Giacomo Ferrara: «Ritorno a Suburra»

L'albergo di famiglia dove quando torna fa il cameriere, l'amore che riempie e il cagnolino che ogni tanto porta sul set. Ritratto romantico di un attore «criminale», pronto a tornare su Netflix con il suo personaggio più iconico
cover digitale giacomo ferrara
Abiti, Givenchy.

«Ci sediamo un attimo prima di cominciare?». Giacomo Ferrara si avvicina, in un look total white che confesserà poco dopo di avere scelto lui, e per prima cosa si mostra come non accade tutti i giorni con gli attori: umano. Non ha fretta, è un po' stanco, sorride. Vuole prendersi qualche istante, scambiare due parole poi cominciare l'intervista. Siamo nella sua Roma d’adozione, nella villetta in stile liberty che ospita gli studi di Netflix. Nel marciapiede sottostante ci sono bambini che corrono e indossano i costumi di Halloween. A due passi: via Veneto, il Colosseo, piazza di Spagna e oltre lo sguardo, la Cupola di San Pietro. C’è tutto il mondo di mezzo raccontato da Suburra-La Serie nelle tre stagioni di cui Ferrara è stato protagonista interpretando Spadino, il criminale di etnia sinti costretto a nascondere la sua omosessualità. La prima volta lo abbiamo visto nel film che poi ha dato origine alla serie, ovvero Suburra di Stefano Sollima, uscito nel 2015.

Oggi Spadino torna a solcare le strade che aveva abbandonato per ricominciare da zero a Berlino. Ma Roma non ti lascia mai andare via davvero ed è così che accade anche ad Alberto Anacleti, l'iconico Spadino. Lì, nella città eterna, c'è la sua famiglia ed è in pericolo. Così, ambientata nella Roma del 2011 tra intrighi politici e piazze in fiamme, inizia SUBURRÆTERNA, spin off della serie tv, disponibile dal 14 novembre su Netflix, prodotta da Cattleya - parte di ITV Studios. I primi due episodi sono stati presentati in anteprima nella serata di chiusura della Festa del Cinema di Roma.

Tolta la cresta del suo Spadino (ma lui preferisce chiamarlo per nome, Alberto Anacleti), Giacomo Ferrara ha cambiato lo sguardo. E come scopriremo più avanti in quest'intervista riuscire a farlo è uno dei suoi desideri più grandi. Come «crescere», tra le parole che ripete più spesso mentre si racconta. Con la purezza che spesso definisce i contorni dei gesti e delle movenze di chi appena diciottenne lascia casa sua per inseguire un sogno. «Mia mamma dice sempre che quando ripeto una cosa due volte è un problema perché non me la tolgo più dalla testa», sorride. «Con la recitazione è andata così». E il sogno si è realizzato.

Foto di Virginia Bettoja. Abiti, Givenchy.

Che momento sta vivendo?
«Sono molto felice perché mi sta capitando di poter scegliere i progetti. So che c’è da lavorare tanto ma ho un’etica lavorativa molto forte e l’esigenza di non restare fermo. Quindi continuo sempre a studiare, a cercare di evolvere attorialmente e umanamente anche perché noi attori facciamo un lavoro che è antropologico e che vive nel parallelo. Attingiamo molto dalla nostra vita per poi riportarla nei personaggi. Per cui molto spesso capita che maturi tu e maturi anche nel lavoro».

È successo così con Alberto Anacleti, il suo Spadino?
«Sì, in questo personaggio lo vediamo perché effettivamente sono cresciuto sia a livello professionale che umanamente come Giacomo. Quindi allo stesso tempo è cresciuto anche Alberto».

È un personaggio a cui vuole bene?
«È un personaggio che mi ha dato tanto. Mi viene in mente un riferimento un po’ alto però effettivamente Al Pacino interpreta Riccardo III ogni volta che può. In base a com' è cambiato lui stesso, alla maturità, al livello professionale, trova sempre delle sfumature nuove nel personaggio. È come se avesse l’esigenza artistica di tornare su quel personaggio ed è in qualche modo quello che sta capitando anche a me con Alberto».

Non pensa che quindi lo abbia legato a un ruolo?
«No, sono entrato molto nel cuore della gente con questo personaggio e quindi riconosco che c’è un’affezione da parte del pubblico. La mia carriera sta andando avanti, sto facendo cose molto belle, non sento che Alberto mi tolga niente. Nella serie precedente il personaggio ha una chiusa anche se non muore. In qualche modo per me è il punto d'inizio dal quale sono partito per affrontare questo nuovo Alberto».

