9 motivi per cui la gioia e la felicità sono due cose diverse

Gioia e felicità sono termini usati in modo interscambiabile, ma non sono esattamente la stessa cosa. La prima origina da dentro e richiede «pratica» costante, la seconda succede al di fuori di noi e bisogna saperla riconoscere per poterne godere. Ma in questo la gioia ci può aiutare 
Gioia vs felicità
Gioia e felicità sono termini usati in modo interscambiabile, ma non sono esattamente la stessa cosa. La prima origina da dentro e richiede “pratica” costante, la seconda succede al di fuori di noi e bisogna saperla riconoscere per poterne godere. Ma in questo la gioia ci può aiutare Tonktiti

«Perché cerchi la gioia fuori da te? Non sai che la puoi trovare solo nel tuo cuore?», scriveva il poeta indiano Rabindranath Tagore. Ci hanno insegnato, spronato a ricercare la felicità in questa vita, a saperla riconoscere, a farla nostra. 

Spesso però scambiandola con la gioia, intendendole simili, se non uguali. Quando invece c’è una differenza sostanziale. Ed è ciò che vuole sondare e indagare l’undicesima edizione dello Yoga Meeting Merano, appuntamento annuale in programma il 22 e 23 aprile al Kurhaus, dedicato allo yoga e al mondo olistico, in cui importanti maestri yoga italiani ed europei e qualificati operatori olistici, cercheranno di esplorare la gioia mediante la teoria e la pratica dello yoga. 

Il cammino evolutivo e spirituale dello yoga comincia infatti con alcuni precetti morali, che sono stati codificati dal maestro Patanjali vissuto in India probabilmente tra il V e il VI secolo d.C., negli Yogasutra, un testo fondamentale per la tradizione yoga.

Il primo e il più conosciuto precetto morale è ahimsa, la non violenza; il settimo è santosha, la contentezza, la capacità di gioire, di essere sereni, che scaturisce spontaneamente quando ci si libera dal tormento di continui incessanti desideri. L’indologo James Mallinson, in “Le radici dello yoga”, traduce santosha come “appagamento” e lo stesso fanno Federico Squarcini e Edwin F. Bryant nelle loro traduzioni degli Yogasūtra. Così scriveva Pātanjali: «Dall’appagamento si ottiene una felicità suprema […] Il piacere che deriva dall’amore in questo mondo e il grande piacere che c’è nei regni divini non valgono la sedicesima parte della felicità che deriva dalla distruzione del desiderio». Dunque, ecco che la gioia è qualcosa di più alto e duraturo rispetto alla felicità, è qualcosa che origina nel cuore e deriva dall’appagamento.

«La gioia che nasce dalla realizzazione di un’impresa, dall’acquisizione di un bene materiale o intellettuale, dalla soddisfazione di un desiderio è sempre legata alla paura di perdere ciò che si è acquisito o al desiderio di avere di più. Questo genere di gioia può avere come contropartita delusione e sofferenza - spiega Maurizio Morelli, maestro di hatha yoga - Solo la gioia spontanea, quella che nasce da dentro per effetto del contatto con la luce spirituale e con la pura coscienza, è scevra da delusione, perché essa non ha bisogno di nulla per manifestarsi e quindi non può essere smarrita né trasformarsi in delusione o rimpianto. È l’arte di “essere” nella gioia con ciò che si possiede, in termini materiali ma specialmente in termini di coscienza, che, ampliandone il significato, significa essere nella gioia di essere ciò che si è, e per ottenere questo è sufficiente conoscere se stessi, nulla di più». 

