Il commento

Perché l'intelligenza artificiale non ci ruberà il lavoro

La capacità delle macchine di apprendere e automatizzare una vasta gamma di compiti sta dando forma a una “nuova era” in cui gli esseri umani e l'AI lavorano insieme in “connessione”
AI Machine learning
AI, Machine learningIpopba/GettyImages

La collaborazione tra l'intelligenza artificiale e gli esseri umani è destinata a crescere ed espandersi nei prossimi anni. L’AI sta cambiando il volto del lavoro e il ruolo centrale degli esseri umani si intuisce in questo cambiamento. La chiave di volta sta nell’unione di queste due forze, intelligenti, in modo da poter elevare al massimo il potenziale di entrambe.

La capacità delle macchine di apprendere e automatizzare una vasta gamma di compiti sta dando forma a una “nuova era” in cui gli esseri umani e l'AI lavorano insieme in “connessione” per raggiungere nuovi livelli di efficienza e produttività. Questa collaborazione è una pietra miliare nella storia del lavoro e promette di trasformare radicalmente le dinamiche aziendali. E dobbiamo pensare che tutti questi temi hanno a che fare con una “persona” e non risorsa, che è un organismo complesso, fatto non solo di competenze, ma soprattutto di attitudini e motivazioni che indirizzano la conoscenza e migliorano le relazioni.

Ford e Olivetti avevano una cosa in comune: la comprensione del ruolo delle macchine rispetto alle persone. Eppure, la loro sensibilità li ha portati a due risultati completamente differenti. In un caso l’ottimizzazione sistemica del processo, nell’altro un sistema ottimizzato intorno alla persona.

Le aziende utilizzano sempre più i dati per migliorare le performance, la comprensione dei clienti e la gestione dei collaboratori. Le analisi devono permettere di conoscere meglio le persone, ma occorre fare un patto umano affinché i dati siano come le parole: definiscano la realtà. Ed è per questo che dobbiamo creare una nuova cultura partendo dal dato.

Abbiamo la responsabilità di costruire una relazione armoniosa con la tecnologia e la tecnologia deve essere in armonia con le nostre vite e i dati, in questo senso, partecipano al senso. È ciò che accade nel mondo del lavoro, dove è fondamentale affrontare il tema dell’“intelligence” che non è soltanto artificiale, ma è una trasformazione culturale che anziché partire dal mezzo (la macchina) è orientata allo scopo (il talento). Per questo voglio chiamarle “intelligenze sensibili”.

Uno dei miti più diffusi sull’AI è che essa sostituirà gli esseri umani nel mondo del lavoro. L’AI si sta rivelando un complemento potente per le competenze umane, invece di un surrogato. Questo fa sì che l’AI sia un perfetto alleato per gli esseri umani sul lavoro. Quando abbiamo iniziato ad avvicinarci a questi aspetti pensavamo che il tema dell’AI per le risorse umane consistesse nel risparmiare tempo. Il ritorno è il tempo.

E invece no. È un tema di energia. La macchina aumenta la capacità di relazione se usata in modo corretto. È chiaro che tutto dipende da come usiamo l’AI, ma anche dal tipo di input che forniamo. Ecco perché occorre parlare di armonia, di unione uomo-macchina: perché è l’essere umano che dà l'input, è la persona che crea il veicolo affinché poi la macchina possa restituire un output. Il futuro dell'umanità sarà intrecciato con l'intelligenza artificiale che abbiamo creato, anzi “sentito”. Abbiamo infatti la straordinaria possibilità di integrare l’unicità della nostra sensibilità con l'AI. Non si tratta di lavorare meno, ma di creare senso.

Ma sono le aziende che gestiscono le risorse umane o le persone che gestiscono le risorse aziendali? Non chiamiamole “risorse”, da esaurire come quelle del pianeta, ma sensibilità umane.

Questo cambiamento può essere possibile se inseriamo nei modelli di leadership la ricerca dell’altro. La sensibilità, infatti, è la capacità di percepire, interpretare ed essere consapevoli delle diverse vibrazioni presenti nei vari livelli della relazione. Passare attraverso una intelligenza sensibile significa ascoltare in frequenza, creare spazio per generare energia e unirci in connessioni libere. Le aziende non cercano più solo “conoscenza” da assumere, bensì abilità culturali, passioni e motivazioni che consentano ad ogni persona di “agire” il lavoro che desidera. Il nostro valore aggiunto come esseri umani è poter liberare energia generativa.

Per questo credo che il superpotere per i leader sia la sensibilità. La sensibilità non è emotività ma è un canale per comprendere la realtà. Una sensibilità relazionale è una leadership che si “sente”, non è di ruolo o comando, ma di relazione. Ed è questo che ci mette in dialogo con l’AI, con cui occorre allearci. L’AI osserva la partitura senza “sentire” l’effetto vibrazionale umano, può elaborare suoni e testi ma non può abbracciare la pienezza dell’esperienza sensoriale. Abbiamo intelligenze sensibili tramite cui possiamo entrare in unione con le intelligenze artificiali. Come mi piace dire: non è il mondo che è piccolo, ma sono le relazioni che lo rendono grande.