Come ha lavorato per ricostruirlo?
«È stato difficile perché Alberto è un personaggio iconico e spogliarlo di tutte le cose che lo avevano portato verso il pubblico era difficilissimo. Le sfide mi piacciono e mi ci sono buttato a capofitto, lavorando con il mio acting coach, con cui lavoro da 14 anni ormai, per ogni progetto, da quando sono arrivato a Roma. Anche con i due registi Ciro D’Emilio e Alessandro Tonda abbiamo trovato tante sfumature e cercato una nuova rabbia. Prima Alberto era molto esplosivo e si nascondeva dietro una maschera, un ghigno. In questo reboot è come se fosse nudo: esprime quello che sente, ha un'emotività molto diretta».

Sua mamma è ancora poco contenta dei personaggi «cattivi» che interpreta?
«Ogni volta che legge questa frase mi bacchetta. Adesso è molto felice. Sono fortunato ad avere due genitori come loro. Comunque sia, io sono una quarta generazione di albergatori-ristoratori, quindi c’è una responsabilità sulle mie spalle che viene dalla mia bisnonna ma loro non mi hanno mai imposto nulla e mi hanno dato la libertà di inseguire i miei sogni. Forse proprio perché i miei genitori invece in qualche modo hanno sentito l’obbligo di inseguire la strada che era stata già tracciata. Io sono stato libero, poi quando torno cerco di aiutare».

Giacomo Ferrara in una scena di Suburra Eterna, dal 14 novembre su Netflix.

EMANUELA SCARPA/NETFLIX

Lavora in albergo quando torna a casa?
«Sì. Per i miei genitori sono sempre lo stesso. Loro sanno che quando torno li aiuto e quello è sempre stato il loro insegnamento. Fin da piccolo ho lavorato per potermi comprare delle cose, mi hanno istruito in questo modo ed è un valore che oggi mi ritrovo nel mio lavoro. Sudare e lavorare tanto porta i suoi frutti. Così quando torno a casa faccio il cameriere».

E i clienti la riconoscono?
«Sì, alcuni molto simpatici dicono che assomiglio all'attore di Suburra e io sto al gioco, poi ci sono quelli che non ci credono e quelli con cui alla fine ci scatta il selfie».

Ha sempre saputo che sarebbe diventato un attore?
«L'ho deciso a otto anni proprio in hotel. Perché c'era l'animazione e quindi salivo sul palco per fare cabaret. Interpretavo dalla Piccola fiammiferaia a Giulio Cesare. La prima volta che l'ho fatto ho capito che finalmente mi trovavo nel posto giusto, al momento giusto. Ho fatto un liceo in cui studiavo cinema e teatro a livello teorico, poi a 18 anni sono venuto a Roma e ho fatto diverse Accademie. Passare dal sogno alla realtà è difficile. È stata molto dura».

Si ricorda la prima partenza da casa verso Roma?
«Mi ricordo della prima sera nel letto a Roma. Io sdraiato che penso che dal giorno dopo avrei deciso tutto io, che non ci sarebbe stata mia mamma a chiamarmi o a chiedermi cosa avrei fatto quel giorno. Quei piccoli gesti quotidiani che sono famiglia. Lì nel letto mi sono reso conto che era cambiato tutto in quell’istante. È stato un bel salto».

Quale ruolo sogna?
«Le prossime sfide, soprattutto anche quella teatrale, sono molto difficili. Aspetto un altro ruolo complesso, forse più per il cinema, anche un biopic. Non saprei scegliere un personaggio specifico. Penso a qualcosa con un regista importante».

Facciamo qualche nome?
«Matteo Garrone sicuramente, Daniele Luchetti, per dirne due, ma ce ne sono diversi».

Con i ruoli che interpreta si trova spesso in mezzo a scene action. Sono le sue preferite?
«Io penso che qualsiasi cosa che debba piacere al pubblico debba divertire in primis te. Come mi è capitato in altri film, se penso al film Ghiaccio dove ho fatto il pugile, mi ricordo la scena dell’incontro di boxe che è stata veramente tosta, i primi due round sono sei minuti di piano sequenza. Sia per noi che recitavamo sia per l’operatore è stato faticoso».

I suoi personaggi sono spesso criminali, uomini con un animo anche oscuro. Con Alberto ha fatto pace prima di cominciare?
«Io credo che quando ti approcci a un personaggio lo devi giudicare tanto per poi dimenticarti di questo giudizio. Non devi avere dei non detti col tuo personaggio perché quando inizi a interpretarlo devi solo capire i motivi per cui compie quelle azioni. Per questo non sono mai stato arrabbiato con lui. Ogni personaggio ti fa capire qualcosa in più di te».

