Marco Mengoni: «E dopo voglio fare l'amore»

Vanity Fair compie 20 anni. Vent'anni di incontri, di emozioni, di avventure e scoperte. Per questo straordinario anniversario ripubblicheremo dal nostro archivio, ogni giorno, alcuni pezzi indimenticabili. Questa è un'intervista a Marco Mengoni del 2013 che riprendiamo proprio oggi perché il 17 giugno 2023 il cantante inizia a Bibione il suo tour «Marco negli Stadi 2023»
Marco Mengoni «E dopo voglio fare l'amore»

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 12 di Vanity Fair del 2013

Il giorno in cui lo incontro, Marco Mengoni ha paura solo di due cose: di non riuscire a scaricare l’ultimo disco di David Bowie; e di fare tardi agli appuntamenti. Bowie, incontrarlo sarà difficile, lo vorrebbe almeno ascoltare, ma ha finito i soldi della carta prepagata per il download ed è leggermente in tensione. Per non fare tardi agli appuntamenti, cerca di evitare i gruppi che chiedono foto, autografi, abbracci. Ma sono belle paure. «Mi sento felice. È iniziato un anno di riscatto, un anno bello e importante», dice, mentre tiene tra le mani – gli occhi brillano – la prima copia del nuovo album #Prontoacorrere.
La resurrezione è iniziata mesi fa, dopo il trasferimento da Roma a Milano. Quando ha vinto il Festival di Sanremo, sul palco dell’Ariston, ha ringraziato prima di tutto il suo nuovo team. Perché se casa discografica e band sono quelle di sempre, il resto – assistenti, produttore – è tutto nuovo. Una squadra tra l’altro molto giovane: dalla manager ai grafici che hanno curato il libretto del cd – studenti dello Ied e dell’Accademia di Brera – sono tutti under 29. «Ero giovane quando la gente mi ha conosciuto grazie a X Factor, e anche io, nel mio piccolo, ho voluto contornarmi di giovani. Chi ha mostrato maggiore sintonia con il progetto che avevo in mente ora lavora con me».

Il trionfo a X Factor nel 2009, nel 2010 il terzo posto a Sanremo, poi i dischi d’oro e di platino, la vittoria di un Mtv Europe Music Award, il doppiaggio, i due tour tutti esauriti, i tributi a Gaber, Tenco, Dalla: le cose non le sono certo andate male finora. Perché parla di riscatto?
«Non è che prima non stessi bene, non mi guardo indietro pensando: che schifo. Ma sono cresciuto, mi sento più sicuro».

Perché ha cambiato squadra?
«Ho deciso io, ed è stato un parto, perché mi dovevo staccare da persone che mi avevano seguito e cresciuto per anni. Un po’ come andare via di casa. È dura, ma è bello cambiare, confrontarsi con la novità».

A proposito di cose nuove: in questo disco ci sono collaborazioni inaspettate. Da Mark Owen dei Take That a Ivano Fossati.
«Ho stravolto i loro pezzi, e la cosa incredibile è che ne sono stati felici. Con Fossati, in particola-
re, mi sentivo blasfemo: ma a lui è piaciuto come ho riarrangiato l’armonia e forse ho reso il pezzo più malinconico».

In effetti, per essere il disco della rinascita, i pezzi malinconici non mancano.
«Malinconici non vuol dire negativi. E poi positività non è andare in discoteca e fare i coglioni. I testi che ho scritto io – non tutti, perché ci sono le canzoni che mi hanno regalato Gianna Nannini, Cesare Cremonini, Pacifico – sono nati dopo che mi ero chiuso in casa per settimane. Poi ci sono stati altri autori giovani – Ermal Meta dei La Fame di Camilla, Andrea Regazzetti – che mi hanno aiutato a scrivere quei concetti con parole più chiare. Non banali, però. In #Prontoacorrere, per esempio, dico: “Grazie per avermi fatto male, non lo dimenticherò”. Non mi piango addosso: sono consapevole, reagisco».

Chi le ha fatto male?
«Chi ti avvicina non è disinteressato, sette su dieci ti vogliono fare le scarpe. Devi imparare a difenderti, e oggi che sono passati gli anni, sono più forte. Ho un po’ più di barba e peli sul petto».

Dove sbagliava, prima?
«Galleggiavo, per insicurezza non mi buttavo. Ricordo uno scontro durissimo con i miei ex produttori, avvenuto per questo motivo: mi hanno messo davanti a un bivio, oggi posso solo ringraziarli per avermi insegnato ad assumermi la responsabilità di quello che faccio».

In quel gruppo che la seguiva c’era anche Luca Tommassini, lo scenografo di X Factor. Che su Facebook le ha rinfacciato di essere sparito, di negarsi al telefono.
«Non ho mai litigato con Tommassini. E se non ho risposto pubblicamente è perché non metto in piazza le questioni professionali».

Qualcuno ha insinuato che ci sia stata tra di voi una rottura professionale, ma anche sentimentale.
«Sciocchezze. Ma ci sono abituato, da sempre mi attribuiscono storie di ogni tipo. Dicono che sono stato anche con Benedetta Mazzini. A sentire loro, sa con quanti sono stato?».

Cito L’Essenziale, con cui ha vinto Sanremo: «Mi allontano dagli eccessi e dalle cattive abitudini». Quali sono i suoi?
«Mangio e bevo il giusto. Anche se le sigarette sono in aumento».

E le cattive abitudini?
«Forse quella di andare a letto troppo tardi. Non sopporto la luce, preferisco vivere di notte, quando arriva l’ispirazione. Resto barista dentro».

