Anteprima
Vedrai una selezione di 3 pagine su 7
Riassunto esame Analisi del Film, prof. Guerrini, libro consigliato Filmagogia, L. Guerrini (Parte II, capitoli obbligatori 4, 5 e 6) Pag. 1 Riassunto esame Analisi del Film, prof. Guerrini, libro consigliato Filmagogia, L. Guerrini (Parte II, capitoli obbligatori 4, 5 e 6) Pag. 2
Anteprima di 3 pagg. su 7.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Analisi del Film, prof. Guerrini, libro consigliato Filmagogia, L. Guerrini (Parte II, capitoli obbligatori 4, 5 e 6) Pag. 6
1 su 7
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

FILMAGOGIA

PARTE II – Il film come opera d’arte e la formazione del gusto

Capitolo 4- L’approccio artistico al cinema

di Alain Bergala

4.1 – L’arte del gusto

Bergala incentra il suo breve saggio in questione sulla propria esperienza nell’educazione del

cinema realizzata prevalentemente in Francia, dove c’è una tradizione consolidata tra cinema

e scuola che punta sullo spirito critico. Quando si parla del film, lo si considera in maniera

critica, discutendo soprattutto del senso che esso veicola.

L’arte non s’insegna, si fa incontrare, vi s’inizia e ciò è il contrario di ciò che avviene nel

sistema pedagogico contemporaneo. L’idea principale è quella di realizzare un incontro.

Se sorgono difficoltà durante la visione del film non è un problema: il ruolo dell'insegnante è

quello del mentore e, perciò, dovrò indirizzare gli alunni sul percorso da intraprendere;

soprattutto nel caso di internet è utile avere una guida, poiché la miriade di informazioni

potrebbe essere controproducente.

4.2 – Ritorno al sensibile

L'approccio al film è stato per molto tempo strutturalista, ovvero incentrato sulla struttura del

film. È però importante anche attraversare la dimensione della sensibilità per arrivare al

senso del film.

Jean Renoir sosteneva che l’iniziazione al cinema consiste nell’essere prima passivi e poi

attivi: anche se abbiamo la tendenza ad essere subito attivi, con il cinema bisogna fare il

contrario.

Partire, ad esempio, da uno storyboard fa mancare la parte sensibile dando vita unicamente a

disegni creati a priori senza aver osservato il mondo.

4.3 – Verso un metodo

Spesso gli insegnanti sono impauriti all’idea di insegnare una materia che non maneggia alla

perfezione e di non avere i mezzi per poter trasmettere e educare al cinema. Per ovviare a

questo problema, Bergala ha proposto un DVD da lui creato con 60 estratti da film di tutto il

cinema (dai Lumiere ai giorni nostri), che, messi in relazione tra loro, creano dei rapporti

analogici: in tal modo, senza che il docente spieghi, gli studenti incominceranno a trovare

elementi. Il professore, in seguito, andrà a formalizzare gli aspetti rilevanti delle intuizioni degli

alunni.

Successivamente, il docente darà come compito la ricerca di spezzoni incentrati sul tema

prescelto, incentivando gli studenti a “rifornirsi” nel proprio bagaglio culturale.

Un altro aspetto interessante è che, fornendo un estratto, esso ha la funzione di anteprima e

andrà a stimolare l’alunno a vedere in seguito i film connessi. Pag. 1 di pag. 7

4.4 – Il gusto e lo spirito critico

Per formare lo spirito critico è fondamentale proporre film alternativi a quelli che gli studenti

vedrebbero normalmente, aprire ad altri tipi di cinema ed esperienze: non si può formare il

gusto se non ci sono elementi di comparazione.

Capitolo 5 – Il potere dissonante dell’immagine cinematografica

di Loretta Guerrini Verga

Filmagogia allude al termine demagogia, poiché il cinema, da origini popolari, come E.

