il cult dei cult

Perché L'esorcista è ancora il film più spaventoso di sempre

Trascorso mezzo secolo dal debutto cinematografico, l'horror sulle possessioni demoniache di William Friedkin detiene ancora il primato
L'esorcista
Warner

Lo scorso ottobre Study Finds ha riunito i commenti dei critici di varie testate anglofone e riconfermato L’esorcista come il film più spaventoso di sempre. La pellicola torna sul piccolo schermo stasera (3 marzo) su Iris e ci chiediamo se chi la vede per la prima volta oggi ne esca terrorizzato come gli spettatori svenuti nelle sale cinematografiche nel 1973 o il pubblico televisivo atterrito che l’ha visto in seconda serata sui canali Mediaset a cavallo tra gli anni '80 e ‘90. In tempi recenti è diventato sempre più raro imbattersi in horror che lascino davvero scossi: in alcuni casi la paura è volutamente stemperata dalla comicità, in altri i jumpscare sono gratuiti e senza conseguenze, in altri ancora l’obiettivo di generare timore paura semplicemente non viene colto. Spesso come critici pubblichiamo recensioni che parlano di horror celando implicitamente qualche perplessità circa l’assegnazioni del genere. A volte l’orrore, invece, è imprevedibile, e cose che non sembrerebbero spaventose lasciano atterriti. 

A volte anche l'elemento musicale è imprevedibile: il suono è una parte fondante del genere ma molti commenti sonori dei film dell'orrore spesso hanno un andamento che rallenta il battito cardiaco con un effetto rilassante controproducente (al contrario degli score martellanti dei cinecomic Marvel, che provocano la tachicardia). Quella di L’esorcista, invece, fa paura in ogni caso (ma ci torneremo dopo). Non ci sono equivoci o eccezioni, fruito nelle circostanze adatte il cult di Friedkin provoca un terrore che serpeggia nell’animo anche dopo la visione. Il vero orrore non ti abbandona dopo che l’orrore è finito, si appiccica addosso e tormenta nelle notti – a volte nei giorni – a venire, perturba e rende paranoici, fa temere i mostri che si celano nell’oscurità, dissuade dal chiudere gli occhi quando ci si infila sotto le coperte per smettere di fissare le ombre, impedisce di allungare la mano verso il territorio inesplorato sotto al letto. 

The Academy of Motion Picture Arts and Sciences will present its inaugural Governors Awards Film Series, featuring screenings of "The Exorcist," "The Color Purple," and "The Great White Hope," from Wednesday, November 9, to Friday, November 11, at 7:30 p.m. at the Academy's Samuel Goldwyn Theater.Pictured: Max Von Sydow and Linda Blair in THE EXORCIST, 1973.Courtesy of AMPAS

Secondo alcuni oggi L’esorcista fa meno paura; forse il pubblico contemporaneo è più smaliziato o assuefatto al tipo di orrore illustrato nella pellicola di William Friedkin, forse la miriade di cloni che lo hanno cannibalizzato hanno abituato il pubblico. Forse per gli atei non credere nelle possessioni è una salvezza. Abbiamo dei dubbi, secondo noi fa paura anche a loro. Di sicuro L’esorcista è il ancora il film più spaventoso del mondo per tanti motivi. A partire la rigore documentaristico: Friedkin aveva esordito, per l’appunto, con il docu The People Vs. Paul Crump e con approccio da documentarista si avvicinò al romanzo di William Peter Blatty, anche lui esordiente nell'horror. La loro freschezza generò qualcosa di mai visto, un tipo di orrore inedito e con scarse influenze consce e inconsce. E realistico in modo agghiacciante. Non viene mai spiegato se la dodicenne Regan sia stata posseduta in seguito al gioco con la tavola Ouija, ma la storia non lascia dubbi: anche l’atea attrice Chris, sua madre, che ha sottoposto la figlia a esami medici con la prospettiva di malattie neurologiche e psichiatriche già orribili di per sé  (come Stephen King insegna), dopo aver osservato Regan nella celebre scena del crocefisso, non ha dubbi che la bambina sia indemoniata. 