Cioè?
«Prima di X Factor facevo il barista di notte. L’orario perfetto per me. Almeno, male che vada ho un piano B. Mi stupisco quando sento dire “ora i giovani che si laureano non hanno prospettive”. Quel-
li della mia generazione lo sanno da sempre che è così. Non abbiamo mai vissuto il boom economico. Abbiamo sempre saputo che il lavoro ce lo dovevamo inventare. E io sarei pronto a rimboccarmi le maniche subito. Lavorare mi piace».

E uscire le piace?
«Mica tanto. Da quando sto a Milano, sono tutto casa e studio. Sto sempre con Marta, la mia manager, che è anche un’amica. In compenso ogni tanto nel weekend invito gente a cena: mi piace cucinare, inventarmi piatti con i pochi ingredienti che ho in casa, e ritrovarmi il lunedì a fare la spesa perché il frigo è vuoto».

Ricetta preferita?
«Punto sulla romanità: una carbonara rivisitata, fatta con il latte, l’uovo sbattuto a crudo nella ciotola calda, e la pancetta saltata con il vino».

Diete?
«Mai fatte in vita mia. Si è scritto molto sul fatto che, da adolescente, sono arrivato a pesare 95 chili, ma quella è stata una fase dello sviluppo, non stavo bene. Due anni dopo ero tornato magro».

Come si tiene in forma?
«Ho iniziato da poco a frequentare la palestra, con i pesi ho messo su sei chili, spero siano muscoli. Non per il discorso estetico: voglio stare bene per il tour».

A Sanremo era elegantissimo. Ha il pallino della moda?
«Per niente. Mi vesto a caso. Sul palco sono al lavoro, è diverso».

Quanto tempo dedica alla toilette?
«Zero. Non ho tempo né voglia. Uso solo una crema idratante perché qui a Milano l’acqua è molto calcarea. Esco dalla doccia e cado a pezzi, come il mondo».

Depilazione?
«Per carità. Sono una scimmia e mi tengo tutti i peli che ho. Non mi faccio nemmeno la barba, la regolo solo».

Manutenzione dei capelli: quanti tubetti di gel consuma per avere questo ciuffo?
«Zero. Sono quasi sempre sporchi. Li lavo una volta alla settimana, a volte due. Quando ho incontrato Bobby Solo, il giorno dopo la vittoria a Sanremo, si è complimentato: dice che lui e io portiamo avanti “il ciuffo”, come Elvis».

In bagno canta?
«Molto. È la stanza migliore per cantare: le piastrelle creano l’acustica perfetta».

Parla allo specchio?
«Come lo sa? Faccio grandi discorsi. A scuola ti dicevano: se leggi ad alta voce impari meglio. Io parlo ad alta voce allo specchio e mi chiarisco le idee».

Molte canzoni dell’album raccontano storie d’amore che finiscono. Non sono le sue, però.
«No: non sono fidanzato, non ho una relazione. Anche se sono una calamita per tutti quelli che si stanno lasciando o mettendo insieme: vengono a chiedere consiglio a me. Non so perché, poi, visto che non ho tutta questa esperienza. All’inizio mi rompeva un po’, adesso invece sono un registratore virtuale: mi sento un cantastorie, attingo a ciò che mi raccontano, memorizzo le loro frasi, le riuso nei pezzi che scrivo».

Non le piacerebbe viverli anche, quei sentimenti?
«Eccome. Un po’ d’invidia c’è per chi vive una bella storia».

Non ha occasione di farsene una sua?
«Il lavoro mi assorbe completamente. Arrivo a casa la sera distrutto».

Ai tempi di X Factor ci ha raccontato di una fidanzata avuta da ragazzo. Siamo rimasti a quella?
«È stata la più importante. Ed è passato tanto tempo, troppo».

Sesso?
«Magari. Io provo col calice, ma nulla».

Prego?
«Dalle mie parti si dice che, se durante il brindisi il calice batte sul tavolo, arriverà un buon incontro. Io a forza di battere ho rotto diversi bicchieri, ma nulla».

Difficile crederle: lei è un bellissimo ragazzo.
«Ma sono un giovane vecchio: la botta e via non fa per me, non ne sono capace».

E l’idea di mettere su famiglia che effetto le fa?
«Mi piace, parecchio. Vorrei tanto un bambino, ho un fortissimo istinto paterno. Mi dicono che dovrei aspettare, che ho solo 24 anni, ma io un figlio lo farei volentieri adesso».

Difficile, se non fa sesso. Pensa a qualche strada alternativa?
«Veramente a me piace la strada tradizionale: fermarsi e concedersi una sana trombata, sperando che gli spermatozoi facciano il proprio lavoro. Se avessi un bambino lo porterei in giro, gli insegnerei delle cose, gli farei vedere quanto fa schifo e quanto è bello questo mondo».

Un figlio solo?
«No, tre. Prima uno, poi due gemelli. E invece eccomi qua. La mia creatura, per ora, è il disco».

Qual è la canzone del disco che la rappresenta di più?
«Natale senza regali. Sono nato il 25 dicembre e il mio compleanno l’ho sempre passato con i parenti invece che con gli amici. A volte mi sono sentito solo».

Altre volte si è sentito fortunato?
«Abbastanza. Io ci metto tanto impegno, ma il culo ci vuole».

Che cosa direbbe ai suoi coetanei che sentono di non avere prospettive, oggi, in Italia?
«Insistete, insistete sempre. E, se passa il treno, fatevi trovare al posto giusto nel momento giusto».