Francis Mills sostenne, è diventato un mezzo per guidare i sentimenti dei giovani verso i

1

canali educativi.

Umberto Eco differenzia lo spettatore analista , ovvero colui che riflette, sottopone il film ad

un’analisi e approda anche al significato simbolico del film e lo spettatore normale ,il quale

non pensa e che, quindi, si accontenta di essersi svagato con un buon film e di aver qualche

informazione in più sul personaggio che ha appena guardato.

Roland Barthes nel 1985 pubblicò un’opera chiamata “Il terzo senso” incentrata sul senso

ottuso, scoperto a partire da un fotogramma, cioè da un frammento- citazione che, seppur

pregno di significato, sfugge alla diegesi,ma rappresenta il vero elemento filmico secondo

Barthes.

Il senso ottuso è irriducibile sia all’informazione che alla carica simbolica: esso, invece, si fa

carico di elementi difficilmente definibili a livello concettuale.

Eco insiste sul fatto che il professore serve a “cercare, filtrare e selezionare” , in particolar

2

modo nel caso di Internet.

Per Barthes, Pasolini nel suo ultimo film Salò (1976) tradisce il senso simbolico poiché tratta il

fascismo, pericolo troppo grave e vincolante, attraverso un’analogia con il sadismo,

semplificando e confondendo il problema. Barthes riconosce, però, il merito a Pasolini di aver

proposto la pulsione di morte veritiera.

Secondo Godard sbaglia anche Benigni che ne La vita è bella (1997) propone una favolistica

visione edulcorata del nazismo.

È assolutamente importante non creare feticci, che sia l’assoluta libertà dell’artista,

l’ineffabilità del senso ottuso ecc.

Il senso ottuso si colloca al confine ambiguo dei codici e finché non rientra nell’orbita di uno di

essi appare in eccesso:

un esempio di significato sospeso lo propone Dreyer in Ordet (1954) nella scena della

risurrezione di Inger, dando luce ad una dimensione indefinita in cui lo spettatore non riesce a

collocare il senso ottuso né nella fede né nella scienza né nella beffa.

In Al di là delle nuvole (1995) di Antonioni si ritrova la medesima difficoltà nella scena in cui la

donna rivela al suo innamorato che il giorno seguente avrebbe preso i voti. L’ironia della

1 Pioniere dell’uso didattico del film in Inghilterra

2 U. Eco, A che serve il professore? Pag. 2 di pag. 7

scena lascia trapelare una dimensione tragica e il dubbio che ad agire sia in realtà solo

l’ironia della sorte e non della ragazza.

Nella teoria del film francese, le cui figure più rilevanti sono Deleuze e Bergala, normalmente

si affianca a Stanlio (senso ottuso) Ollio (il supplemento). Stanlio è sempre perplesso , mentre

Ollio, che dimostra di capire, lo spintona affinché si riprenda dalla sua stupidità. Noi,

similmente a Stanlio, siamo imbambolati davanti all’arte.

Il senso ottuso non può che essere l’esitazione di fronte a due codici, che è quello sguardo

che buca lo schermo e ci chiama in causa, sta dalla parte della performance e invita a una

performance corrispondente.

La scena del glitch in Matrix (1999) delle sorelle Wachowski , quando Neo sembra guardare

in macchina, in realtà guarda un gatto che entra in scena due volte in un apparente déjà-vu,

che è, invece, un’imperfezione di Matrix. I gatti, quindi, sono il simbolo di una falla del

sistema.

Tale scena è interpretabile avvalendosi del “gatto di Schroendiger”: il paradosso sorge

spostandosi dal micro-mondo della fisica quantistica al macro-mondo di ogni giorno. Un

sistema quantistico del micro-mondo che può essere in due stati contemporaneamente, che

viene definito sovrapposizione di stati e il gatto nella scatola si ritrova in tale condizione. Se

si aprisse la scatola, il gatto rischierebbe di morire poiché l’alterazione dell’ambiente farebbe

immediatamente collassare lo stato del gatto ad uno dei due possibili risultati, ovvero vivo o

morto.

