ANDRONI SIDERMEC. Bernal, l'aquilotto

PROFESSIONISTI | 21/04/2016 | 09:06
Ieri a causa di un problema meccanico non ha potuto lottare con i primi, ma tra oggi e domani siamo certi che Egan Arley Bernal Gomez avrà spazio per mettersi in mostra. Il 19enne colombiano, di cui si dice un gran bene, ha già fatto vedere buone cose nelle prime corse di quest'anno. A causa di un po' di inesperienza e qualche caduta di troppo non è ancora riuscito a centrare il risultato pieno, ma promette di regalare grandi soddisfazioni alla Androni Sidermec. «Questo ragazzo è un talento e diventerà un grande» si sbilancia Gianni Savio. «Quando Paolo Alberati (ex Mapei), suo procuratore, me l'ha offerto dopo che Katusha e Tinkoff gli avevano detto che, avendo solo 18 anni, sarebbero state interessate per ora sola a inserirlo nelle loro formazioni giovanili, io vedendo i suoi valori gli ho fatto firmare un contratto di 4 anni. Vi dico solo un dato per farvi capire i suoi valori fisici eccezionali: la sua VO2max è di 88.8. Pensate che Froome ha 88.5 e l'unico atleta ad essere arrivato a 90 era un certo Miguel Indurain».
Conosciamolo.

Iniziamo dalle presentazioni.
«Piacere, mi chiamo Egan e ho 19 anni. Vengo da Zipaquira nel distretto di Cundinamarca, vicino a Bogotà. Mio padre è il custode della cappella del paese, ricavata in una grotta di sale, mamma è casalinga e si occupa di me e di mio fratello. Da qualche mese vivo in Italia, un paese bellissimo e in cui mi trovo alla grande. Sto a Cossato, nei pressi di Biella, nell'hotel di "mama Rita", da cui sono passati tanti corridori colombiani».

A che età hai scoperto il ciclismo?
«A 8 anni ho inziato a dilettarmi nel fuoristrada. Mio papà ha un passato da ciclista, ma non è arrivato al professionismo. La mia prima gara si svolse nel mio paese natale, ricordo che tra i miei avversari c'era chi aveva bici super moderne e attrezzatura top di gamma, mentre io ero molto più sgangherato ma alla fine arrivai al traguardo, con il casco della misura sbagliato fin sugli occhi, primo. Ero felicissimo soprattutto perchè mi diedero un completino per correre».

Cosa hai studiato?
«Dopo il diploma ho iniziato a frequentare all'università la facoltà di Comunicazione sociale e Giornalismo. Avevo una borsa di studio, dovevo avere il 3,8 di media per poterne usufruire. La mia ambizione era diventare un giornalista, occuparmi di cronaca, politica, attualità, dei problemi della gente. Con i voti ero ben messo, ma per il ciclismo facevo troppe assenze così verso i 16-17 anni volevo appendere la bici al chiodo e concentrarmi sui libri. La mia famiglia ha inistito che non mollassi la strada dello sport, è grazie ai miei cari se sono arrivato fin qui».

Nel 2014 sei stato secondo e nel 2015 terzo ai campionati del mondo di cross country.
«Sì, man mano lavorando con il mio allenatore Fabio Rodriguez, ex corridore, ho iniziato a raccogliere parecchie soddisfazioni tra campionati nazionali, panamericani, latinoamaricani e mondiali. Dopo la sfida iridata di un anno fa in mtb, ho provato una corsa su strada innamorandomi di questa disciplina. Diciamo che è da dicembre che mi dedico al cento per cento alla strada. Sono un novellino».

Dove pensi di poter arrivare?
«Non lo so, più di una persona è convinta che posso diventare un grande di questo sport ma penso sia presto per dirlo. Ho ancora tutto da dimostrare e tanto da imparare. Mi piace questo lavoro, sto crescendo senza pressione, ho bisogno di un po' di tempo. Il mio sogno? I tre grandi giri: Tour, Giro e Vuelta nell'ordine».

Giulia De Maio


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