Troia, la ricostruzione storica

È accertato che la città cantata da Omero, in posizione strategica sullo stretto dei Dardanelli, ebbe profondi legami politici e commerciali con l’impero ittita

Da quando Heinrich Schliemann iniziò nel 1870 i suoi scavi sulla collina di Hissarlik (Turchia), sullo studio delle rovine di Troia ha sempre aleggiato una sorta di “sindrome dell’Iliade, ossia il desiderio di trovare le tracce precise di quello che Omero narrò nel suo grande poema epico. Per lungo tempo questo atteggiamento determinò un errore fondamentale, cioè credere che Troia fosse una città greca, e furono molti gli archeologi che si sforzarono di legarla alle culture dell’Egeo, con le quali indubbiamente intrattenne rapporti commerciali. Le ricerche più recenti, tuttavia, hanno dimostrato che Troia era molto più legata all’Asia Minore e, in particolare, alla civiltà ittita, fiorita nell’entroterra della penisola dell’Anatolia tra il XVIII e il XII secolo a.C.

Heinrich Schliemann, l'imprenditore tedesco che scoprì Troia scavando sulla collina di Hissarlik. Ritratto di Sidney Hodges. 1866. Musei Statali, Berlino

Heinrich Schliemann, l'imprenditore tedesco che scoprì Troia scavando sulla collina di Hissarlik. Ritratto di Sidney Hodges. 1866. Musei Statali, Berlino

Foto: BPK / Scala, Firenze

Questo è stato dimostrato dal ritrovamento, fra i documenti dell’archivio imperiale di Hattusa, la capitale del regno ittita, di quello che è noto come il trattato di Alaksandu: un patto di vassallaggio che fu stipulato fra un sovrano di Wilusa chiamato Alaksandu e il re ittita Muwatalli nel 1290 a.C. e che fornisce una serie di informazioni preziose sui rapporti tra i vari stati dell’area anatolica. Wilusa sembra essere il nome ittita di Troia, il che spiegherebbe perché i greci la chiamassero anche Ilion. La guerra di Troia sarebbe dunque stata un conflitto fra le città greche e una fortezza ittita.

La «ripida» Troia dell’Iliade s'innalzava sullo scosceso sperone formato dalla collina di Hissarlik, un piccolo altopiano di pietra calcarea alto trentasette metri e con una superficie di circa 150 per 200 metri, situata sei chilometri a est della costa del mar Egeo e 4,5 chilometri a sud dello stretto dei Dardanelli. Gli archeologi hanno scoperto che nel sito si sovrappongono fino a nove città di epoche diverse che comprendono i resti di oltre tremila anni di storia ininterrotta. Lo strato denominato Troia VI (che ha una continuità con lo strato Troia VII), databile all’incirca tra il 1700 e il 1250 a.C., è uno dei candidati a essere considerato il vero scenario degli eventi che sono narrati nell’Iliade.

In generale, Troia VI corrisponde a ciò che ci si potrebbe aspettare da una città dell’Età del Bronzo nella penisola anatolica. Era costituita da due parti principali: sull’altopiano si ergeva la cittadella, centro amministrativo e religioso, protetta da una poderosa cinta muraria in pietra; sul versante meridionale della collina, invece, si estendeva la città bassa, cinta per l’intero perimetro da un lungo fossato. Oltre il fossato si innalzavano mura in mattoni nelle quali oggi sappiamo si aprivano almeno cinque porte monumentali, ben difese da torri di guardia, come le porte Scee che sarebbero state rese famose da Omero.

La collina di Hissarlik è il sito, nell’odierna Turchia, dove sorgeva l’antica Troia

La collina di Hissarlik è il sito, nell’odierna Turchia, dove sorgeva l’antica Troia

Foto: Georg Gerster / Age Fotostock

La vita in città

Gli archeologi hanno dimostrato che la città bassa si sviluppò precisamente nell’epoca di Troia VI, con vie pavimentate e canali di drenaggio delle acque, il che indicherebbe un aumento della popolazione proprio in quel periodo. È stato calcolato che sui circa venti ettari di superficie della città potevano vivere dai 7000 ai 10mila abitanti. Una tale densità di popolazione si spiega con l’apogeo economico della città, che sfruttò la sua posizione strategica all’interno del sistema commerciale del II millennio a.C. per diventare un importante centro di smistamento e ridistribuzione delle merci.

