Primati in crisi, il 60% delle specie è a rischio estinzione

Lo dice una ricerca di 30 scienziati su oltre 500 specie di primati non umani: fino al 75% di loro sono in declino, mentre oltre il 60% in via d'estinzione

(Foto: Scott Olson/Getty Images)

Scott Olson

Trenta scienziati si sono messi all'opera per valutare lo stato di conservazione di oltre 500 specie di primati non umani di tutto il mondo. Secondo i risultati della ricerca, pubblicata sulla rivista Science Advances da parte di un team internazionale di scienziati della Durham University e di altri istituti di ricerca, le popolazioni del 75% di specie di scimmie, tarsi, lemuri e lori sarebbero “in declino”, e addirittura oltre il 60% “in via d'estinzione”. Le principali minacce per la loro sopravvivenza, secondo il team di ricercatori, sarebbero da identificarsi tutte in attività umane come la caccia, il commercio illegale, la deforestazione (che comporta una “perdita massiccia dell'habitat”), l’estrazione mineraria e di combustibili fossili.

Le foreste vengono distrutte e l'habitat dei primati viene trasformato e sfruttato per l’agricoltura industriale, lasciando di conseguenza queste specie senza un posto dove vivere”, spiega alla Bbc News Jo Setchell dalla Durham University, membro del team. “Dobbiamo ridurre il dominio umano sul pianeta e imparare a condividere lo spazio con altre specie”. Secondo lo studio, inoltre, altre concause sarebbero povertà e disordini civili nelle parti più povere del mondo, dove molte persone sono costrette a cacciare i primati per nutrirsi. “Abbiamo bisogno di concentrarci sullo sviluppo delle regioni più povere del mondo e assicurarci che le persone abbiano una fonte alternativa di proteine”, aggiunge Serge Wich, della John Moores University di Liverpool. L'esperto ha evidenziato che la perdita di specie di primati non umani sia una diretta conseguenza della riduzione delle foreste: “Si tratta di ecosistemi fondamentali per l’equilibrio ambientale”, continua Wich. “Sono indispensabili come riserve di carbonio per mitigare i cambiamenti climatici, per l'impollinazione e per la diffusione di semi di piante da frutto, importante per l'economia locale”.

Costretti così a vivere in zone sempre più ristrette sono diverse specie di lemuri e scimmie, come il lemure catta, il colobo rosso degli Udzunga, il presbite dalla testa bianca, la scimmia dal naso camuso dello Yunnan e il gorilla di Grauer, le cui popolazioni sono ormai ridotte a poche migliaia di individui. Inoltre, tra il 1985 e i 2007, l'orango di Sumatra ha perso il 60% del suo habitat. Secondo i ricercatori, diventa necessario implementare nuove misure per bloccare questo trend preoccupante, educando, per esempio, i consumatori a scelte più sostenibili, soprattutto in Occidente, per evitare di contribuire alla deforestazione tropicale. “Semplici esempi sono non comprare legno tropicale e non mangiare olio di palma [un tema ancora controverso, ndr]”, spiega Setchell. Più in generale, “abbiamo bisogno di sensibilizzare l'opinione pubblica locale, regionale e globale sulla situazione dei primati del mondo e quindi sulla salute degli ecosistemi, la cultura, e in ultima analisi la sopravvivenza umana. Nei paesi industrializzati, dobbiamo diminuire la domanda di risorse di cui non abbiamo bisogno e smettere di confondere il volere con le esigenze”.

Nonostante questi risultati preoccupanti, “alcune specie possono ancora essere protette”, ed è a loro che bisogna pensare, anche se “molte altre purtroppo scompariranno nei prossimi decenni”, spiega un altro autore dello studio, Eduardo Fernandez-Duque, della Yale University. “Brasile, Indonesia, Madagascar e Congo ospitano da sole i 2/3 delle specie di primati”, aggiunge Paul Garber, della University of Illinois, “agendo ora è possibile fermare e forse anche invertire il trend di estinzione globale”.