Sì, siamo stati davvero sulla Luna

Scettici dell’allunaggio? Ecco qualche prova concreta per voi!
Luna sì cari scettici ci siamo stati davvero

Il 20 luglio 1969 i due astronauti della Nasa Neil Armstrong e Buzz Aldrin misero piede sulla superficie della Luna. Un piccolo passo per l’uomo, un grande balzo per l’umanità (“That's one small step for man, one giant leap for mankind”): sono le parole che pronunciarono in quel frangente, alcune delle parole forse più famose della storia. Ed effettivamente è vero, che quello fu un grande balzo, sia tecnologico perché per arrivarci abbiamo dovuto sviluppare un’enorme quantità di tecnologie e brevetti, sia simbolico. Perché dopo quel piccolo passo sulla Luna, non si poteva tornare indietro: abbiamo spostato le nostre colonne d’ercole fuori dal pianeta Terra. Dopo l’Apollo 11, tornammo sulla Luna altre cinque volte, fino all’Apollo 17 del 1972. Quel balzo era così incredibile che già al tempo alcuni fecero fatica a credere che qualcosa di così straordinario potesse davvero aver avuto luogo. Ecco quindi che nel 1974 arrivò sul mercato un libro autopubblicato dal titolo emblematico di Non siamo mai stati sulla Luna. Una truffa da 30 miliardi di dollari. L’autore, Bill Kaysing, era uno scrittore piuttosto prolifico che aveva scritto di tutto, da testi sulla cucina alle motociclette. Tra i vari lavori, si era occupato anche di curare le pubblicazioni tecniche di un’azienda che lavorò per la Nasa durante gli anni Apollo, e sfruttò questo aggancio per ostentare autorevolezza riguardo la sua nuova pubblicazione. Le tesi portate da Kaysing sono le stesse che troviamo ancora oggi sul web, nonostante siano state tutte già smentite da decenni. Ci sono però alcune prove, molto concrete, che dovrebbero far tremare qualunque residuo di scetticismo.

Rocce lunari

Gli astronauti delle missioni Apollo hanno riportato a Terra un totale di 382 chilogrammi di campioni lunari. Non sono tutte le rocce lunari che abbiamo, ma sono la maggior parte: le Luna sovietiche hanno prelevato qualche centinaio di grammi e nel 2020, la Chang’e-5 ha raccolto altri 1,7 chilogrammi di campioni. Le rocce lunari ci hanno insegnato moltissimo sul nostro satellite nel contesto del Sistema Solare, le utilizziamo come riferimento per le datazioni delle superfici planetarie e ci hanno permesso di comprendere come avviene la formazione dei crateri da impatto e come è nata la Luna stessa. Le rocce lunari sono anche la prova più concreta, definitiva, sul fatto che ci siamo stati davvero sulla Luna. Perché non possono venire da altrove. Si potrebbe facilmente immaginare che queste rocce siano dei falsi, raccolti a Terra, ma in realtà sono loro stesse a raccontarci la loro origine. Le rocce lunari sono delle brecce da impatto, frammenti di roccia sminuzzati dagli impatti planetari e poi ricompattati a formare la superficie dei mari e delle terrae lunari. Sono inoltre aridissime, non c’è acqua né tracce del suo passaggio, e questo sulla Terra non avviene neanche nei deserti più aridi. Questo è tra l’altro un indizio anche del fatto che non possano essere meteoriti, in quanto le meteoriti presentano sempre una contaminazione dell’ambiente terrestre. Per di più, le rocce lunari sono state modificate dall’erosione spaziale, quei processi di erosione legati al bombardamento dei raggi cosmici su corpi privi di atmosfera, e presentano tracce di gas nobili derivati dall’interazione con i venti solari (che sulla Terra non arrivano).

Il campione lunare 15498 custodito nello Space Center HoustonNASA

C’è un’altra questione fondamentale: l’età delle rocce lunari. Le rocce più antiche che troviamo sulla Terra hanno 4,24 miliardi di anni. Alcune rocce lunari hanno quasi 4,5 miliardi di anni, ossia risalgono proprio alla formazione della Luna (del resto sulla Luna non c’è stata tettonica a placche a rimescolare le carte).

Nel mondo sono migliaia i ricercatori e le ricercatrici che hanno studiato le rocce lunari, magari venendo anche da quei paesi che avrebbero avuto tutto l’interesse nel sostenere l’ipotesi di complotto lunare. Qualunque ricercatore può fare richiesta alla Nasa di un frammento di roccia lunare da studiare, e verificare in autonomia che quelle rocce non possono che essere lunari.

Retroriflettori laser

Se le rocce lunari non vi sembrano abbastanza, le missioni Apollo 11, 14 e 15 (e poi anche le Lunokhod 1 e 2 sovietiche) hanno posizionato sulla superficie lunare dei retroriflettori laser. Sono i Lunar Laser Ranging Retroflectors, concettualmente strumenti molto semplici: si tratta infatti di dispositivi posizionati in alcuni punti specifici della superficie lunare che ne aumentano la riflettività. In questo modo, da Terra, è possibile puntare dei laser verso questi retroriflettori e misurare con precisione la distanza tra la Luna e la Terra calcolando il tempo che il laser impiega a percorrere la distanza Terra-Luna e poi a tornare indietro. Questa operazione si potrebbe fare comunque con la nuda superficie lunare, ma avere retroriflettori significa potersi concentrare su una superficie più piccola, ottenendo una risposta più chiara e rapida. Grazie a questi strumenti, ancora oggi possiamo misurare la distanza della Luna con una precisione millimetrica.

Il retroriflettore laser lasciato sulla superficie lunare dagli astronauti dell'Apollo 14.NASA

Ci sono vari osservatori attivi su questo fronte disseminati ovunque sulla superficie terrestre, e non tutti sono legati alla Nasa o al governo statunitense. In Europa il Côte d'Azur Observatory in Francia, il Matera Laser Ranging Observatory in Italia e il Geodetic Observatory Wettzell in Germania. Ma anche fuori l’Europa, in paesi che avrebbero avuto quantomeno qualche interesse nel dimostrare l’eventuale messinscena dell’allunaggio: lo Yunnan Astronomical Observatory in Cina e soprattutto il Crimean Astrophysical Observatory nell’ex Unione Sovietica.

L'esperimento di Lunar Laser Ranging al Goddard Spaceflight CenterNASA

Foto dall’orbita

Una terza prova che possiamo portare è la più semplice e immediata di tutte: abbiamo le foto dei siti di allunaggio. Il Lunar Reconnaissance Orbiter della Nasa ha fotografato i sei moduli di discesa delle missioni Apollo oltre a vari altri manufatti legati alle missioni. La sonda è della Nasa, quindi la prova fotografica potrebbe non convincere molti: eppure i dati sono direttamente accessibili da parte di gruppi di ricerca indipendenti dal governo statunitense, come quelli della Dlr tedesca.

Il sito di allunaggio dell'Apollo 17 immortalato dal Lunar Reconnaissance Orbiter della Nasa.NASA

Se ciò ancora non basta: nel 2021 la Chandrayaan-2 indiana ha fotografato il modulo Eagle dell’Apollo 11.

Il modulo Eagle della missione Apollo 11 fotografato dalla Chandrayaan-2 indiana nel 2021.ISRO