la recensione

Il Giovane Berlusconi è un inquietante viaggio nel tempo

La miniserie documentario su Netflix di Simone Manetti ripercorre con chirurgica precisione e testimonianze inedite i primi anni del Cavaliere di Arcore
Il Giovane Berlusconi netflix recensione
Silvio Berlusconi sul set di Canale 5 a Milano, dove verrà registrato il primo programma del nuovo canalefrederic meylan/Getty Images

Il Giovane Berlusconi è arrivata su Netflix sollevando curiosità, polemiche, attese ed anche preoccupazione in molti su ciò che si sarebbe detto e mostrato dei primi anni di Silvio Berlusconi, su come egli cominciò la sua scalata. Dagli anni ‘70 alla creazione del suo impero, prima prettamente milanese e poi globale, questa serie si nutre di materiali di archivio inediti, di testimonianze preziose, con cui ci dona una narrazione di grande interesse sul Cavaliere, ci ricorda il perché la sua storia, comunque vada, non può e non deve lasciarci indifferenti.

Da Milano 2 alla Tv, fino alla vittoria alle elezioni politiche

Il Giovane Berlusconi già nei primi minuti ci conquista con un'intervista che dice tutto, ma davvero tutto, sul Cavaliere di Arcore. Minoli chiede al Silvio, che è già Re d'Italia, quale sia il suo peggior difetto, anche solo uno. “Ci penso” è la risposta, ammantata da un sorriso che nasconde a malapena il fastidio per quella digressione dall'omaggio alla sua vanità, alla sua volontà di sentirsi sempre e comunque vincente, acclamato, riconosciuto come il Re Mida che per un lungo, lunghissimo momento, a molti parve essere. Le tre puntate di questa miniserie documentario cesellata con enorme cura da Simone Manetti e scritta da Matteo Billi e Piergiorgio Curzi arrivano ora su Netflix dopo anni di gestazione, a dieci mesi dalla morte di Re Silvio. Una coincidenza che forse proprio a Berlusconi avrebbe strappato un sorriso o forse irritato profondamente, visto la componente egoriferita che egli, più di ogni altra personalità politica del mondo ha incarnato dal secondo dopoguerra in poi. Rivederlo in quegli anni ‘70 della Milano quasi diventata quella da bere che diventa treno dell'Italia che cambia e infine domina da Premier, ha certamente un impatto emotivo enorme, almeno in chi è abbastanza grande da ricordarsi come eravamo prima e dopo la sua presenza. Pare solo ieri che cominciava la sua epopea, che la televisione diventava la sua arma segreta con cui dominare e plasmare un paese, erano gli anni del calcio che egli illuminò di un nuovo corso, di Mike Bongiorno, di Canale 5 che rende tutto sorrisi e paillette, di Forza Italia che travolge tutto e tutti. Invece sono passati quarant'anni.

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Milano 2 è dove Il Giovane Berlusconi ci fa cominciare, in quell'esperimento urbanistico oggettivamente perfetto, preludio ad una cavalcata trionfale che trova nella liberalizzazione dell'etere l'arma definitiva nelle mani di Berlusconi. Se Nietzsche diceva che la Storia la fanno le grandi personalità, ebbene Berlusconi è la suprema conferma di questo, senza che tale giudizio poi in questa miniserie vada oltre la mera constatazione. Non si tratta infatti di una narrazione elegiaca o al contrario di un dito puntato. Lo sguardo freddo, chirurgico, distante dal giudizio morale, ci dona un'analisi psicologica, comportamentale ed emotiva del Silvio Berlusconi che si fa Cavallo di Troia dello yuppismo statunitense. Sarà ciò che trasformerà Milano, l'Italia e poi grazie a lui diventerà quel mix di sentimenti, visione della vita e ottimismo fondamentalista autoassolutorio che è stato il berlusconismo. Giovanni Minoli, Iva Zanicchi, Marcello Dell'Utri, Fedele Confalonieri, Carlo Freccero, Adriano Galliani, Achille Occhetto, Stefania Craxi sono solo alcuni dei nomi che ricordano di questo o quell'episodio, ci danno la loro visione su un uomo che dietro quel sorriso da venditore eccezionale, nella realtà è stato molto più distante e sfingico di quanto si pensasse. Telemilano, il Canale 58, è il seme da cui germoglierà quel dominio mediatico che nessuno, davvero nessuno, tra i leader politici moderni, è mai riuscito ad imitare. Qualcosa di così incredibile che si ha quasi l'impressione oggi, che il Cavaliere non c'è più, che si faccia finta che non è mai successo, che non siamo stati complici di tutto questo.

