la recensione

Kung Fu Panda 4 dimostra come si può perdere l'anima

Il quarto capitolo ha tutto quello che ha caratterizzato i precedenti film tranne la loro essenza, sacrificata per mandare avanti la saga
Kung Fu Panda 4 recensione
Kung Fu Panda 4

Kung Fu Panda 4, lo possiamo dire senza timore di offendere nessuno, ha finito le idee, quelle vere. Lo si poteva già sostenere al precedente, non fosse per il fatto che Kung Fu Panda 3, almeno, era divertente, aveva quel tipo di gioia di vivere dei cartoni animati, l’insopprimibile voglia di “disegnare” (grandi virgolette, visto che si tratta di animazione in computer grafica) qualcosa di assurdo, sciocco e per questo divertente. Il panda Po, così, tondo, morbido ma anche desideroso di apparire cool ed eroico, è perfetto in questo senso, perché fa dei movimenti che non dovrebbe o potrebbe fare, perché consente di animare lo slapstick (cioè l’umorismo fisico, quello degli oggetti rotti per sbaglio o le botte in testa) come anche le espressioni da cartone giapponese.

Ora Po però passa dall’altra parte, in questo quarto film deve trovare un allievo, qualcuno che potrà diventare il Guerriero Dragone dopo di lui. È in somma un mentore, una figura di riferimento. Nato negli anni dell’ascesa della figura dei nerd, Po è sempre stato simulacro dei suoi spettatori e ora arriva, come molti altri personaggi simili a lui, alla fase paterna. L’ultima volta nel 2016 non lo era, adesso nel 2024 deve trovarsi una metaforica figlia o figlio a cui passare la sua conoscenza e a cui insegnare a stare al mondo (nei cartoni e nei film di kung fu le due cose vanno sempre di pari passo). Accade che nel frattempo entrerà nella sua vita una pericolosa villain, vestita come Lo Pan di Grosso Guaio a Chinatown.

Per giungere a questo grande scontro finale, in cui in ballo c’è come sempre una posta altissima ma in più anche la salvezza dell’anima (e quindi dell’etica) di una possibile allieva, Kung Fu Panda 4 è disposto a tutto, e lo fa senza quella forza comica che aveva caratterizzato gli altri film, nonostante alla sceneggiatura ci siano sempre Jonathan Aibel e Glenn Berger (presenti fin dal primo film). Tutto è un po’ più meccanico e se le singole scene alle volte hanno delle trovate obiettivamente divertenti, nel complesso non è più un’avventura leggera ma una in cui il senso della moralina finale pesa.

Come nei videogiochi classici Po, per arrivare al combattimento finale con il grande boss, dovrà riaffrontare un simulacro dei nemici già affrontati (sia quelli che conosciamo e che abbiamo visto che molti altri che ha combattuto tra film e film), tutti dotati di un carattere e di una psicologia ben diversa da quella che ricordavamo. Non è chiaro perché ma sono rimasti cattivi e tuttavia sono anche molto più ragionevoli e moderati. Come fa comodo al film e al suo grande villain, un camaleonte che può prendere la forma di chiunque e anela (sorpresona!) al potere assoluto . Per farlo deve sottrarre a Po il bastone datogli dal maestro defunto lo scorso film.

La parte più (involontariamente) autoironica del film sta tutta in un possibile (ma improbabile) secondo livello di lettura suggerito dalle trasformazioni della camaleonte cattiva. Ogni volta che questa diventa qualcun altro non lo imita al 100%, qualche piccola differenza c’è sempre, differenze che i personaggi del film non notano ma che sono evidenti a noi, in primis un certo tremolio della sagoma, simile a quello di certi video creati dalle intelligenze artificiali generative. Si può così immaginare che il vero cattivo di questo film sia un’allegoria dell’intelligenza artificiale, che può fingere di essere quello che non è senza però davvero ancora imitare fino in fondo il suo bersaglio. Per perfezionarsi deve attingere a più modelli, che nel suo caso sono i grandi cattivi della saga di Kung Fu Panda, evocati dal bastone magico che detiene Po, che funziona come una nuova tecnologia a maggior potenza di calcolo, quella che consente all’intelligenza artificiale di assorbire più modelli e informazioni per generare meglio un output.

Così un panda in computer grafica, ma generato dall’uomo, che ha imparato il kung fu allenandosi, si batte contro il cattivo che senza allenamento questo kung fu lo può rifare imitando gli altri. Il panda Po ultimo baluardo contro la molto temuta disumanizzazione in un film che, se non altro, potremo un domani ricordare come il primo involontario metaforone di quest’era di esplosione dell’intelligenza artificiale.