Forse qualcuno ricorderà come la Rai, negli anni ‘80, trasmettesse nella fascia domenicale pomeridiana “per famiglie” le registrazioni di messe sudamericane durante le quali si levavano le voci soprannaturali di posseduti, o i documentari che illustravano le esperienze di padri esorcisti dagli occhi neri come la pece dopo aver incrociato lo sguardo col demonio. Giusto nel caso, a posteriori, a qualcuno già traumatizzato da L’esorcista fosse venuta l’idea di dubitare che la storia di Regan potesse non essere reale (o meglio, realistica). Forse la prospettiva che il demonio possa abitare il corpo umano basta a terrorizzare, ma di belle e spaventose pellicole sulle possessioni ce ne sono a bizzeffe: e allora in cosa primeggia L’esorcista? Tra le tante, nella messa in scena della realtà più vivida intrecciata con la suggestione. Nessuno prima aveva avuto l’idea di girare un film dell’orrore dove la cronaca asettica conviveva con sovversive e impercettibili inception. Friedkin ebbe l’idea di mostrare allo spettatore, per una frazione di secondo, il volto del demonio dei sogni di padre Karras (o era Merrin? non ricordiamo) e quel particolare manda in corto circuito il cervello di chi consciamente nemmeno registra l’esistenza di quella immagine. 

A questo aggiungiamo che praticamente nessuno dei momenti tipici dell'esorcismo aveva mai visto la luce di una sala cinematografica prima: teste che si girano a 180 gradi, masturbazioni col crocifisso, vomiti a spruzzo, dissacrazione iconoclaste, bestemmie, blasfemie e oscenità inaudibili disseminano un film che superava ogni limite. Friedkin si avvalse di effetti speciali artigianali pregevoli firmati da Marcel Vercoutere (e il Rick Baker di Un lupo mannaro americano a Londra, non accreditato) e di un make up artist, Dick Smith (Scanners), eccezionale di modo che tutto l’armamentario di visioni soprannaturali apparissero perfettamente credibili. Un altro espediente efficace e spesso sottovalutato fu la scelta del cast: per il film si parlò di grand nomi, Marlon Brando compreso, ma Friedkin si affidò ad attori bravi eppure poco riconoscibili, compresa l'allora quattordicenne Linda Blair, Ellen Burstyn e Max Von Sydow. Ricorrere a volti famosi avrebbe spezzato l’illusione della realtà, e la certezza di essere di fronte a interpreti che recitavano una parte avrebbe creato un effetto rassicurante. Il taglio documentaristico invece, insieme alla scelta di un cast misconosciuto, ha un effetto sinergico. 

Non è finita: la riuscita di L’esorcista è una combinazione felice (si fa per dire) di altri fattori. Come il tema musicale di Mike Oldfield da Tubular Bells, ipnotico e spiazzante e il cui successo oltre il film fece sì che, risuonando alla radio, innescasse il ricordo proustiano del diavolo Pazuzu come una madeleine. E sempre al di fuori del film si propagava il suo orrore: perché la storia afferma che il demonio non si può sconfiggere, e una volta esorcizzato passa all'ospite più prossimo, e perché, come più tardi Poltergeist, la pellicola si guadagnò la fama di essere maledetta a causa di incidenti sul set, disgrazie e lutti. Il bello del cinema (o anche di un libro o di un videogame), è la certezza che una volta usciti dalla sala si è liberi. Si è al sicuro. Puoi vivere le storie che vuoi e poi scappare se non ti piacciono. L’esorcista regala un tipo di esperienza insidiosa e insinuante: promette di seguirti anche dopo - oltre - la fine del film, e niente è più terrificante di un incubo da cui non ci si può svegliare.