Attraverso il suo porto nella baia di Besika, Troia commerciò in bestiame, con i cavalli delle steppe a nord del mar Nero e dell’Anatolia centrale, l’ambra del Baltico, la cornalina della Colchide (sulla sponda orientale del mar Nero) e il rame dei Balcani e dell’Asia centrale. Il suo ruolo di fulcro commerciale è fondamentale per comprendere il contesto storico della guerra di Troia, poiché spiegherebbe il motivo della formazione di una così importante lega di città greche: lo scopo era assicurarsi il controllo dei Dardanelli e del commercio tra il mar Nero e l’Egeo. Le abitazioni della città bassa avevano tetti piatti, sui quali si potevano mettere a essiccare frutti e legumi, e un’area pavimentata nel cortile, probabilmente per trebbiare il grano. I prodotti venivano immagazzinati in grandi pozzi collocati sottoterra.

È molto probabile che la maggior parte della popolazione si dedicasse a lavori artigianali, come la fabbricazione di ceramica al tornio, soprattutto vasellame e stoviglie con decorazioni geometriche. La massiccia presenza di utensili per filare e tessere, come i pesi da telaio, indica che i tessuti di Troia (principalmente di lana e lino) dovevano essere molto apprezzati. I troiani producevano anche la preziosa tintura porpora che si ottiene dal mollusco di mare, la murice, che serviva per tingere tessuti, pelli conciate e oggetti in osso o avorio. Numerose botteghe erano dedicate alla produzione di manufatti in bronzo, ferro, argento e oro.

Pendente in oro del cosiddetto "tesoro di Priamo". Berlino

Pendente in oro del cosiddetto "tesoro di Priamo". Berlino

Foto: BPK / Scala, Firenze

Cavalli e divinità

Parte della popolazione si dedicava all’agricoltura e alla pastorizia, le due principali fonti di alimentazione, seguite dalla pesca e dalla raccolta di molluschi. Nel giacimento, inoltre, sono state rinvenute anche grandi quantità di ossa di cavalli. Il II millennio a.C. è l’epoca d’oro dei carri da combattimento trainati da cavalli, e pare che i troiani fossero specializzati nell’addestramento di cavalli selvaggi destinati all’esercito ittita.

In questo bassorilievo in pietra proveniente da Karkemiš e risalente al X-VIII secolo a. C. è ritratto un carro da guerra ittita

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Il popolo ittita e il potere dei carri da guerra

Nella famosa battaglia di Qadesh contro gli egizi, avvenuta attorno al 1270 a.C., il contingente ittita era formato da quasi quattromila carri da guerra. Lo confermano il principale epiteto dei troiani nell’Iliade, quello di «domatori di cavalli», le grandi scuderie reali che Priamo possedeva in città o il fatto che Andromaca nutrisse i cavalli, ai quali dava grano e vino, meglio che il marito Ettore.

Per quanto riguarda la vita religiosa, se nel trattato di Alaksandu si fa menzione del dio Apaulinas, forse il nome ittita dell’Apollo greco, gli scavi hanno portato alla luce, presso le porte della cittadella, diciassette grandi stele in pietra della grandezza di una persona; poiché si tratta di un elemento architettonico diffuso nella zona ittita, secondo alcuni ricercatori sono tipiche del culto ittita di divinità protettrici delle porte, mentre per altri sono legate al culto di Apollo.

Achille trascina con il suo carro il cadavere del nemico troiano Ettore. Ceramica attica. 510 a.C. Hermitage, San Pietroburgo

Achille trascina con il suo carro il cadavere del nemico troiano Ettore. Ceramica attica. 510 a.C. Hermitage, San Pietroburgo

Foto: Superstock / Age Fotostock

I nobili nel palazzo

La cittadella di Troia VI, che nell’Iliade è chiamata Pergamo, consisteva in un grande complesso di costruzioni a più di un piano. Probabilmente riuniva le funzioni di tempio, palazzo, tesoreria e archivio, e nella struttura seguiva il modello del megaron tipico dell’Anatolia ittita, della Creta minoica e della Grecia micenea, con edifici e stanze disposti attorno a un salone centrale.

