I fossili di Burgess: una meravigliosa esplosione di vita

Scoperto agli inizi del XX secolo, il giacimento di fossili di Burgess ha gettato luce sulla cosiddetta Esplosione cambriana, la straordinaria fase di proliferazione e sviluppo degli esseri pluricellulari avvenuta 540 milioni di anni fa. Ma ha anche rimesso in discussione la visione tradizionale dell’evoluzione della vita sulla terra

 

 

Per comprendere l’importanza della scoperta del giacimento di fossili di Burgess conviene cominciare da un brevissimo ripasso della cronologia del nostro pianeta. La terra, come tutto il resto del sistema solare, si forma all’incirca 4,5 miliardi di anni fa. Le più antiche tracce di vita di cui resta testimonianza risalgono intorno ai 3,7 miliardi di anni fa. In termini geologici si può quindi dire che la vita compare in tempi relativamente brevi in rapporto all’età del pianeta: “appena” ottocento milioni di anni dopo.

Ma negli oltre tre miliardi di anni successivi gli organismi che abitano la terra restano estremamente semplici. Sono per lo più unicellulari, costituiti cioè da un’unica cellula, come per esempio i batteri. Di tanto in tanto emergono organismi pluricellulari piuttosto rudimentali, come le spugne o le meduse, caratterizzati da un’organizzazione interna a simmetria radiale (hanno un sopra e sotto, ma non un davanti e un dietro).

Olenoides superbus

Olenoides superbus

Foto: © Daderot

E poi, improvvisamente, circa 550-540 milioni di anni fa, compaiono degli esseri dotati di tutt’altro ordine di complessità. Non solo hanno un sopra e un sotto, e un davanti e un dietro, ma hanno anche una struttura interna molto più sofisticata degli organismi precedenti, con organi, tubo digerente, sistema nervoso, corazze e persino occhi. È la cosiddetta Esplosione cambriana, che da un certo punto di vista sta alla biologia come il Big Bang sta alla fisica. Una breve epoca della storia della terra, durata “appena” una ventina di milioni di anni, in cui in maniera improvvisa sul nostro pianeta inizia a proliferare una grande varietà di organismi pluricellulari. Il tasso di evoluzione cambia di ordine di grandezza, nascite ed estinzioni di nuovi phyla (i gruppi tassonomici immediatamente inferiori al regno) si moltiplicano, e la vita esplode in tutta la diversità che caratterizza i 530 milioni di anni successivi.

L'esplosione cambriana sta alla biologia come il Big Bang sta alla fisica

Un giacimento pieno di sorprese

Situato tra le Montagne Rocciose canadesi della British Columbia, il sito di Burgess è di fondamentale importanza per la comprensione dell’Esplosione cambriana. Imprigionata nei suoi depositi di argillite è stata ritrovata infatti un’enorme quantità di fossili di animali pluricellulari risalenti al periodo appena successivo a quella fase in cui in pochi milioni di anni si svilupparono gli “animali” così come noi li intendiamo (tecnicamente: metazoi, cioè organismi ad alta complessità organizzativa interna, in contrapposizione ai più semplici protozoi).

La peculiarità di Burgess, di cui si rese ben presto conto Charles Doolittle Walcott, il paleontologo statunitense che scoprì il sito nel 1909, è che i fossili avevano un livello di dettaglio incredibile, perché avevano conservato anche la forma dei tessuti molli. Questo fatto di per sé è piuttosto raro, perché normalmente i fossili conservano le parti più dure, mentre quelle molli si degradano abbastanza in fretta. Forse gli animali marini che abitavano Burgess furono intrappolati da una frana di sedimenti fangosi e rapidamente sepolti in un ambiente privo di ossigeno che ne garantì una conservazione ottimale.

Charles Doolittle Walcott (1850 - 1927). Paleontologo statunitense scopritore del sito di Burgess

Charles Doolittle Walcott (1850 - 1927). Paleontologo statunitense scopritore del sito di Burgess

Foto: Pubblico dominio

Walcott dedicò i successivi quindici anni della sua vita allo studio del sito di Burgess, ritrovando oltre 65mila fossili, che raccolse con grande rigore e attenzione. In quell’epoca il regno animale era suddiviso in sette phyla che andavano dalle spugne fino ai cordati (dove si situano anche tutti i vertebrati, e quindi anche gli esseri umani). Walcott cercò pazientemente di classificare i suoi 65mila fossili in quei sette phyla esistenti.

Il favoloso bestiario di Burgess

Ma le sorprese del sito non erano finite. Alla fine degli anni settanta tre paleontologi di Cambridge – Whittington, Briggs e Conway Morris – decisero di sottoporre a nuovi studi e analisi tutti i fossili trovati da Walcott e si resero conto che nella sua classificazione molte cose non tornavano. Secondo la nuova interpretazione da loro proposta, quelli intrappolati nell’argillite di Burgess sono animali completamente differenti da quelli esistenti attualmente, così differenti da non rientrare in nessuno dei sette phyla esistenti fino ad allora. Preso dal suo sforzo classificatorio, Walcott non si era reso conto di avere davanti a sé qualcosa di assolutamente inedito, che ha reso necessario la creazione di numerosi nuovi phyla.