Il gatto rappresenta, quindi, l’indeterminazione quantica sia della materia nella simulazione

sia nel sistema Matrix.

Neo: è passato un gatto nero davanti a quella porta e subito dopo un altro uguale

Trinity: Quanto uguale? Lo stesso gatto?

Neo: Forse. Non sono sicuro.

Il senso ottuso esprime la dimensione personale della conoscenza e la necessaria cautela

nell’ordine della scoperta

Dinanzi all’opera d’arte dobbiamo sempre considerare l’aspetto tacito della nostra

conoscenza.

Capitolo 6 – Elementi per un’educazione alla fotografia nel film

di Luisa Papa

La fotografia nel film può avere una triplice funzione:

mostrare le figure e contestualizzare la storia (luce di situazione)

1. definire, mediante scelte formali, l’estetica del film

2. evidenziare un valore aggiunto alla storia e diventare essa stessa un agente del

3. racconto filmico. In quest’ultimo caso la narrazione assume un potenziamento

evocativo e simbolico, agendo sullo spettatore a livello più o meno inconscio.

Se il lavoro della luce permette la fruizione del film e al sua stessa produzione, allora

possiamo considerare la fotografia come il fondamento del film.

6.1 - Verso il valore assoluto del bianco e del nero Pag. 3 di pag. 7

Nel cinema in bianco e nero abbiamo un’illuminazione neutra (quando bianchi, grigi e neri

coesistono in egual misura) o avremo un’illuminazione marcata (quando vi è una

predominanza di bianchi o di neri).

Per esempio nei film espressionisti l’illuminazione è di tipo marcato, tesa a creare un

ambiente di mistero, diversamente dal cinema hollywoodiano della stessa epoca, che

presentava una luce neutra.

Carl Theodor Dreyer offre molti esempi di uso marcato della luce, sia per lo sbilanciamento

dell’uso dei neri sia nell’uso dei bianchi che divennero il suo tratto distintivo.

Il regista danese, che , per evitare una forte impronta stilistica, non si è mai avvalso dello

stesso direttore della fotografia, in Ordet (1955) non si avvale di una luce di situazione, ma di

una luce che interagisce simbolicamente con la narrazione in un continuum che culmina con il

miracolo finale. Il film è l’unione di due segmenti espressivi che giocano tra loro nel corso del

film:

il primo riguarda l’offuscamento della fede in Dio, caratterizzato da toni grigi-neri ben

1. visibile nelle prime tre sequenze

il secondo relativo al miracolo finale, contraddistinto da toni bianchi, anticipato dalla luce

2. sempre proveniente dalle finestre, metafora di una fede che proviene dall’esterno.

Nelle prime tre sequenze, l’uso dei grigi fa emergere la confusione spirituale e il loro

smarrimento, così come la dimensione claustrofobica della casa di Peter.

Non assistiamo a un uso particolare di forti contrasti, riscontrabili solo nel rapporto che

l’interno ha con l’esterno e nello scarto tra le prime tre sequenze del film e l’ultima. Dreyer

decide di mantenere l’equilibrio tonale già presente in Dies Irae (1943): le ombre non hanno

quasi mai corpo e si disegnano in modo molto naturale

Nel finale rigore formale e austerità si risolvono in un’apertura spirituale dando vita ad un

senso di decontestualizzazione delle figure, che appaiono immersi in una dimensione altra

(particolarmente su Johannes e Maren) :

L’occhio umano è attirato da spigoli e contrasti e nel finale di Ordet assistiamo ad un

annientamento del campo visivo e del suo valore informativo: si crea una tensione diversa,

non proiettata verso lo spazio, ma verso il tempo e l’immateriale.

Come evidenzia

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
7 pagine
2 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giulirosssss di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto della proprietà industriale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Guerrini Loretta.