Silvio Berlusconi è stato quello che è stato - ovvero, in fin dei conti, un uomo di successo, almeno nella sua personale (ma condivisa da molti) visione della vita - anche grazie alla sua immagine: un'immagine costruita nel corso del tempo con calcolo machiavellico, e tramata nel più ampio tessuto di una narrazione di sé che ha fatto ricorso a ogni possibile strumento di comunicazione.
Ma, con una forza uguale e contraria, la sua stessa immagine è stata anche il suo tallone di Achille, il suo fianco fin troppo platealmente scoperto al dileggio selvaggio e allo sberleffo talvolta affettuoso, ma spesso anche violento.
E, forse, anche il suo cruccio. Un'indesiderata zavorra che lo ha sempre tenuto ancorato a una realtà che avrebbe tanto voluto diversa: Silvio Berlusconi si immaginava e si autorappresentava aitante, bello, magro, alto, capelluto, abbronzato e forever young. Forse alcune di queste caratteristiche gli sono anche appartenute, in un'epoca lontana nel tempo. Ma non tutte, e certamente non sempre.
Blazer & Co.
Se nel mazzo del mercante in fiera esistesse la carta dell'imprenditore, ci troveremmo impresso un disegno di Berlusconi a cavallo tra anni Settanta e Ottanta, quando, cioè, il suo volto inizia a diventare familiare agli italiani come intraprendente uomo d'affari. Il suo immaginario si modella su quello dei grandi tycoon americani, ed è inevitabile che il suo guardaroba vi si adegui, anche se in una versione a grana brianzola: il suo cavallo da battaglia è, da subito il leggendario blazer doppiopetto dalle spalline via via meno ipertrofiche col passar degli anni e dei governi, quintessenza del look cavalleresco (da Cavaliere, non da eroe medioevale).
Una divisa di rispettabilità, fascino e stile, che declinerà anche in impegnativi cappotti e perfezionerà nella versione in gessato. Che, si sa, allunga e sfina. Al collo cravatte rigorosamente Marinella, preferibilmente a pois. Ai piedi le mitologiche scarpe con il rialzo interno: menzogna o verità, debolezza o aiutino? Non importa. Di certo gli è sufficiente un borsalino inclinato per sembrare Frank Sinatra: non basta, ma aiuta.
Negli anni Novanta saprà alternare il rigoroso doppiopetto a una più lieta giacca a due bottoni, per tornare però sempre più frequentemente col passare del tempo al rassicurante modello iniziale, rivisto e corretto in grigio, con l'ardito inserimento del panciotto, o, ancora, in tessuti sempre più strutturati e rigidi, quasi a costruirgli attorno uno scafandro/corazza, a proteggerlo dal fuoco di fila degli attacchi nemici.
L'altro Silvio
E poi c'è stato l'altro Berlusconi, quello che ci è diventato sempre più familiare, quello entrato nelle case degli italiani a cominciare dalla casa degli italiani, il Parlamento. Il Primo Ministro Berlusconi ha voluto, ma forse dovuto, avvicinarsi ai suoi concittadini/elettori, diventare uno di noi ma un po' meglio e un po' più ricco di noi. Ha dovuto quindi svelare anche il suo aspetto non diremmo più tenero (anche se…), ma certamente più domestico e casual. E così sull'erba del giardino di Arcore eccolo sfoderare il suo maglionicno a girocollo blu - il Blu Berlusconi sì che è da Pantone, altro che royal blue - sulla oxford celeste, per passeggiare con i figli bambini in spalla. Un must che rappresenta il perfetto rovescio della medaglia del blazer: altrettanto impeccabile, ma incomparabilmente più umano.
È il punto di svolta: non solo di maglioncini blu vive il Berlusconi in versione casual, ma anche di giubbini in suede e di maniche di camicia arrotolate. Di svolta, ma forse anche di non ritorno.
