Gabriele Corsi: «Quando non starei al gioco»

Dopo un'estate particolarmente impegnativa, Gabriele Corsi torna, da lunedì 31 agosto alle 20.30 sul Nove, con la nuova edizione di «Deal with it», il programma che ci spiega quando stare al gioco. Dal sogno di tornare al cinema alla sua espulsione dall'Accademia Silvio D'Amico, dai trascorsi a «Reazione a Catena» all'importanza di vivere la famiglia, ecco cosa ci ha raccontato
Gabriele Corsi «Quando non starei al gioco»

Gabriele Corsi gioca a carte scoperte. Impegnato nelle riprese della nuova stagione di Deal with it, al via lunedì 31 agosto alle 20.30 sul Nove, ammette che, qualora gli ponessimo una domanda scomoda, adopererebbe la «tattica delle Iene», quella che spingeva i parlamentari a fingere di ricevere una telefonata per evitare di rispondere. Non vi ricorrerà, però, neanche una volta: Corsi non si nega nulla, fa lo slolom tra gli argomenti più disparati con voce squillante, mascherando bene la fatica e la stanchezza imposte dai ritmi serrati e dal controllo rigoroso dei protocolli che hanno in parte rivoluzionato la formula originale del programma. Sono banditi, per esempio, i contatti tra i partecipanti, che scelgono letteralmente di «stare al gioco» e di prendere in giro il proprio accompagnatore in un locale pubblico, e i complici che si impegnano ad assecondare tutte le follie suggerite dagli ospiti vip attraverso un'auricolare.

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Il trucco del programma è uno solo: fingere nonchalance.«L'unico modo di perdere è farti scoprire: è tutto in mano alla capacità di improvvisare e di essere credibile agli occhi dell'altro. È un programma dall'organizzazione complessa, ma sono molto soddisfatto del risultato».

In che modo le norme anti-contagio hanno inciso sulla formula?«Sul set io e l'ospite siamo gli unici a non indossare la mascherina quando registriamo: facciamo il test sierologico quotidianamente - infatti ho il dito perforato - e il tampone una volta alla settimana. Gli autori hanno iniziato a scrivere degli scherzi nei quali non ci fosse il contatto fisico, rendendo tutto più difficile: a far ingelosire il partner facendo un massaggio al cameriere, in fondo, non ci vuole niente».

Si vedrebbe come concorrente?«Ho chiesto di intervenire più volte come disturbatore, ma il format non me lo permette. Peccato, perché sono talmente un deficiente nella vita che nessuno si stupirebbe se facessi delle cose particolarmente bizzarre».

Ci sarebbe uno scherzo al quale si fermerebbe come spesso capita in Deal with it?«Mi fermerei in base alla reazione di chi ho davanti: se vedessi che c'è un imbarazzo doloroso, per esempio, non starei più al gioco».

Gli scherzi è meglio farli o subirli?«Qualcuno direbbe che è meglio farli, come i regali, ma, se sono fatti bene, a me piace molto anche riceverli».

Da bambino li faceva?«Facevo delle marachelle, perché ero molto tranquillo e non avevo grandi problemi comportamentali a scuola. Al liceo, però, mi sono rifatto con gli interessi. Quando, poi, ho conosciuto Furio e Giorgio (con loro Corsi forma Il Trio Medusa, ndr), ho iniziato a fare delle zingarate complete».

Da quell'incontro capisce di voler intraprendere la carriera artistica: prima cosa voleva diventare?«Il pompiere, solo che, soffrendo di vertigini, non era possibile ipotizzare una carriera di questo tipo. Alle elementari, però, trovai un maestro che aveva frequentato l'Accademia d'Arte Drammatica che mi ha trasmesso la passione per la recitazione: lì ho capito che quello che avrei voluto fare».

Infatti si iscrive all'Accademia Silvio D'Amico. Poi, però, viene espulso: come mai?«Per insubordinazione. La dicitura esatta era "inadatto alla struttura accademia", e non sarei potuto essere più d'accordo. Avevo 18 anni, era da poco scoppiata la guerra in Iraq e con un gruppo di compagni decidemmo di occupare simbolicamente un'ala dell'università. Il problema vero, però, era l'incompatibilità molto forte con un insegnante della scuola: sono sempre stato molto pacato nei modi, ma con lui avevo il "brocco", come si dice nel nord Europa. Un giorno ci fu una litigata epica e lì capii che la mia carriera accademica era segnata. È stata una fortuna, però, perché da lì incominciai la vera gavetta».

