La «furia spagnola»: il saccheggio di Anversa

Nel 1576 le truppe spagnole di stanza nelle Fiandre entrarono ad Anversa al soccorso di una guarnigione di commilitoni e sottoposero la città fiamminga a una violenta devastazione

Nell’estate del 1576 nelle Fiandre si viveva una situazione esplosiva. Da otto anni le truppe spagnole combattevano per sedare la rivolta politica e religiosa che era scoppiata nei Paesi Bassi contro il dominio di Filippo II. Inizialmente, a partire dal 1567, a guidare gli spagnoli era stato il governatore dei Paesi Bassi, Fernando Álvarez de Toledo, terzo duca d’Alba, soprannominato Duca di ferro per la brutalità e la violenza delle sue azioni militari. Per un momento parve che il duca d’Alba, con la sua implacabile campagna di repressione, fosse riuscito nell’intento, ma l’intransigenza del sovrano spagnolo contro la rivolta dei calvinisti olandesi e l’intervento di Inghilterra, Francia, Boemia, Danimarca e diversi principi protestanti tedeschi accanto ai rivoltosi rinfocolò il conflitto.

Truppe spagnole mettono a ferro e fuoco Anversa il 3 novembre del 1576. Hendrik von Leys. 1832. Museo reale delle belle arti, Bruxelles

Truppe spagnole mettono a ferro e fuoco Anversa il 3 novembre del 1576. Hendrik von Leys. 1832. Museo reale delle belle arti, Bruxelles

Foto: AKG / Album

Nonostante le vittorie conseguite, il duca d’Alba, a causa della sua volontà di «schiacciare gli eretici» con la massima brutalità, fu rimosso e sostituito con Luis de Requesens. Intanto, l’aumento delle spese militari nelle Fiandre costrinse Filippo II, nel settembre del 1575, a dichiarare bancarotta, e di conseguenza le autorità si trovarono senza denaro per pagare l’esercito. Nel 1576 alle truppe del re, composte soprattutto da spagnoli e italiani, dovevano essere pagati diversi mesi di salario, a volte anni. I soldati si ribellarono, rifiutandosi di combattere se non avessero ricevuto gli arretrati, mentre cercavano di superare le proprie difficoltà economiche depredando la popolazione civile.

Nel 1576, in seguito alla bancarotta spagnola, i soldati non furono più pagati

Come se non bastasse, nel marzo del 1576 la morte improvvisa di Luis de Requesens privò gli spagnoli di un capo supremo; le truppe moltiplicarono le prepotenze sui civili e causarono l’aperta rivolta di molte città fiamminghe. Una di queste fu Anversa, la capitale economica del Paese, una grande città di 150mila abitanti con la fama di essere la città più ricca non solo delle Fiandre, ma di tutta l’Europa. I mercenari tedeschi che vi si trovavano, stanchi delle inadempienze da parte spagnola, passarono fra le fila dei ribelli fiamminghi, e nella città rimase solo una guarnigione di duecento spagnoli raccolti nella fortezza, comandati dall’esperto capitano Sancho Dávila. Non era un esercito numeroso, ma ad Anversa si temeva soprattutto la presenza della guarnigione comandata dal capitano Francisco Valdés, formata da circa 1500 uomini, acquartierata nella città di Aalst, a trentacinque chilometri di distanza.

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In soccorso degli assediati

Temendo che le truppe di Aalst, attratte dalla ricchezza della città, li potessero attaccare, gli abitanti di Anversa chiesero aiuto a Bruxelles, che inviò un contingente di seimila soldati valloni e tedeschi. Dopo qualche indecisione, Champagny, il governatore della città, la mattina del 3 novembre 1576 aprì loro le porte. Non appena entrate, le truppe assediarono la fortezza dove erano rifugiati i soldati spagnoli, spiegando contro di loro l’artiglieria. La mattina del 4 novembre si lanciarono all’assalto del castello.

L'incisione mostra il momento in cui le truppe spagnole, vinta la resistenza militare, si lanciano nel saccheggio delle ricche abitazioni di Anversa

L'incisione mostra il momento in cui le truppe spagnole, vinta la resistenza militare, si lanciano nel saccheggio delle ricche abitazioni di Anversa

