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Caffaz sul marmo: «Il 50% del lavorato in loco distruggerà i piccoli imprenditori»

La critica alle posizioni del centro sinistra: «Si verrebbe a creare un oligopolio, con una concorrenza basata solo sul prezzo»

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CARRARA – «Prendiamo atto che Pd, Verdi, Sinistra Italiana e Cigl, con una posizione demagogica, antistorica e antieconomica non intendono recedere di un millimetro, alla vigilia del rinnovo delle concessioni, dalla famigerata percentuale del 50% di marmo escavato lavorata in loco. In un mondo ideale la loro potrebbe anche essere una posizione sostenibile, pur contravvenendo a elementari leggi di mercato, di cui tuttavia dubitiamo ne conoscano l’esistenza intrisi come sono di ideologia dirigista. Peccato che noi non viviamo in un mondo ideale, tantomeno a Carrara anche a causa delle nefaste amministrazioni di sinistra che si sono susseguite negli ultimi decenni». A parlare è il consigliere comunale Simone Caffaz, ex candidato a sindaco di Carrara con il sostegno della Lega alle ultime elezioni comunali cittadine.

«E allora non possiamo esimerci dall’evidenziare le disastrose conseguenze che quanto previsto dalla legge 35 e dal regolamento degli agri marmiferi provocherà a tutto il settore lapideo che sarà messo in ginocchio in un momento già di contrazione del mercato. Innanzitutto è doveroso rendere la città edotta del fatto che la stragrande maggioranza degli imprenditori, per ottenere il rinnovo della concessione, dichiarerà quanto tutti sanno già adesso che non riusciranno a mantenere, ovvero la lavorazione in loco del 50% dell’escavato. È di tutta evidenza infatti che il sistema produttivo delle aziende apuane nel suo complesso non è minimamente in grado di rispettare questa imposizione. – aggiunge Caffaz – Molte delle cosiddette aziende integrate hanno già chiuso nel recente passato, altre aziende di trasformazione hanno messo recentemente i loro dipendenti in cassa integrazione. Molti dei concessionari non dispongono neppure dei macchinari né degli spazi per trasformare la materia e il loro inevitabile destino sarà la chiusura. Il rischio, ma forse sarebbe meglio dire la previsione, è il crollo dell’intera filiera e la creazione di un monopolio parziale delle cave (o nella migliore delle ipotesi un oligopolio) caratterizzato dalla sopravvivenza bene che vada di una manciata di operatori economici, dalla scomparsa dei commercianti, che sono coloro che hanno portato il marmo in giro per il mondo, e da una concorrenza che si baserà esclusivamente sui prezzi che, come conseguenza, crolleranno di almeno il 20%-25%. Altro che valorizzare il prodotto».

«In tutto questo, mentre la sindaca Arrighi, con delega al marmo, tace (sul marmo in un anno e due mesi non ha detto una parola in consiglio comunale così come nelle linee politico-programmatiche dell’amministrazione), non si capisce quali saranno i meccanismi che dovranno governare le aste a partire dal 1 novembre, né i meccanismi di controllo che verranno attuati per verificare il rispetto delle percentuali di lavorato. In conclusione, se l’obiettivo nel settore marmo avrebbe dovuto essere quello di coniugare lo sviluppo all’ambiente, ci ritroveremo in una decrescita dirigista e monopolista con un generale deprezzamento sia della materia prima che dei lavorati. E pensare che, per promuovere uno sviluppo armonico, piuttosto che vincolare la materia alla lavorazione sarebbe bastato vincolarla al territorio, prevedendo ad esempio di destinare lo stesso 50% alle aziende del comprensorio. – conclude Caffaz – Gustave Flaubert avrebbe parlato di “idee ricevute e trasformate in preconcetti” e questo è il senso di questa triste storia: il settore del marmo sottratto a una disciplina locale e delegato a una regione in cui i burocrati che non hanno mai visitano una cava decidono il nostro futuro, con la politica locale di sinistra che, intrisa di ideologia, accetta il disastro e addirittura pontifica».

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