Stilisti geniali: da Alexander McQueen a Virgil Abloh, quando l'audacia creativa scrive la storia della moda

Chi sono gli stilisti  - couturier e direttori creativi - che hanno cambiato radicalmente con il loro ingegno la moda dall'Ottocento a oggi?
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Designer, stilisti e direttori creativi: i protagonisti delle rivoluzioni moda, da Alexander McQueen a Virgil Abloh.

Molto è cambiato, e tutto continua a cambiare rapidamente nella società digitale. Nell’ultimo secolo si è passati dallo stretto rapporto tra couturier e cliente al glamour della mondanità che coltiva l’immaginario e il desiderio, fino ad arrivare alle nuove icone moda che corrispondono sempre più ai profili delle influencer internazionali. Da quando si è parlato di moda e non più solo di costume – anche se entrambi esprimono il profumo culturale di un’epoca – alcuni capi e accessori hanno plasmato la modernità con gusti e tendenze, o nuove metodologie.

Yves Saint Laurent

John Downing

Rivoluzionario è il sistema introdotto da Charles Frederick Worth a fine ‘800 che consisteva nel rovesciamento del rapporto con la clientela: il sarto, che era solito soddisfare un’esigenza attraverso la commissione, iniziò a proporre una propria idea creativa. È da quel momento che nasce lo stilista, una figura che in Italia ha un’immagine più sfumata e decisamente polifunzionale grazie al Made in Italy: questo ruolo è infatti l’anello di congiunzione tra l’industria moda, i buyer, i bisogni del pubblico. Si tratta di una particolare intelligenza artigianale che si completa con la cultura industriale: Walter Albini – creatore del total look – viene chiamato dalla maglieria Callaghan di Novara per creare una linea, mentre Gianni Versace ha l’obiettivo di realizzare un abito di metallo “liquido” e, per farlo, interpella la produzione tessile italiana e, così, nasce l’abito di oroton.

Gianni e Donatella Versace

Images Press

Alexander McQueen ( con Sarah Jessica Parker)

Evan Agostini

Ancora diversa è la figura del fashion designer che a tutti gli effetti progetta con l’intento di unire l’estetica alla funzionalità. Spesso non si identifica solo con una firma, ma può predisporre le sue competenze come consulente: un esempio su tutti è Karl Lagerfeld che già nel 1962 è freelance nel settore moda in Francia, Italia, Inghilterra e Germania. Lavora contemporaneamente da Chanel e Fendi, mentre è il primo nome ad essere chiamato per realizzare una capsule collection low cost da H&M. Da non dimenticare è anche Alexander McQueen che in 18 anni di carriera con la sua omonima label e le collezioni per Givenchy cambiò profondamente l’idea di sfilata: una dozzina di minuti di puro spettacolo, tra ologrammi, pioggia dorata e cerchi di fuoco, che lo trasformarono in uno showman assoluto (vi ricordate Shalom Harlow spruzzata di vernice dai robot?). Tra le donne spicca Miuccia Prada con la sua capacità di sovvertire le regole: al suo esordio racconterà di non essere una designer di moda, definendosi semplicemente “sono chi sono”.

Karl Lagerfeld

Pascal Le Segretain

Miuccia Prada

Victor VIRGILE

C’è poi la figura del direttore creativo, quella che si identifica e nasce proprio con Virgil Abloh, stagista di Fendi nel 2009. Già all’epoca Karl Lagerfeld aveva intuito il suo potenziale prevedendo che nell’immediato futuro ci sarebbero stati meno designer e più art director. Con l’etichetta Off-White da lui fondata si fa leva sulla sensibilità e i desideri delle nuove generazioni che non amano le dinamiche ormai superate e obsolete del sistema moda, ma cercano fluidità di linguaggio. Non è la moda couture che trae ispirazione dalla strada (la nascita delle subculture, dallo stile punk di Vivienne Westwood al rimpianto di Yves Saint Laurent per non aver creato i jeans), ma il direttore creativo che crea direttamente un nuovo linguaggio moda trovando consenso tra i giovanissimi. In tasca ha una laurea in ingegneria e un master in architettura, ma ama fare il deejay – anche con il suo amico Kanye West -, sperimentare con l’interior ( vi ricordate la collezione per Ikea?) e la gioielleria. Non c’è limite, non ci sono confini, tutto è in divenire: una creazione continua carica di contaminazioni che trovano il plauso dai Millennials alla Gen Z.

Virgil Abloh

Pascal Le Segretain
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Le idee, l’approccio e la sensibilità nel raccontare la società – spesso andando contro a dei dogmi prestabiliti o sfidando gli algoritmi di marketing – hanno naturalmente portato alle diverse rivoluzioni moda: è qui che si annida la premessa del vasto e affascinante universo della modernità. Una dimensione che Charles Baudelaire individua nella realtà urbana ma che i creativi sintetizzano nella petite robe noir di Coco Chanel, nei gioielli di Elsa Schiaparelli, nel “new look” di Christian Dior, nella minigonna di Mary Quant, nel cappello pillbox di Roy Halston, nell’uso del vinile di Pierre Cardin, nel baby doll dress di Balenciaga, nello smoking suit di Yves Saint Laurent, nella giacca destrutturata di Giorgio Armani, nel rosso di Valentino, nell’esplorazione artistica del nero di Rei Kawakubo, nelle borse di nylon di Prada. Capi o accessori che appaiono come visioni a chi la moda l’ha veramente plasmata, interpretando lo zeitgeist.

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