Lo street artist Rebor e la dislessia: «Mi ha insegnato a danzare sulle difficoltà»

26 anni, torinese, nasce come writer, ma oggi realizza installazioni rosa shocking che fanno riflettere, regalando speranza. Oggi Rebor ha fatto del rosa una filosofia di vita e la sua bandiera: ma non è stato sempre così, ricordando la fatica legata alla dislessia. Ecco la sua storia
Marco Abrate in arte Rebor ritratto da Carl Stacey.
Marco Abrate, in arte Rebor, ritratto da Carl Stacey.

All’Accademia di Belle Arti di Torino capisce definitivamente la sua strada. Ma l’illuminazione l’aveva avuta già: «È stata la dislessia a indicarmela: quello che per gli altri era scontato, io dovevo sudarmelo il doppio. È nella sofferenza che ho capito che con l’arte potevo esprimere ciò che avevo dentro. E non avevo bisogno di parole».

Comincia a fare graffiti in giro per la città: «Una street art che dà sfogo alla ribellione, alla trasgressione, al mistero… Perfetta per il me adolescente, anche un po’ incazzato. L’arte ha risolto per me e in me molte cose».

Risolvere dei nodi gli permette di far pace anche con le parole: «Ho iniziato a leggere tantissimo, e non ho più smesso. Oggi leggo anche dieci libri al mese. E grazie alle storie raccontate da terzi, io unisco i puntini della mia vita, con riconoscenza».

Puntini che oggi l’hanno portato a essere uno degli street artist emergenti più promettenti del panorama italiano: non a caso, si è aggiudicato il primo posto nella sezione street art della Biennale di Venezia, con l’opera Rivelazione digitale, che gli ha permesso di esporla al Padiglione Venezia in occasione dell’inaugurazione della manifestazione internazionale.

«Una soddisfazione grandissima, una vittoria. Ma per me una situazione anche fin troppo mondana. Infatti, attendevo sempre il finire della giornata, quando verso chiusura, potevo andare al laghetto adiacente al mio padiglione e restare fino al tramonto, in compagnia del gracidare delle rane e dei cerchi concentrici che disegnavano sul pelo dell’acqua».

Biennale di Venezia, punto di arrivo o di partenza? «Dopo il premio ricevuto a Venezia è come se avessi appena iniziato: un viaggio che sarà ricco di avventura. E per questo ringrazio sempre la dislessia, che mi ha “donato” la scarsa memoria: se all’inizio vivevo questa cosa come un deficit, oggi ringrazio. È un dono non ricordare, quindi non fossilizzarsi o non crogiolarsi troppo sul passato, ma rimanere nel qui e ora, nell’impermanenza.

Del resto, nulla resta: un magnifico esempio della realtà in cui viviamo sono le stories di Instagram, durano 15 secondi l’una, per 24 ore, e poi puff!, non esistono più. Così anche gli istanti che viviamo: ha senso ancorarsi a ciò che già è storia? Se non lasciamo andare il vecchio - e il vecchio è già un attimo fa -, non possiamo far spazio al vuoto. E il vuoto è creatività».

Una consapevolezza, quella di Rebor, che non appartiene forse all’età anagrafica che ha: «La fugacità stimola la consapevolezza: se ci rendessimo conto che tutto muore istante dopo istante - anche noi -, allora vivremmo con più intensità».

«Artista gentile» è stato definito, da chi è nell’ambiente e anche da chi non lo è: «Credo molto nella gentilezza: mi ha aperto molte porte, e le ho spinte sempre col sorriso. E poi credo molto nella cooperazione: da soli si va più veloci, è vero, ma insieme si va più lontano».

Oggi a cosa o a chi è grato Rebor? «Ringrazio la mia famiglia, innanzitutto. Poi i critici d'arte e i giornalisti, come Filippo Mollea Ceirano e Giorgio Bonomi, che mi hanno aiutato e curato la mia prima mostra personale a Milano nel 2022; e Nicolas Ballario, con il quale ci siamo conosciuti durante il lockdown: in quel periodo avevo creato l'opera Alla ricerca di un riparo e dopo avermi fatto un’intervista andata in onda su Sky Arte ha deciso di inserirmi nella mostra Alem de 2020 Arte Italiana na pandemia presso il Museo MAC di San Paolo in Brasile, da lui curata, insieme a Teresa Emanuele. E la MA-EC Gallery di Milano, che mi rappresenta.
Infine, dico grazie alla dislessia, che mi ha insegnato a danzare intorno alle difficoltà: credo a ragion veduta di poter dire che conosco bene la resilienza. Ma non mi sono mai spezzato: è una buona opportunità, la fatica».

Ma ci può svelare che significa Rebor? «Non ancora, tra qualche mese potrò farlo. Per ora… mistero». E sorride, con una risata argentina. Come la sua personalità.

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