Foto: AKG / Album

La guarnigione spagnola resistette ai primi attacchi, ma difficilmente avrebbe potuto fare a meno dell’aiuto dei commilitoni di Aalst. Questi, venuti a conoscenza della minaccia che incombeva sul castello di Anversa, abbandonarono ogni indugio e dopo aver marciato tutta la notte attraversarono la Schelda e giunsero alle 11 del mattino mentre infuriava la battaglia. Vedendoli arrivare, gli spagnoli asserragliati nel castello, sostenuti da quattrocento soldati tedeschi che erano rimasti loro fedeli, uscirono euforici dalla roccaforte attaccando la città dall’interno. Poiché non agivano in nome del re di Spagna, da cui si sentivano abbandonati poiché non erano stati pagati, issarono bandiere con l’immagine della Vergine con cui proclamavano di essersi elevati a guardiani della fede. Racconta la leggenda che quando i due gruppi s'incontrarono, Sancho Dávila invitò i suoi salvatori a rifocillarsi e a recuperare le forze, e questi gli risposero: «Ceneremo più tardi in città o faremo colazione all’inferno». Nelle ore seguenti diverse altre centinaia di soldati spagnoli, venuti a conoscenza di quanto stava accadendo ad Anversa, si unirono al saccheggio, andando a ingrossare un esercito di circa 3500 uomini. Rapidamente la violenza si estese nelle strade della città, che si trasformò in un caotico e sanguinoso campo di battaglia. Ebbri di rabbia e bramosi di vendicarsi contro gli abitanti di Anversa, che consideravano traditori, eretici e responsabili delle loro disgrazie, i soldati correvano lungo le strade della città al grido di «Santiago, Santiago! Spagna, Spagna! A sangue, a carne, a fuoco, a sacco!».

Ritratto dei coniugi Arnolfini. Olio su tavola di Jan van Eyck. 1434, National Gallery, Londra.

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La carneficina

I ribelli non si aspettavano l’uscita furiosa degli assediati e, intrappolati fra due fuochi, si rifugiarono in diversi edifici del centro della città, dove cercarono di proteggersi. Uno di questi fu il municipio, da dove spararono contro gli spagnoli, ma questi lo assaltarono e lo incendiarono, e il fuoco si propagò a circa ottanta case vicine. Molti civili imbracciarono le armi e lottarono strenuamente per difendere le proprie abitazioni, e dalle finestre e dai balconi facevano fuoco sui soldati spagnoli, che reagivano incendiando le loro case. Alla fine della giornata ogni resistenza era stata soffocata. Pochi riuscirono a fuggire; fra le vittime si contavano le principali autorità municipali e il capitano dei mercenari tedeschi che si erano alleati con i ribelli, e il conte Otto von Oberstein, che morì annegato nel fiume a causa del peso della sua armatura mentre cercava di scappare.

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Violenza scatenata

La carneficina e il saccheggio che seguirono furono terribili. Per tre giorni Anversa e i suoi abitanti furono in preda alla violenza e al terrore. I soldati erano determinati a spogliare di tutti i beni quella città dalla ricchezza leggendaria, e a rifarsi in questo modo con gli interessi di quanto era loro dovuto. Negozi e magazzini furono i primi a essere assaltati e svaligiati; poi toccò alle abitazioni private. Chi cercava di opporsi agli spagnoli veniva trucidato senza pietà, e chi si rifiutava di rivelare dove custodiva le sue ricchezze veniva sottoposto a terribili torture.

Il municipio di Anversa, un gioiello architettonico costruito nel 1566, venne distrutto dalle fiamme durante il saccheggio della città da parte delle truppe

Il municipio di Anversa, un gioiello architettonico costruito nel 1566, venne distrutto dalle fiamme durante il saccheggio della città da parte delle truppe

Foto: Tibor Bognár / Age Fotostock

Nelle strade si accumulavano centinaia di corpi e membra mutilate, poiché per impadronirsi di anelli e orecchini era più rapido tagliare dita e orecchie. Dalla violenza cieca delle truppe si salvarono solo le chiese cattoliche, e questo perché i capitani spagnoli arrivarono a opporsi ai propri uomini per frenare la loro brama di bottino. Si calcola che i morti, fra soldati ribelli e civili, furono seimila, mentre dalla parte spagnola se ne contarono circa 140.

La notizia del sacco di Anversa si diffuse a macchia d’olio in tutto il Paese e valicò i confini delle Fiandre, riaccendendo, com’era inevitabile, il ricordo della dura repressione esercitata negli anni precedenti dal duca di Alba. Il dolore e l’indignazione furono grandi. Il duca di Brabante denunciò in una lettera: «È noto che Anversa era ieri il primo e principale ornamento di tutta Europa, il rifugio di tutte le nazioni del mondo, la fonte e fornitura di innumerevoli tesori, il guardiano della scienza e della virtù. La città si è trasformata ora in un’oscura caverna, piena di ladroni e assassini, nemici di Dio, del Re e di tutti i buoni vassalli».

Numerosi opuscoli e volantini vennero diffusi in seguito in tutta Europa, accompagnati spesso da incisioni che illustravano le crudeltà commesse dalle truppe al soldo del re Filippo II. La Spaanse furie, la «furia spagnola», divenne da allora l’evento emblematico della brutalità della guerra delle Fiandre e dei sacrifici degli olandesi nella lotta per la libertà.

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