«Colazioni saltate e metal detector», l'Olimpiade ai tempi di Karen Putzer

L'ex sciatrice, bronzo a Salt Lake City 2002, torna ai Giochi da commentatrice col team di Eurosport: «In pochi anni è cambiato tutto, ora ci sono social e programmazioni sfiancanti. Io che prima della gara ho saltato la sveglia e, per colpa dei controlli, arrivai in extremis alla partenza. Però mi divertivo, oggi non so»
«Colazioni saltate e metal detector» l'Olimpiade ai tempi di Karen Putzer

«Il mio primo ricordo legato ai Giochi Invernali risale al 1996, a Nagano, quando un atleta della nazionale italiana si avvicinò per farsi una foto con me, che ero la più giovane della spedizione». Col flash e il rullino, s’intende, altro che selfie. Perché ai tempi dell’esordio olimpico di Karen Putzer, i cellulari servivano solo per telefonare. La società è cambiata in fretta, e pure lo sci. «In pochi anni si è trasformato tutto, con programmazioni sfiancanti e i social che mostrano sempre quello che fai», ci rivela l’ex sciatrice medaglia di bronzo a Salt Lake City 2002. Proprio lei che tornerà ai Giochi, a PyeongChang, con Eurosport, il network del gruppo Discovery che per la prima volta trasmetterà l’Olimpiade «fully digital» in Europa, con la possibilità di personalizzare la visione su tutte le sue piattaforme. «Il rischio è che nelle gare di oggi venga meno la componente del divertimento».

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Lei si divertiva?«Per me lo sci è sempre stato un hobby. Certo, lo facevo con la massima professionalità, ma lo sport deve essere in primis un divertimento».

Un episodio che l’ha fatta particolarmente ridere?«Era il 2002, prima del gigante in Val d’Isère, io e Daniela Ceccarelli eravamo in camera insieme, appena tornate dalla tappa di Coppa del Mondo in Canada. All’epoca non c’era il tempo di riabituarsi all’orario, così a causa del jet leg non sentimmo la sveglia».

Quindi?

«Ci svegliarono i camion che stavano partendo, si erano scordati di noi. Io afferrai una banana al volo e via, Daniela mi rinfaccia ancora oggi di averle fatto saltare quella colazione».

La prova come andò?«Vinsi il mio primo gigante, nonostante mi fossi svegliata tardi e non avessi seguito tutta la mia classica routine pre-gara. Pazzesco, adesso non sarebbe possibile perché le atlete sono molto più seguite».

Proprio la Ceccarelli, pochi mesi prima, era salita sul gradino più alto all’Olimpiade. Lei terza: si può essere amici in squadra nello sci, che è individuale?«Io e Daniela lo eravamo, ma capisco non sia sempre così. Bisogna scindere la prestazione in gara dalla vita fuori: quando si scende, tutte vogliamo vincere. E capisco chi, quando perde, si arrabbia».

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Di quei Giochi invernali ha altri ricordi?«In America, cinque mesi prima, avevano vissuto l’attacco alle Torri Gemelle. Quindi tutti quei controlli, coi metal detector agli impianti di risalita, mi presero un po’ alla sprovvista».

La fermarono?«No, però non ci eravamo abituati. E infatti arrivai tardissimo al cancelletto di partenza: ricordo che mi infilai la tuta al volo e giù senza pensarci tanto. Forse è stato meglio così».

Tra l’altro aveva il pettorale numero 2.«All’epoca non era a sorteggio, me lo scelse l’allenatore. Mi disse che così mi sarei tolta subito il dente: chissà come sarei arrivata se non avessi fatto da apri pista. Meglio o peggio, non si può dire».

Insomma, lo trova molto cambiato lo sci ora da commentatrice?«Non nei materiali, molto nella programmazione. Quella della Shiffrin, ad esempio, è estenuante. Lei, come Hirscher, lavorano per diventare delle macchine. E vincono spesso».

E i metodi di allenamento?

«La rivoluzione c’è stata con l’inserimento del gruppo polivalente. Io invece passavo spesso dalla squadra di velocità a quella tecnica: cambiare allenatore non è semplice».

I risultati arrivano, come lo storico podio tutto azzurro nella discesa di Bad Kleinkirchheim. «La Goggia si sta confermando una che sa vincere, la Brignone e le Fanchini vanno forte, la Bassino sta riprendendo fiducia: caratteri diversi, ma un bellissimo gruppo».

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Si ritrova in qualcuna in particolare?«No, mi sento un po’ una via di mezzo, l’ultimo step prima della creazione del gruppo polivalente. Mi ritrovo nell’aggressività della Goggia e nella tecnica della Brignone».

Lei e Daniela Ceccarelli, siete state le ultime a conquistare una medaglia olimpica nello sci alpino femminile.«Sì, anche se mi sono resa conto dell’importanza del risultato solo qualche anno dopo, quando ero commentatrice, e guardavo la premiazione di Razzoli a Vancouver».

Può essere l’anno di una nuova medaglia in rosa?

«Le premesse sono buone, anche perché nelle prove in Corea dello scorso anno le azzurre sono andate molto forte. Però, considerato che è una gara secca, può succedere di tutto».

La componente psicologica può giocare brutti scherzi?«E’ un fattore importante, ci sono sciatrici che in certe situazioni tirano fuori il meglio di sé: l’americana Mancuso, ad esempio, è andata a medaglia per tre Olimpiadi di seguito, una vera outsider».

Anche lei è riuscita a domare la pressione. Ha un ricordo particolare di quel giorno?«Sì, la sera dopo la premiazione in un edificio a Salt Lake City, io e Daniela non trovavamo più la nostra auto. I parcheggi sotterranei erano tutti uguali: abbiamo chiamato un taxi per cercarla».

Confuse dalla gioia. Quella, nonostante il passare degli anni, resta sempre la stessa.