Liberato: il rapper incappucciato che fa ballare l’Italia

Nessuno ne conosce il volto e il nome, canta solo in dialetto napoletano stretto, ma il suo successo, anche dal vivo, è inarrestabile

Liberato
3 Agosto 2018 alle 10:17

L’unica cosa che si sa di lui è che di lui non si sa niente. Nessuno lo ha mai visto in faccia, nei suoi video appare solo di spalle e col capo nascosto dal cappuccio di una felpa. Nessuno conosce il suo vero nome, nessuno riesce a definire il suo genere musicale, impastato di elettronica, hip hop e neomelodia napoletana. Eppure questo non ha impedito a Liberato (un nome? Un cognome? Uno pseudonimo? Un progetto?) di diventare il fenomeno indipendente più incredibile e «virale», come s’usa dire oggi, della musica italiana. Chi altro mai, con appena sei canzoni accompagnate da altrettanti video (bellissimi), «Nove maggio», «Tu t’e scurdat’ ‘e me», «Gaiola portafortuna», «Me staje appennenn’ amò», «Intostreet» e «Je te voglio bene assaje», avrebbe potuto radunare sul lungomare di Napoli quasi 20 mila persone per un concerto a sorpresa annunciato sei giorni prima? E chi altro mai sarebbe riuscito a trasformare il quartiere popolare della Barona nel posto più ambito (solo 6.000 gli ammessi) di Milano? O addirittura ad approdare al prestigioso Sonar Music Festival di Barcellona come «el nuevo rey de la música urbana en Italia»?

Nove maggio


Liberato è il Banksy del pop napoletano. Tra l’altro, ironia della sorte, proprio Banksy, lo street artist più famoso al mondo di cui nessuno conosce l’identità, ha lasciato a Napoli l’unica sua traccia italiana.

Tu t'e scurdat' 'e me


Dal giorno della sua prima apparizione (si fa per dire), il 9 maggio del 2017, quando a distanza di poche ore l’uno dall’altro uscirono «Nove maggio» e «Tu t’e scurdat’ ‘e me», è in corso la caccia alla sua vera identità. Il primo indiziato fu il cantautore Calcutta, quindi fu la volta di Livio Cori, ovvero «‘O selfie» di «Gomorra 3», nonché rapper napoletano dalle sonorità che ricordano quelle di Liberato. Altri identificarono l’incappucciato in Ivan Granatino, neomelodico dal sound urban transitato anche da «The Voice».

Me staje appennenn' amò


Qualcuno si è divertito pure a mettere in giro la voce che Liberato fosse Davide Panizza dei Pop X, e poco importa se il musicista è trentino. Una teoria ben argomentata, invece, conduce a Emanuele Cerullo, un giovane poeta di Scampia le cui poesie, scritte in italiano, sembrano i testi napoletani di Liberato tradotti in lingua. I due personaggi hanno in comune anche il simbolo dei rispettivi progetti, una rosa.

Gaiola portafortuna


La teoria più suggestiva è però quella seconda la quale si tratterebbe di un detenuto del carcere minorile di Nisida, nell’arcipelago delle isole Flegree. A dar forza alla tesi una serie di indizi: Liberato è arrivato alla Rotonda Diaz, sede del suo concerto napoletano, con un gommone proveniente proprio da Nisida. Sul natante c’erano altre cinque persone vestite come lui (le guardie carcerarie?), e il gommone era scortato dalla Polizia. E poi c’è quella che i «nisidisti» ritengono la prova regina, ovvero la sirena a manovella «suonata» dall’artista, molto simile alla sirena di un penitenziario. Tra l’altro, il carcere di Nisida tra le sue attività prevede anche un laboratorio musicale. Peccato che la legge non consenta ai detenuti di andare in giro a fare concerti, perdipiù incappucciati e accompagnati da agenti incappucciati, né tantomeno di espatriare per andare al Sonar di  Barcellona.

Intostreet


Il gioco del «Chi è?» sarà pure divertente, ma il punto vero è un altro: ha senso togliere la maschera (il cappuccio) a un supereroe? Piaccia o meno, Liberato è un progetto geniale da qualunque punto lo si guardi, sospeso tra marketing e arte pop, tradizione e contemporaneità, una sorta di valorizzazione del «brand» Napoli attraverso una melodia semplice e orecchiabile e una produzione a cavallo tra trap e r’n’b. L’identità misteriosa ha spesso finito per far passare in secondo piano l’aspetto più interessante del fenomeno: le sue canzoni e la scrittura dei testi.

Je te voglio bene assaje


Liberato gioca con gli stereotipi della napoletanità per rappresentare l’anima contemporanea di una città perennemente in bilico tra le rappresentazioni apocalittiche di «Gomorra» e le cartoline sature da pubblicare su Instagram. Le melodie dei suoi brani attingono alla tradizione della musica melodica e neomelodica partenopea, le basi a quella della locale scuola Tech-house. Accoppiata forse non inedita, ma che Liberato rielabora in chiave moderna, fondendo dialetto e inglesismi. E così «why» fa rima con «vaje» e «sto ‘n miezz’ a via» (sono nei guai) diventa «intostreet». Un’operazione di rielaborazione culturale rischiosa e complessa, ma senza dubbio di successo. A noi non resta che sperare che ci regali presto un nuova canzone, magari proprio ad agosto. Perché, come direbbe lui,«sto reggheton c’ha propeto sfunnate»: il reggaeton (lo stile di tutti i tormentoni di quest’anno) ci ha proprio scocciato.

Seguici