La cittadella era circondata da una possente muraglia, la stessa, possiamo immaginare, dalla quale Priamo osservava il figlio Ettore alla guida delle truppe. Inoltre, era dotata di una rete di tunnel che garantiva la fornitura d’acqua da una fonte sotterranea. Nella cittadella vivevano la famiglia reale e i nobili, in edifici grandi e sontuosi, ma dalla decorazione austera: non sono state rinvenute tracce di affreschi né oggetti lussuosi. L’aristocrazia praticava la poligamia: Priamo, secondo l’Iliade, ebbe cinquanta figli e dodici figlie da mogli diverse, anche se il rango di regina era riservato alla prima moglie, Ecuba.

All’élite appartenevano anche le famiglie dei grandi commercianti, che esercitavano funzioni diplomatiche e ricoprivano le cariche più elevate nell’esercito. Gli altri abitanti di Troia, invece, formavano il grosso delle truppe di fanteria, con numerosi arcieri e frombolieri, a cui dava un sostanziale appoggio un buon numero di carri da combattimento che soltanto i più benestanti potevano permettersi.

Il dipinto di Denis Maublanc raffigura la distruzione di Troia per mano degli achei. XVII secolo. Museo di Belle Arti e Archeologia, Besançon

Il dipinto di Denis Maublanc raffigura la distruzione di Troia per mano degli achei. XVII secolo. Museo di Belle Arti e Archeologia, Besançon

Foto: Agence Bulloz / RMN-Grand Palais

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La fine di Troia

Da quanto emerge dagli scavi, Troia VI andò incontro a una fine traumatica. Attorno al 1250 a.C. (secondo alcuni studiosi verso il 1300), la città fu devastata da una catastrofe naturale, quasi sicuramente un terremoto, ma fu rapidamente ricostruita dagli stessi abitanti. Nacque così Troia VII, che mostra una chiara continuità culturale con Troia VI. L’insediamento che gli studiosi chiamano Troia VIIa, a cui segue Troia VIIb, ebbe vita breve: fu distrutto da un incendio verso il 1180 a.C.

È stato infatti possibile far risalire a questa data i resti di edifici devastati dal fuoco e le ossa umane fossilizzate rinvenuti negli scavi, così come una grande quantità di proiettili da catapulta. Tutto questo indicherebbe che la popolazione subì un attacco dall’esterno, e che combatté una guerra. Fu forse questa la grande guerra narrata da Omero? Indubbiamente, Troia fu un centro strategico per le rotte commerciali ittite, e ciò avrebbe potuto suscitare la rivalità dei greci micenei, ma è impossibile asserire con assoluta certezza che si sia trattato del conflitto di cui parla l’Iliade.

Qualunque sia la verità, rimane il fatto che dopo l’ultima distruzione Troia e la sua popolazione entrarono in una fase di declino, e quando Alessandro Magno, verso l’anno 334 a.C., conquistò l’Ellesponto e giunse a Troia, trovò soltanto i resti dell’antica città e un unico tempio in piedi, dove celebrò sacrifici in onore di Atena e degli eroi dell’Iliade. Dopo la sua morte, il suo generale Lisimaco fece ricostruire la città, che sopravvisse fino al VI secolo d.C., quando fu definitivamente abbandonata.

Troia IX è l’ultima città che venne costruita sulla collina di Hissarlik e corrisponde al periodo romano. L’odeon fu ristrutturato nel 124

Troia IX è l’ultima città che venne costruita sulla collina di Hissarlik e corrisponde al periodo romano. L’odeon fu ristrutturato nel 124

Foto: N. Sorokin / Age Fotostock

Con la nascita dell’impero ottomano, la collina dove un tempo sorgeva Troia venne chiamata Hissarlik, «il luogo della fortezza», ma poiché vi erano molte altre colline simili e tutto era ricoperto dalla vegetazione, la sua ubicazione esatta cadde nell’oblio, fino a quando Heinrich Schliemann, nel XIX secolo, non la riportò alla luce.

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Per saperne di più

La guerra di Troia. Barry Strauss. Laterza, Bari, 2009
La scoperta di Troia. Heinrich Schliemann. Einaudi, Torino, 2017
Iliade. Omero. Rizzoli, Milano, 2006

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