Io che di lavoro faccio il funambolo

«Dove gli altri vedono due punti, tu traccia una linea», «Impara a stare scomodo», «Fai del vuoto il tuo punto d’appoggio». Andrea Loreni è il più famoso funambolo d’Italia, l’unico specializzato in traversate a grandi altezze e ora ha pubblicato il libro Breve corso di funambolismo per chi cammina col...
Io che di lavoro faccio il funambolo

Io che di lavoro faccio il funambolo

«Dove gli altri vedono due punti, tu traccia una linea», «Impara a stare scomodo», «Fai del vuoto il tuo punto d’appoggio». Andrea Loreni è il più famoso funambolo d’Italia, l’unico specializzato in traversate a grandi altezze e ora ha pubblicato il libro Breve corso di funambolismo per chi cammina col vento***. Sette passi per attraversare la vita*** (Mondadori): «Vuole essere una guida per salire sul cavo, lasciarsi sospingere dal vento e guardare giù», spiega lui, «Non mi aspetto che lo facciate realmente, non tutti almeno, ma confido che nelle mie parole ognuno di voi possa trovare degli spunti utili anche in altri contesti. Salire lassù significa soprattutto cambiare prospettiva e guardare le cose da un altro punto di vista, e questo è senza dubbio un principio di cui fare tesoro. Di più: il cavo vi aiuterà a capire che nella vita ogni punto di vista è unico, e vi insegnerà a essere ben consapevoli della vostra prospettiva attuale e del fatto che qualunque essa sia ce n’è sicuramente un’altra».

Laureato in Filosofia, ha 45 anni e alla domanda «Che lavoro fai?», risponde serafico: «Il funambolo».

Il funambolo Andrea Loreni
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Ma come si inizia una carriera da funambolo?«Ognuno ha il suo percorso. Io ho studiato Filosofia e quando ero ragazzo ho fatto l'artista di strada, tra teatro e giocoleria. Mi allenavo in cortile, tendendo una corda di canapa tra due alberi. Negli anni Novanta non era facile trovare un insegnante di funambolismo e diciamo che sono stato un autodidatta».

I suoi «record»?«L'attraversata più alta che ho fatto era a 160 metri da terra e la corda in quell'occasione era lunga una sessantina di metri. La più lunga, invece, è stata di 250 metri, percorsa a 90 metri dal suolo».

Quanto conta la testa per fare quelle attraversate nel cielo?«Parlare di testa è fuorviante: la testa spesso è più il problema che la soluzione. Se pensi troppo non va bene. Io cerco di non ascoltare i pensieri e sentire invece bene il mio corpo, perché possa mettere in atto la tecnica che ha appreso. Se lo lasci fare, il corpo sa che cosa è meglio fare. Io faccio tanta meditazione, proprio per escludere la testa, per evitare tutti quei dubbi e quelle domande che potrebbero insorgere e intralciarmi. La testa ci porta altrove, ma per riuscire a camminare sul cavo dobbiamo imparare a essere nel qui e ora, bisogna cercare di stare costantemente in quello che facciamo. La nostra vita è nel presente e dobbiamo avere la disponibilità ad accogliere quello che c'è e non quello che si vorrebbe che ci fosse. È fondamentale valutare quello che abbiamo davanti e comunque se devo recuperare l'equilibrio, è l'immediatezza istintuale la nostra risorsa: il pensiero, che calcola di quanti centimetri dovrei spostarmi, a quanti gradi dovrei inclinarmi, è troppo lento, inutile. Devo far affidamento sul corpo, su quello che il corpo ha imparato».

Ma come potrebbe traslare quello che lei ha imparato sul cavo nella vita a terra?«Sul cavo ho imparato a sviluppare delle strategie del rischio, a capire meglio come gestire la paura, come affrontare le situazioni di tensione. Ho trovato strumenti che mi sono serviti tutti i giorni».

Lassù si prova paura?«Certo. La prima volta che ho messo i piedi sul cavo, ho capito che dovevo essere disposto ad avere paura. Mai andare spavaldi: la volta che vai sul cavo pensando di essere il re è la volta che cadi. La paura è una cosa umana e io, nelle mie lezioni, sto molto sull'insegnamento delle strategie di gestione della paura, importanti anche per chi sul cavo non va e non andrà mai».

Dunque, oltre a fare il funambolo, lei fa anche il coach?«Io faccio il formatore e utilizzo il mezzo del cavo come metafora. Spesso mi capita di lavorare con grandi imprenditori, per capire come possano affrontare al meglio le situazioni rischiose o la pressione di un lavoro stressante. In generale mi occupo di crescita personale, di come si possa affrontare l'ansia o il timore del fallimento».

A proposito di fallimento: che cosa succede se lei dovesse fallire su quel cavo?«Stante che per lo più io lavoro con una corda di sicurezza, quella che in gergo si chiama safety line, in realtà fallire non vuol dire solo cadere, ma vuol dire, per esempio, non riuscire a fare quello che avresti voluto. In questi anni ho capito che è fondamentale l'accoglienza: così come bisogna imparare ad accogliere le proprie paure, bisogna saper accogliere il fallimento, senza che questo implichi un giudizio di valore. Oggi tutto viene valutato in base all'obiettivo finale, mentre il valore di quello che si fa è in tutti i passi che ci portano a quell'obiettivo, al di là dell'obiettivo stesso. Come sul cavo: devi essere lì, dare senso a ogni passo. Noi tendiamo a non focalizzarci su quello che stiamo facendo, pensiamo sempre a dove arriveremo, perdendoci così il piacere del percorso. E invece è così bello apprezzare quello che si fa in quel momento, indipendentemente da dove stiamo andando».

Quanto conta l'esperienza?«L'esperienza è molto importante, perché puoi far tesoro di tutte le situazioni che hai visto, ma, d'altro canto, devi anche essere pronto pronto a vederne di nuove, a non pensare che hai già provato tutto. Il bagaglio dell'esperienza deve rimanere sullo sfondo, quasi a livello inconscio. Bisogna cercare di fare in modo che l'esperienza non diventi pregiudizio: in qualche modo, meno sai, più sei naturale e pronto alle novità. Quello che sai dovrebbe essere qualcosa a cui non pensi più, ma che c'è e che esce istintivamente. E perché l'esperienza non sia ingombrante, ci vuole paradossalmente tanta esperienza».

Ma lei non pensa mai a quello che rischia?«Ma io non faccio la roulette russa! Non butto le cose a caso, prendo sempre le misure e so bene come agisco. Io ho una bimba di cinque anni e mezzo e non faccio certo atti scapestrati, ma credo che sia più pericoloso il rischio di fare quello che non mi piace, trasmettendo a mia figlia il disamore per la vita. Lei, invece, può sentire tutta la mia passione e la mia emozione».

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