Per molte persone l’insoddisfazione è una costante: non sono contente di come sono fisicamente, di come si sentono emotivamente, di cosa hanno, si sentono sempre in uno stato di mancanza. «La pratica dello yoga scioglie questo nodo di insoddisfazione e porta le persone ad apprezzare se stesse e la preziosità della loro vita - afferma Ram Rattan Singh, medico e insegnante di Kundalini Yoga - In accordo con gli insegnamenti dello yoga, la gioia è uno stato che deriva da un allineamento, cosciente e intenzionale, con la nostra parte più profonda e autentica (Samadhi). Non è qualcosa che va raggiunto o creato, ma piuttosto, un’esperienza che va ritrovata o “ricordata”, poiché è sempre presente in ognuno di noi. Per cogliere più nitidamente il sussurro dell’anima e, di conseguenza, ritrovare uno stato di gioia incondizionata, ovvero non dipendente da alcuna circostanza esterna di natura fisica, lo yoga aiuta molto». 

Quindi, la felicità è visibile a occhio nudo, mentre la gioia no? «Esatto. Vi è un evento esterno scatenante che rende felici, ma potrebbe durare qualche istante – racconta Johnny Dell’Orto, direttore di Yoga Meeting – Anzi, a volte incontro persone che si sforzano quotidianamente nel nascondere la loro malinconia. Non vogliono svelare il loro reale stato d'animo e si travestono in modo da apparire spensierati, ma in fondo al loro sguardo non è difficile scorgere un'ombra di verità. La gioia invece è invisibile ai nostri comuni sensi. È più uno stato dell’essere, la si scorge, la si percepisce quando in una persona ci sono contemporaneamente gentilezza, ascolto, disponibilità. Ma la parola che meglio identifica la gioia è senz'altro la “leggerezza”, quel sentimento che ti fa andare oltre il futuro, portandoti dietro il passato con sincera gratitudine». 

È quindi possibile “esercitare” la gioia nel quotidiano, a parte praticare yoga per ritrovare il proprio centro? «Certo, ci sono vari esercizi quotidiani che possiamo svolgere in tutti i momenti della nostra giornata: per esempio, essere gentili anche davanti all'arroganza (che non significa accettarla, ma non subirla, non farla entrare dentro di noi); saper ascoltare gli altri, ma soprattutto noi stessi: quante volte ci capita di avere voglia di esprimerci e di dare sfogo a qualche inquietudine, ma quando troviamo davanti a noi l'indifferenza, ci sentiamo incompresi? Infine, essere grati: il mondo di oggi fa sì che passiamo il 90% del nostro tempo a lamentarci, siamo sopraffatti dalla nostalgia del “prima”, ma una delle regole fondamentali dello yoga, come ci hanno insegnato i grandi maestri, è vivere nel presente. Solo così nel cuore scaturisce gratitudine, che è una delle cause scatenanti della gioia». 

Ecco, a mo’ di compendio, i 9 motivi per cui la gioia è differente dalla felicità. Conoscerli significa riconoscerle, quindi consapevolizzarle, quindi metterle in pratica. 

La gioia è uno stato costante, mentre la felicità è temporanea

La felicità è uno stato effimero, succede qualcosa per cui ci si “accende”, mentre la gioia va coltivata dentro di sé, va allenata, conoscendosi nel profondo, e imparando ad amare i propri chiaroscuri.

La gioia è uno stato profondo dell'essere.

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La gioia riguarda l'altruismo, mentre la felicità è un piacere personale 

Bisogna essere profondamente radicati e consapevoli di se stessi e delle proprie qualità per poter aiutare gli altri, senza che un senso di sopraffazione o di frustrazione per un mancato riconoscimento dei propri sforzi ci pervada. Si dice altruismo, si pratica in modo incondizionato e ha a che fare con la gioia. La felicità deriva da istanti, in cui il piacere è di solito personale. Certo, bisogna essere allenati alla gioia per poter riconoscere gli istanti di felicità. La felicità accresce la gioia e viceversa.

Aiutare gli altri, senza aspettarsi nulla in cambio: questo dà gioia, ma soprattutto deriva dalla gioia. 

