Le nuove tecnologie che aumentano la sicurezza dei caschi

In visita a Täby, in Svezia, per scoprire come funzionano il Multi-Directional Impact Protection System e il Virtual Test Lab, pensati per un solo scopo: proteggere il cervello umano durante gli incidenti
test lab mips

Il casco precipita da circa un metro e mezzo di altezza. Scende velocissimo lungo una guida che lo fa schiantare precisamente contro un’incudine dalla superficie ruvida, inclinata a 45 gradi. Il rumore secco e netto dell’impatto arriva dopo 5, massimo 10 millisecondi dall’inizio del test, rimbombando cupo nel laboratorio di MIPS a Täby, poco a nord di Stoccolma.

Quello a cui abbiamo appena assistito è il test numero 57.540. Tanti ne sono stati eseguiti da quando l’azienda svedese, specializzata nella creazione di sistemi che rendono più sicuri i caschi per equitazione, ciclismo, motociclismo e protezione sul lavoro, ha iniziato le attività di ricerca e sviluppo. Anche questa volta, i nove giroscopi incorporati alla testa di manichino che “indossava” il casco hanno fatto il loro dovere, registrando tutte le forze in gioco al momento della collisione.

La punta dell’Iceberg

Sembra una banale prova di resistenza del casco, che per altro si è spaccato di netto nel punto d’impatto, ma sotto c’è molto di più: da un lato, perché il test cui abbiamo appena assistito non tiene conto solo degli effetti di un impatto diretto e lineare (come avviene di norma quando si sviluppano caschi, pensati per evitare fratture), ma anche e soprattutto del movimento rotatorio, che nella maggior parte dei casi viene impresso durante l’urto. Dall’altro lato, perché i dati raccolti finiranno nel Virtual Test Lab (VLT), il laboratorio di test virtuale in cui l’azienda ha riversato tutto il suo know-how, riuscendo a creare una simulazione digitale estremamente sofisticata e attendibile.

Grazie ad essa, oggi MIPS è capace di replicare perfettamente tanto le proprietà fisiche dei materiali e delle strutture dei caschi, quanto la complessa dinamica degli impatti, cosa che consente all’azienda svedese di fare diverse almeno tre cose interessanti: effettuare innumerevoli e attendibili test virtuali, con risparmio per i produttori di caschi in termini di costi e impatto ambientale derivanti dalla produzione dei prototipi; verificare “in diretta” cosa succede al casco mentre avviene l’urto, mostrando in dettaglio grazie alla simulazione come reagiscono i materiali in ogni punto durante l’impatto (mentre di solito ci si limita all’analisi dei danni al casco ex-post); e poi, cosa ancora più importante, prevedere quali effetti avrà ciascun impatto sul cervello umano.

Il Multi-Directional Impact Protection System, capace di assorbire parte del movimento rotatorio impresso al casco da un impatto con una superficie obliqua.

Proteggere il cervello. Davvero

Già, perché tutto ha inizio nella seconda metà degli anni ’90, quando il neurochirurgo svedese Hans von Holst del Karolinska University Hospital, preoccupato dall’aumento di danni al cervello provocato da incidenti in bici, decide di studiare la relazione tra le lesioni cerebrali e la costruzione dei caschi. In oltre venti anni di ricerche accademiche svolte insieme a Peter Halldin, ricercatore presso il Royal Institute of Technology svedese e co-fondatore insieme a von Holst di MIPS, ha così sviluppato una tecnologia capace di proteggere meglio il cervello il caso di movimento rotatorio, che funziona prendendo spunto da quanto già esiste in natura. Il cervello, infatti, è naturalmente in grado di spostarsi nella calotta cranica di circa 10-15 millimetri per assorbire un colpo: allo stesso modo, il Multi-Directional Impact Protection System (MIPS, appunto) è un sistema a piano di scorrimento (anche questo con un'escursione di 10-15mm) progettato per ruotare all’interno del casco in tutte le direzioni, in maniera tale da attenuare la quantità di energia trasferita verso la testa durante un impatto.