Charles Dolittle negli scavi di Burgess insieme ai suoi figli

Charles Dolittle negli scavi di Burgess insieme ai suoi figli

Foto: © Smithsonian Institution from United States

La fauna dell’Esplosione cambriana non solo si era sviluppata in tempi relativamente rapidi, ma era anche molto più diversificata di quanto ci si immaginava fino a quel momento. Era formata da una serie di esseri insoliti, con caratteristiche anatomiche bizzarre e pochi tratti di somiglianza con quelli attuali. Così, nel favoloso bestiario di Burgess troviamo per esempio opabinia, una minuscola creatura dotata di cinque occhi che nuotava sui fondali marini nutrendosi grazie a una specie di lunga proboscide aspirante; oppure il misterioso odontogrifo, un animale di forma piatta e ovale che non è stato possibile ascrivere ad alcun gruppo noto.

Altri ritrovamenti rimandano a esseri più familiari, ma non per questo meno sorprendenti. È questo il caso del pikaia, che Walcott aveva classificato tra i vermi, mentre è probabilmente uno dei cordati più antichi, potenziale candidato al ruolo di antenato di tutti gli attuali vertebrati.

Opabinia regalis Walcott, 1912

Opabinia regalis Walcott, 1912

Foto: © N. Tamura

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L’enigma si accresce

L’Esplosione cambriana era stata un enigma già per Darwin. La rapidità della diffusione della vita pluricellulare in tempi relativamente brevi, dopo oltre tre miliardi di anni di relativa stasi, mal si conciliava con la sua visione lenta e graduale dell’evoluzione. Ma dalla scoperta dei fossili di Burgess sembra emergere anche un altro dato interessante: una buona parte della diversità di forme di vita e di schemi corporei che caratterizzava il Cambriano potrebbe essersi estinta, perché molti degli strani esseri rinvenuti nell’argillite della località canadese non sembrano avere discendenti tra gli animali attuali.

Tra le riflessioni in merito alla portata e alle conseguenze di questo fatto per gli studi evoluzionistici, la più nota è quella sviluppata dal celebre paleontologo statunitense Stephen J. Gould nel suo capolavoro, La vita meravigliosa, libro dedicato proprio ai fossili di Burgess.

Prima edizione di 'La vita meravigliosa', di Stephen J. Gould. 1989

Prima edizione di 'La vita meravigliosa', di Stephen J. Gould. 1989

Foto: © shorturl.at/xDI79

Prima edizione di 'La vita meravigliosa', di Stephen J. Gould. 1989

 

 

Secondo Gould la visione del Cambriano che emerge dalle analisi dei tre ricercatori di Cambridge porta a rimettere in discussione l’immagine tradizionale di evoluzione – quella di un albero in cui la vita comincia dagli schemi organizzativi più semplici per poi diversificarsi via via, in una serie di miglioramenti successivi e continui, fino al nostro presente biologico. I fossili di Burgess raccontano invece che negli ultimi 500 milioni di anni non c’è stata “un'espansione generale della varietà con aumento della complessità”, ma piuttosto un processo di “decimazione” della grande diversificazione iniziale degli animali pluricellulari.

«La vita è un cespuglio che si ramifica copiosamente, continuamente sfrondato dalla sinistra mietitrice dell’estinzione, non una scala di progresso prevedibile», affermò Gould

Ancora più carico di implicazioni è il ruolo assegnato da Gould alla contingenza. A decidere che esseri si estinguano e quali invece proseguano il loro cammino evolutivo non è necessariamente una qualche forma di superiore capacità di adattamento: spesso sembra invece essere il caso, un evento esterno e accidentale, come la caduta dell’asteroide che avrebbe provocato l'estinzione dei dinosauri permettendo ai mammiferi di proliferare.

Se molte delle affermazioni di Gould non sono accettate unanimemente all’interno del mondo scientifico, è difficile rimanere indifferenti di fronte alla portata, poetica e vertiginosa, di questo nuovo ridimensionamento della posizione dell’essere umano nell’universo: «Burgess non solo rovescia le nostre idee generali sull'origine del modello, ma ci colma di una nuova sorta di meraviglia […] per il fatto che l'evoluzione sia arrivata in generale sino all'uomo. Noi siamo stati migliaia e migliaia di volte così vicini a essere cancellati in conseguenza dell'avviarsi della storia lungo una direzione diversa non meno ragionevole di quella che ha scelto. Se ripetiamo un milione di volte il film della vita a cominciare da Burgess, dubito che tornerà mai a svilupparsi qualcosa di simile all'Homo Sapiens. È davvero una vita meravigliosa».

«Il nostro immortale naturalista ha ricostruito interi mondi con qualche osso sbianchito» scrisse Balzac su Cuvier, rappresentato in questa pittura a olio di T. Chartran. La Sorbonne, Parigi. 1886-89

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