Ha più rivisto quel professore?«Ho avuto sue notizie dagli ex compagni, ma di certo non mi sono messo sulle sue tracce e non l'ho cercato su Facebook, anche perché non ce l'ho. Auguro sempre una vita lunga e serena a tutti».

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A proposito di recitazione: il suo ultimo film al cinema risale al 2012.Le manca?«Moltissimo. Mi manca il set, lavorare su un personaggio, l'atmosfera picaresca che si viene a creare con la compagnia e che ti porta a mangiare la pizza fredda a mezzanotte come la gita del liceo».

Tornasse al cinema con chi lavorerebbe?«Mi piacerebbe lavorare di nuovo con Gabriele Muccino, che mi ha tenuto a battesimo tantissimi anni fa. Poi, certo, ci sono Sorrentino, i fratelli D'Innocenzo, ma anche Ferzan Ozpetek che è un grande amico, solo che non mi chiama: si vede che evidentemente non mi stima come attore. Scherzi a parte, temo che al cinema ci tornerò come spettatore, anche se non mi pongo limiti o obiettivi: la vita mi ha insegnato che le cose inaspettate capitano in momenti inaspettati».

Curioso che abbia citato tutti registi molto «impegnati»: teme mai di essere legato all'etichetta del comico?«Se qualcuno mi ferma per strada e mi dice che sono quello delle Iene io sono felicissimo. Sono cosciente di quello che sono e di quello che faccio, e non ho paura delle etichette. Certo, mi piacerebbe stupirvi in positivo un giorno, ma non è detto che ne sarei in grado».

Resta che, intanto, ha costruito una carriera televisiva di tutto rispetto: un programma che vorrebbe condurre?«Tornassi indietro sicuramente Il pranzo è servito, ma anche Il gioco dei 9, M'ama non m'ama: i programma della tv italiana con i quali sono cresciuto. Solo che temerei l'effetto nostalgia, è difficile attualizzare quello che è andato in onda così tanti anni fa».

Non c'è intervista in cui non le chiedano di Reazione a catena: le dà fastidio?«No, perché non ho nulla di cui colpevolizzarmi. Sono state fatte delle scelte che non spettavano a me: quando cambia il direttore di rete è come se cambiasse l'allenatore di calcio e se questo decide, indipendente dagli ascolti e dai record, di non confermarti è una sua scelta. Sulla cosa in sé non ho nulla da dire, sono rimasto turbato sui modi: avevo ricevuto il piano di produzione e ottenuto delle garanzie che non sono state mantenute. Penso semplicemente di avere un altro stile: ognuno risponde del suo».

Le è mai capitato di vedere Reazione a catena a dopo?«Giuro che non è una risposta diplomatica, ma non ne ho mai avuto modo per via dell'orario. Con lo stile di vita che facciamo noi, sono sempre impegnato di pomeriggio. Una volta finita la collaborazione in Rai, mi sono arrivate proposte da tutti i gruppi lavorativi tranne La7: con Discovery abbiamo subito creduto in Deal, che mi occupa molto tempo. In genere non sono uno che fa confronti e non leggo i social, che uso più per capire cosa succede nel mondo che per commentare un programma televisivo».

Curioso che dica di non leggere i social, visto che un suo post pubblicato nel pieno del lockdown e dedicato alla scomparsa delle persone care per il Covid è diventato virale.«Scrivo per dire delle cose, per liberarmi da alcune cose personali e spiegare quello che provo in quel momento. Di commenti a quel post, però, ne ho letti pochi, anche perché erano tutti molto dolorosi».

Prima ha detto di avere poco tempo a disposizione per via del suo lavoro: riesce a vivere la sua famiglia come vorrebbe?«La risposta giusta sarebbe no ma, quando vedo tutta questa gente intorno a me che lavora per portare il pane in tavola, non avrei il cuore di dirlo. Il mio è il lavoro più inutile del mondo, non sono un medico o un pompiere e di certo nessuno si strapperebbe le vesti se non ci fossi, ma mi sembrerebbe irrispettoso parlarne male, perché lo adoro. L'anno scorso, però, ho fatto il conto con mia moglie: ho trascorso 200 notti fuori casa. Sarà per questo che durante il lockdown ho recuperato giocando a Risiko. Detto questo, vengo da famiglia seria che si è dovuta guadagnare tutto, ho capito cos'è la fatica vera e visto mio padre addormentarsi a tavola la sera. Oggi guardo tutto con un sorriso che è difficile spegnere».

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