Bandana & total white
La più casual delle stagioni casual di Berlusconi è l'estate, quando il Cavaliere non resiste - da sempre - alla rischiosa tentazione del total white. Da pizzaiolo, avrebbe detto lui se a indossarlo fosse stato un altro. Ma a indossare camicia spalancata sul petto e pantaloni in lino era lui, e quindi il bianco totale dalla testa ai piedi non poteva che essere chic. Dalle coste della Tunisia a quelle della Sardegna.
È a Porto Cervo che nell'estate del 2004 Berlusconi accoglie il primo ministro britannico Tony Blair non solo in total white, ma con l'indimenticato e indimenticabile bandana, immacolato anch'esso, e stretto sul capo a protezione di una recente opera di rinfoltimento del cuoio capelluto. Ecco, il fianco più scoperto di sempre di Berlusconi: messi sui due piatti della bilancia la sua vanità da una parte, e le opportunità di scherno offerte su un vassoio d'argento ai detrattori, non deve avere avuto un istante di dubbi nel lusingare la prima e nell'infischiarsene delle seconde. Onore al merito, e al coraggio.
L'altra metà del cielo
Dell'immagine di Silvio Berlusconi hanno fatto parte anche - di sponda, se vogliamo, o per traslazione - le sue compagne. Non tanto la prima moglie Carla Elvira Lucia Dall'Oglio, quanto la più nota Veronica Lario e quelle che si sono susseguite dopo una delle più mediatiche e clamorose (per le dinamiche, le ragioni e le conseguenze, in tutte le loro diramazioni) separazioni pubbliche della storia italiana nemmeno tanto recente, ormai: Francesca Pascale prima, e Marta Fascina fino agli ultimi giorni. Tutte e tre, al fianco di Berlusconi nelle occasioni ufficiali e in quelle della vita privata che così privata non è mai stata, si sono mostrate in outfit studiatissimi che i maligni avrebbero potuto definire costumi di scena morigerati e sobri, eleganti e classici, castigati e borghesi fino all'osso. A loro modo, inappuntabili.
Quanto di più lontano, insomma, si possa concepire dall'immagine della donna così come i programmi di intrattenimento leggero delle sue televisioni, per anni, hanno plasmato, a suon di bikini tanto più succinti quanto meno funzionali al contesto, di minigonne più mini che gonne, di orpelli seduttivi per lo meno ridondanti. Rendendo quella - come la goccia che scava la roccia, senza che ci si sia nemmeno resi conto di come sia potuto accadere - l'immagine «normale» o meglio normalizzata della figura femminile in tv, ma anche nella società italiana. Un archetipo del femminile contro il quale si scaglia, nel settembre del 2009, anche la rispettata e autorevole critica di moda Suzy Menkes dalle pagine dell'International Herald Tribune: nella sua articolata requisitoria accusa gli stilisti italiani di avere mandato in pesserella, nella Settimana della Moda di Milano, abiti «da veline», condensando nel ruolo delle celebri vallette tutto un mondo di seduzione a ciclo continuo generato, in ultima analisi, proprio da Berlusconi. Un'immagine e immaginario conseguente che solo oggi - dopo anni di mee too e processi e neofemminismo - stiamo iniziando a scrostare davvero dalla società e da mass media. Come calcare ostinato difficile da cancellare davvero una volta per tutte.
Ma lontano, anche, dall'immagine delle donne che a partire dal 2010 - dopo la separazione di Berlusconi e parallelamente agli scandali anche giudiziari che lo hanno travolto - abbiamo imparato a conoscere vicino a lui, accanto a lui, attorno a lui e addosso a lui. Le donne del bunga bunga, le papi girl, le Noemi Letizia e le Nicole Minetti, le Sabina Began e le Ruby Rubacuori. Donne che riflettono appieno l'estetica del velinismo televisivo, ma che puntano a far penzolare dal loro avambraccio la più costosa delle borse di Hermès.
Anche queste due tipologie di presenze femminili che hanno gravitato attorno a Silvio Berlusconi rappresentano bene le due facce della stessa medaglia: quello divino e quello umano, quello pubblico e quello privato, quello del blazer e quello della bandana.