In un casco dotato di questa tecnologia troviamo quindi tre componenti principali: la calotta in polistirene espanso (EPS), lo strato a basso attrito e, spesso tra le due, un sistema di fissaggio per mezzo di elastomeri. In un impatto angolato (che è anche il più comune ma i cui effetti sono trascurati dall’attuale normativa), il sistema di fissaggio per mezzo di elastomeri si tende per consentire alla calotta in EPS di girare in modo indipendente attorno alla testa.

Oggi la nostra tecnologia è stata scelta da 147 produttori, è presente in 883 modelli ed equipaggia già 12,6 milioni di caschi venduti”, spiega Daniel Lanner, Science Project Manager. Ci racconta la storia di MIPS, della scelta di produrre soluzioni per terzi (invece di produrre direttamente caschi), così da poter diffondere il più possibile la loro tecnologia di sicurezza. E poi, ancora, della lotta per restare sul mercato nei primi 15 anni di attività, sfiorando due volte la bancarotta, fino al successo vero, iniziato nel 2014 e che oggi si traduce in una crescita inarrestabile. «Due anni fa eravamo in 43, oggi siamo in 90, e siamo cresciuti durante la pandemia», sottolinea infatti orgoglioso Lanner.

Il Virtual Test Lab

Durante la nostra visita a Täby, abbiamo anche assistito in anteprima assoluta a una demo del Virtual Test Lab. Creato per velocizzare il processo di sviluppo e aumentare l’affidabilità dei nuovi caschi, utilizza modelli matematici basati sul Metodo degli Elementi Finiti (FEM) per descrivere e applicare le proprietà dei caschi e dei loro materiali, ma anche soprattutto quelle del cervello umano. Durante la demo, vediamo apparire sullo schermo la ricostruzione di un casco identico a quello dell’esperimento iniziale: le schiume che lo compongono, il rivestimento e ogni altro dettaglio è stato scomposto in piccoli poligoni, ciascuno composto da 4 angoli. Per rappresentare la ricostruzione di questo specifico prodotto ne servono oltre 430mila che, come altrettanti pezzi di un Lego straordinariamente complesso, descrivono l'oggetto con estrema precisione, attingendo a una preziosa libreria di materiali pazientemente costruita da MIPS.

Un dettaglio della simulazione che nel VLT descrive gli effetti  sul casco dell'impatto su una superficie obliqua.

La “magia” della simulazione

Bastano pochi clic, e in quel casco si materializza una testa, quindi vediamo ripetersi in digitale lo stesso test che avevamo visto dal vivo all’inizio. Vediamo il casco rompersi nello stesso modo, negli stessi punti, ma questa volta possiamo rallentare il colpo, studiarlo nei dettagli mentre accade, “scavare” in profondità nei materiali e vederne in diretta la deformazione e la rottura in punti altrimenti inaccessibili. “Quel che nel 2018 richiedeva tre mesi di sviluppo, grazie a queste simulazioni oggi riusciamo a farlo in 3 settimane - spiega Marcus Arnesen, Model Development Engineer di MIPS - e siamo gli unici a poter vedere cosa succede nel casco. Di solito un produttore deve sviluppare fino a 5 versioni di un casco prima di avere quella definitiva: se lo facciamo noi così invece ne bastano 2 o 3”.

Quando poi nella simulazione viene aggiunto il cervello umano, la demo diventa ancora più interessante: gli oltre due decenni di ricerca MIPS si concretizzano in un modello matematico che, come già per il casco, descrive il cervello in ogni sua parte, tenendo conto delle proprietà di ogni parte e "materiale", mostrando puntualmente le reazioni e i danni derivanti da ogni impatto. Scopo della demo è mostrare la versatilità del Virtual Test Lab, ma Isak Hampel Klang, il Computational Engineer responsabile di questa ultima sessione, ne approfitta anche per ribadire il concetto alla base del successo di MIPS: il test simulato su una superficie obliqua imprime una forte rotazione alla testa, e il sistema evidenzia conseguenze assai più gravi sul cervello di un colpo lineare impresso con uguale forza. Lo stesso test, ripetuto aggiungendo al casco virtuale la tecnologia di sicurezza MIPS, evidenzia una riduzione importante delle conseguenze post-impatto. 

Quasi come a dire: “Hai visto che avevamo ragione noi?”.