Cos'ha capito di lei con Spadino?
«Sicuramente non farei quello che fa lui ma capisco il suo dolore, la sua fragilità. Attingo molto da alcune cose della mia vita privata ma anche qualcosa che non è così prepotente la moltiplico e cerco di arrivare a empatizzare con lui».

A proposito di fragilità, Alberto custodisce inizialmente il segreto della sua omosessualità che poi viene rivelata e in questo reboot lo ritroviamo innamorato.
«Per me è stato come raccontare un amore puro e normalissimo. Io credo che Alberto fosse sereno a Berlino, per quanto poi scopriremo di no e questo amore credo che lo facesse sentire al sicuro da tutto il suo passato. Questa relazione gli servirà per tranquillizzarsi quando sarà fuori controllo, in conflitto con se stesso. È importante perché gli permette di raccontare la sua parte dolce».

La vedremo?
«Sì. Per esempio nel primo episodio lo troviamo da subito molto arrabbiato poi chiama il suo compagno per dirgli che sta tornando da lui in Germania e questo lo addolcirà subito dopo. È un cambio di passo rispetto al personaggio dell’altra serie e uno dei motivi per cui lo vediamo maturato».

Suburraeterna. Giacomo Ferrara as Alberto in episode 101 of Suburraeterna. Cr. Andrea Miconi/Netflix © 2023ANDREA MICONI/NETFLIX

Anche lei è molto innamorato.
«Sì, sono felice. Sto bene a casa, con la mia quotidianità. Sono uno di quelli che deve essere portato fuori a forza. La mia giornata ideale è a casa, con a cena magari un po' di amici e il mio bassotto di 11 anni che gironzola. Ogni tanto lo porto anche sul set».

Il futuro lo immagina a Roma o in Abruzzo?
«Se fosse possibile fare questo lavoro e vivere altrove sarebbe l’ideale. Non perché Roma non mi piaccia ma perché ho bisogno spesso di aprire la porta, vedere il verde, non sentire troppi rumori. Sta nascendo una Film Commission in Abruzzo e io spero che questo possa portare più cinema nella mia regione. C'è tanto da raccontare, l’Abruzzo si conosce poco ma chi ci va s’innamora. Qualcuno l’ha paragonata al Tibet, ha tanto da offrire».

Alberto in questa serie vive inizialmente in Germania dove finalmente può suonare la sua musica. Lei cosa ascolta?
«Di tutto,  la uso tanto anche nel lavoro. Per ogni personaggio che interpreto ho una playlist differente. Per esempio per Alberto ascolto, tra le altre, Levo di Recondite. È l’input iniziale per iniziare la giornata di lavoro sul set, la playlist mi permette di ripercorrere in poco tempo tutto quello che ha vissuto il personaggio».

Adesso Spadino l’ha lasciato andare via?
«Emotivamente sono già altrove, anche a livello mentale. Se arriverà un nuovo tempo di Alberto tornerò qui con nuove cose».

Quali attori la ispirano?
«In Italia, Elio Germano che per me è un punto d’arrivo, un attore libero, anche nelle sue scelte. Oltreoceano c’è invece Daniel Day-Lewis che è ispirazione costante, in ogni personaggio è sempre diverso, è una cosa su cui mi soffermo anche se mi capita di fare magari tanti personaggi di borgata, criminali. Mi vado sempre a focalizzare su cosa cambia. Anche se ci sono delle tematiche vicine, la sfumatura che ne verrà fuori è sempre diversa. Daniel Day-Lewis è così, mi soffermo a osservare i suoi occhi che in ogni film non sono mai uguali ed è quello a cui punto nei miei personaggi: avere degli occhi diversi».

Se si guarda indietro come vede Giacomo di prima e quello di oggi?
«Crescere su una montagna ti rende un po' selvaggio ma essere catapultato in una grande città ti fa ampliare gli orizzonti verso tante cose. Trasferirsi è stato questo per me. Sono la stessa persona, provengo sempre da lì ma sono cresciuto, cerco di essere un sognatore com’ero all’inizio anche se adesso sono più realista, ho delle responsabilità. Non si gioca più. Sono ostinato a tornare ai sogni, è una cosa con cui mi scontro sempre. Adesso che ho più consapevolezza la sfida è riavere gli occhi con cui sono arrivato qui, per poi affrontare nuove avventure».

Cosa vorrebbe dal futuro?
«Prima lo sapevo, adesso sono più dell'idea “vediamo che succede”. Tra dieci anni spero di essere cresciuto e perché no, di avere una famiglia. Nel lavoro immagino sfide più grandi, magari oltreoceano».