Energia

Abbiamo bisogno di una rete elettrica diversa

Per accogliere e gestire una quantità sempre maggiore di fonti rinnovabili, la rete elettrica dovrà diventare più grande e più flessibile. Ma i territori potrebbero opporsi alla costruzione di nuovi tralicci e linee di trasmissione
Torri elettriche a Civitavecchia
Torri elettriche a CivitavecchiaFranco Origlia/Getty Images

La transizione ecologica è un processo di elettrificazione. Significa che l’energia elettrica sarà molto più presente nelle nostre vite di quanto non lo sia già: la utilizzeremo per spostarci (l’automobile elettrica anziché a benzina), per cucinare il pranzo (il fornello a induzione anziché a gas) e per riscaldare la casa in inverno (la pompa di calore anziché la caldaia), ma anche per produrre il combustibile pulito che alimenterà le industrie pesanti (l’idrogeno). Oggi l’elettricità vale all’incirca il 20 per cento dei consumi energetici finali mondiali; le previsioni dell’Agenzia internazionale dell’energia dicono che al 2050 – quando raggiungeremo la neutralità carbonica – rappresenterà quasi il 50 per cento.

L’elettrone, insomma, prenderà il posto dell’idrocarburo in tante applicazioni. Tutta questa elettricità dovrà provenire però da fonti energetiche pulite, a emissioni zero, e non da combustibili fossili, altrimenti la transizione non potrà dirsi ecologica. Bisognerà installare tanti pannelli fotovoltaici e tante turbine eoliche, dunque. In realtà, questa è solo una parte della storia, quella più raccontata. Per rivoluzionare le abitudini quotidiane e garantire a tutti noi un futuro più “verde”, l’energia generata da quegli impianti dovrà raggiungere fisicamente i consumatori. Di conseguenza la rete elettrica, quell’infrastruttura che permette di trasferire l’elettricità dai luoghi di produzione a quelli di utilizzo, dovrà innanzitutto diventare più grande.

Una rete elettrica più grande e più robusta

In Italia, il Piano 2030 del settore elettrico elaborato da Elettricità Futura, un’associazione di categoria che raccoglie le principali aziende del settore, prevede l’allacciamento alla rete di 85 gigawatt di nuova capacità di generazione rinnovabile, portando la quota di queste fonti nel mix elettrico dal 44 per cento del 2022 all’84 per cento nel 2030. Non andranno costruiti solo i parchi eolici e solari, ma anche i tralicci e svariati chilometri di linee di trasmissione.

Già oggi, Terna [la società che gestisce il sistema di trasmissione nazionale, ndr] stima che ci sono domande per la connessione alla rete di impianti di generazione elettrica da fonti rinnovabili pari a tre volte il target previsto per il 2030. C’è quindi esigenza di adeguare quanto prima la capacità di trasporto della rete di trasmissione per accogliere la produzione elettrica di questi nuovi progetti”, ha spiegato a Wired Simona Benedettini, economista esperta di mercati energetici. Nel caso italiano, andranno migliorati i collegamenti tra il Sud e il Nord: il potenziale rinnovabile (ventosità e radiazione solare) è infatti più alto nelle regioni meridionali, mentre la domanda è forte soprattutto in quelle settentrionali, data la maggiore presenza di fabbriche.

Oltre che ampliata, la rete elettrica andrà pure irrobustita. Come ogni fonte energetica, l’eolico e il solare hanno pregi e difetti. Uno di questi ultimi è l’intermittenza, ovvero l’incostanza della generazione a seconda del meteo: se inizia per esempio a tirare meno vento, o se il cielo si copre di nuvole, gli impianti non riusciranno a produrre quanto ci si aspetta da loro. È una conseguenza che non si può prevedere con precisione assoluta, e che rende più complicato il cosiddetto “bilanciamento” della rete: la domanda e l’offerta energetica devono coincidere sempre; l’elettricità che viene prelevata dalla rete in un dato momento – quando si accende una lampadina, o quando si mette a ricaricare l’auto – va pareggiata con l’elettricità che viene immessa. Altrimenti, se non si interviene, si verifica un blackout.

Flessibilità e batterie

Una rete elettrica composta in larga parte da fonti rinnovabili non programmabili avrà bisogno di maggiori servizi di flessibilità”, dice Benedettini. “In prospettiva, Terna e i gestori della rete di distribuzione si troveranno ad approvvigionare un volume crescente di servizi di flessibilità, ossia di maggiori o minori immissioni e prelievi di elettricità, per bilanciare domanda e offerta di energia per effetto della non programmabilità delle fonti rinnovabili”.

Le centrali a gas, essendo modulabili e fornendo energia in maniera continua, possono dare flessibilità alla rete”, prosegue l’analista. “Per gestire meglio la produzione rinnovabile e ridurre al minimo gli scostamenti sono poi importanti i sistemi di accumulo”, come le batterie. “Con un sistema di stoccaggio, infatti, l’energia che viene prodotta in eccesso rispetto alla domanda in una determinata ora può venire stoccata per essere venduta in un secondo momento, quando è più necessario per il sistema elettrico”.

Convincere i territori

Il Piano 2030 di Elettricità Futura per l’espansione delle rinnovabili immagina investimenti per 309 miliardi di euro da parte del settore. Per fare sì che si concretizzino, ricorda Benedettini, bisogna prima garantire la disponibilità della rete. “Per quanto ci sia una relazione biunivoca tra infrastrutture e investimenti, la letteratura economica sembra aver dimostrato in modo abbastanza conclusivo che almeno nel breve-medio termine è la realizzazione di infrastrutture a guidare gli investimenti”.

I fattori in gioco”, conclude, “sono tre. Il primo è la realizzazione di una adeguata infrastruttura di rete. Il secondo, è un sistema di permitting snello e dai tempi certi. Il terzo è la gestione dell’opposizione delle comunità locali.

Come dimostrano i casi di Piombino per il rigassificatore o di Vecchiano per l’elettrodotto di Terna, i territori sono spesso contrari alla costruzione di infrastrutture per l’energia. “Mentre è chiaro cosa ha determinato il populismo anti-Europa, è difficile determinare l’origine dell’opposizione sociale alle opere energetiche”, dice Benedettini. “È un fenomeno trasversale, che interessa persone di ceti e background culturali anche molto diversi, ma in generale le proteste nascono dove non c’è conoscenza. Questa situazione causa problemi sia agli investitori nazionali ma soprattutto a quelli stranieri, portandoli a rinunciare”.