletana con una visione internazionale.
Ritratto di una persona che non parla come gli attuali mercanti dell’arte. Inoltre è il ritratto di una
città, con un senso tragico unito ad una vitalità poetica.
È anche il ritratto di una gallerista con i suoi artisti. Si tratta di 3 artisti di riferimento. È stato il
primo ad ospitare Beuys e Warhol insieme.
Puntava anche sui giovani, faceva scouting. Nel film si parla di Paladino, Tata Fiore e Longobardi,
area Campana, si tratta dei suoi tre artisti di riferimento. Ciascun artista ha scelto un luogo di
ispirazione fondamentale per loro. Paladino il centro del museo a cui pensava Amelio, che era il
centro San Francesco; Tata Fiore ha scelto l’Acquario; Longobardi ha scelto il cimitero delle
Fontanelle.
Ciascun artista ha scelto un luogo elettivo.
Amelio che racconta la sua idea dell’arte; Longobardi; riflessione di Amelio sul valore dell’energia
dell’arte.
Amelio racconta una serie di cose che oggi non sarebbero più realistiche, per di più fare questi
discorsi in una città di grande tradizione come Napoli è molto complicato.
Parlava almeno 4 lingue, cantava e recitava.
Dice il gallerista è un mago, non è più pensabile oggi c’è calcolo e strategia.
Lucio parla della mancanza delle scuole d’arte…Longobardi ha lavorato con grandi artisti, come
Beuys, Peretz, Alfano, non ha avuto la possibilità da studiare, ma questi incontri l’hanno fatto molto
maturare.
Tradizione familiare di restauratori. Lui lavorava con gli artisti, installava le mostre, dipingeva le
pareti, aveva 16 anni.
La prima mostra l’ha fatta in Germania da Paul Mens, siamo alla fine degli anni ’70, è l’ultimo
momento in cui una generazione di giovanissimi artisti parlano una lingua simile senza saperlo e in
poco tempo attirano l’attenzione mondiale. Si ritorna al fare in contrapposizione con il non fare, a
prendere in mano gli strumenti.
Hanno fatto una mostra al Guggenheim prima di Burri e Fontana, nel ’82 subito dopo l’esplosione
della transavanguardia.
Rapporto con i grandi, ad esempio Warhol, che non parlava molto. Lui vive le generazioni
sterminate dall’AIDS.
Beuys è stato per Longobardi un padre, con lui non si parlava molto, ma c’era uno scambio di
energia continua. Si trattava della filosofia del fare.
Il mondo dell’arte era ancora piccolo, era facile ritrovarsi.
Longobardi non è mai stato legato al mondo mondano, perché lo annoia. La sua generazione aveva
un senso del controllo del mestiere e delle tecniche unici.
Si trova un controllo pazzesco del disegno.
Rapporto tra gesto del disegno e la superficie, la mano va di per se e devi capire perché. È
dislessico, e grazie a questo, ma anche grazie alla sua esperienza, riesce a riconoscere
immediatamente dov’è la qualità o meno, ha un altissima competenza sugli strumenti tecnici.
Per lui l’errore non esiste, è una sorta di incidente che indica delle cose. Tutto il suo lavoro è legato
al tema dell’incidente, c’è sempre qualcosa di inesatto che incide sul lavoro.
La tela per il pittore è una sorta di campo di battaglia. Lui parte da qualcosa che ha già fatto e poi la
sviluppa.
Longobardi fino agli anni ’90 è stato molto della visibilità, si è trovato davanti due strade, una
commerciale, l’altra di fare qualche opera sporadica, lui ha scelto la seconda, oggi ormai punta solo
sul disegno. Sta facendo un operazione di scarnificazione continua.
Ha fatto una prima mostra nel 2000 a Napoli piena di colore; la seconda a Palazzo Reale, che era
brutta, troppo piena, molto importante. Un idea del suo lavoro che è la filosofia del memento mori,
ma che non è luttuoso.
Nel 2004 viene chiamato al Reina Sofia per una mostra sul monocromo, lui non c’entrava molto.
Ma lui ha fatto un opera bianca con sett