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La gioia può essere profondamente spirituale, mentre la felicità manca di profondità

La gioia ha a che fare con la connessione: con gli altri, certo, ma in primis con la parte più profonda di se stessi. Chi non ha la gioia dentro di sé, fa fatica a riconoscere la felicità nei momenti che accadono. Può succedere qualcosa di molto bello, ma non accorgersene o non saperne trarre godimento. La gioia aiuta la felicità a esprimersi e se possibile, ne protrae il beneficio. 

La gioia richiede connessione al proprio sé più profondo. 

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La gioia è una scelta che una persona fa, mentre la felicità «accade» e spesso viene inseguita 

La gioia va allenata quotidianamente, ricercandola nel profondo. È una specie di bussola: se sappiamo di cosa è fatta la nostra gioia – perdono di eventi passati, accettazione del nostro presente e costante senso di gratitudine -, sappiamo anche come ritrovarla in ciò che ci accade. Come possiamo inseguire qualcosa, se non sappiamo come è fatto? È come correre a vuoto. 

La gioia ci riconcilia e questo ci permette di essere felici in ogni istante, anche quelli considerati “negativi”.

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La gioia comporta prove e difficoltà, mentre la felicità è più facile da raggiungere

Questo non significa che la gioia è difficile, solo che richiede impegno. Essere allineati con la propria gioia significa essere “accordati”, cioè essere in pace col proprio cuore. La felicità è un attimo: un messaggio inatteso, una carezza, l’aumento al lavoro… possono essere facili da godere. Possono dare felicità, a patto che il cuore sia predisposto dalla gioia. 

La gioia predispone il cuore a riconoscere e accogliere la felicità.

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La gioia è trasformativa, mentre la felicità è più «superficiale»

Le gioia, essendo uno stato profondo del cuore, che ha a che fare con la coscienza, può in qualche modo cambiare lo stile di vita, e poco a poco, la vita stessa. Un attimo felice è di certo intenso, ma può restare più in superficie: una sorpresa sul lavoro può causare felicità per la durata dell’evento scatenante. Il saper portarsi dentro quella sensazione anche quando l’evento si è concluso ha a che fare con la gioia.

La gioia può trasformare una vita intera e predisporre a riconoscere la felicità.

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La gioia crea connessioni profonde e durature, mentre la felicità è connessioni momentanee

Durante un momento di felicità, si può condividere quella sensazione anche con chi non conosciamo o non conosce il nostro intimo nel profondo. La gioia, invece, avendo a che fare con un modus vivendi del cuore, attira persone che “vibrano” alla stessa frequenza, creando connessioni più profonde e durature. 

La gioia richiama gioia, quindi persone che “vibrano” con la tua anima. 

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La gioia è difficile da definire a parole, mentre si può facilmente descrivere la felicità

E questo non perché la gioia non esista, ma perché bisogna conoscersi nel profondo per dire cosa ci dà gioia. Tutti possiamo descrivere un momento di felicità che ci è successo nell’ultimo periodo: un bel voto a scuola, un elogio del capo, un abbraccio inatteso… Ma sapreste spiegare quel senso di pienezza, di appagamento, di benessere che vi pervade a volte senza un perché, senza un motivo scatenante? Quando si vive in uno stato di “costante allegrezza del cuore”, quella è la gioia. 

La gioia è uno stato di “costante allegrezza del cuore”: ma come spiegarlo a parole?

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La gioia può essere presente dove esistono difficoltà, mentre la felicità no

Vi sarà capitato di sentire o di pronunciare la frase: “Sono felice nonostante tutto”. Ecco, questo stato di “beatitudine” ha a che fare con la gioia, anche se impropriamente diciamo “felice”. La felicità vive di istanti felici per definizione. Mentre saper essere centrati e riconoscenti anche nella tempesta è frutto di un lavoro di ricerca profondo, che porta alla gioia. 

Essere felici nonostante tutto: ecco in cosa consiste la gioia.

skynesher
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