La cronaca puntuale e impietosa di una mutazione collettiva

Il Giovane Berlusconi non esprime giudizi morali. Il che è il suo più grande pregio, oltre naturalmente la fluidità della narrazione, il montaggio coerente con la volontà di farci capire che lo abbiamo avuto dentro le nostre per decenni, ma in realtà Berlusconi non lo abbiamo mai conosciuto veramente. La televisione commerciale arriva, non poteva che arrivare, come estensione della volontà di disimpegno generalizzata che lui, Silvio Berlusconi, ex cantante di navi da crociera, venditore incallito, lo ha capito prima di tutti gli altri. Capì anche quanto avrebbe contato nella testa delle persone, quale potere poteva trasmettere ed in fin dei conti è questo il cuore de Il Giovane Berlusconi: spiegarci come e perché la sua più grande arma è stata la capacità di comprendere le potenzialità di questo medium, che la RAI aveva fossilizzato. Tu devi fare un palinsesto che imprigioni il pubblico sentenzia Freccero, ed è ciò che Berlusconi ha fatto. Ammetterlo, è anche ammettere che oltre alle veline, la mercificazione costante della donna, i programmi spazzatura e casinisti, Berlusconi ci ha anche donato tanto, tantissimo intrattenimento di qualità. Il che, ancora una volta, è utile per guardare al fenomeno che egli è stato andando oltre il giusto e sbagliato, come ogni analisi storica dovrebbe essere nel momento in cui il suo protagonista gli si è consegnato. Costanzo, Craxi, Dell'Utri, sono i nomi che però accompagnano suoni particolari e anche sinistri della sua storia, ammorbidita dall'immortalità conquistata con il Milan, con intere generazioni che in lui vedevano il faro. Siamo stati elettori, consumatori, tifosi, tutto questo assieme.

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Ecco, nell'istante in cui capiamo questo, Il Giovane Berlusconi ci fa comprendere che egli ha anticipato il XXI secolo, dove ogni barriera è stata infranta, dove il confine tra res pubblica e privata non c'è più, dove la verità appartiene a chi ha il potere mediatico e quindi la narrazione più potente. C'è qui spazio anche per chi non lo vide mai come il futuro, di chi ne intuì (soprattutto all'estero) la sua essenza di nemico della cultura in quanto ostacolo alla pubblicità che egli ha innalzato a modus operandi politico, umano, culturale. La sua discesa in politica? Risulta in certi momenti imbarazzante ammettere che ci fece credere al comunismo, al suo essere un perseguitato, mentre invece voleva giocare l'ennesima mano di poker per salvarsi. Siamo stato assuefatti ai sogni catodici con cui ha manipolato, illuso e plagiato milioni e milioni di italiani, a cui ha inculcato l'idea che i difetti in fondo fossero pregi. Sono gli stessi che oggi lo rimpiangono. Il Giovane Berlusconi è un viaggio necessario, lucidissimo, perfetto per significati e analisi, per messaggio e capacità di essere a metà tra lezione di sociologia, viaggio nella memoria e critica feroce. Certo, nessuno cambierà idea dopo aver visto il film e questo, oltre alla peggiore destra europea, è un altro “regalo” che egli ci ha donato e di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze. Silvio Berlusconi è stato la nostra storia, la nostra vita, ma se sia stata più una tragedia distopica o una parodia forse non l'abbiamo ancora capito.