"Il corpo faccia quello che vuole. Io sono la mente". L'intervista di Paolo Giordano a Rita Levi Montalcini dal primo numero di Wired

Il fisico scrittore nel 2009 aveva incontrato il premio Nobel alla vigilia del suo compleanno. "E quando muore il corpo?", le chiedeva. "Sopravvive quello che hai fatto. Il messaggio che hai dato". Continuiamo a celebrare i 10 anni di Wired

Questo articolo è comparso originariamente nel numero uno di Wired Italia*, a marzo 2009, ed è il primo di una serie di 10 articoli* storici* della rivista, che vi riproponiamo per celebrare i nostri 10 anni*.

0.Ebri* Ebri sta per European brain research institute (Ebri). La brochure della fondazione riporta il testo a fronte in inglese e un bel ritratto di Rita Levi-Montalcini in seconda pagina: una mano nascosta dietro la nuca e niente orecchini. Un accenno di sorriso, o forse no. L’ho studiata a lungo senza decidermi.

“Nel 2001 ho avuto quest’idea – mi spiega –, mi sono chiesta: in che cosa l’Italia ha sempre primeggiato? Nelle neuroscienze. Nel Settecento Galvani e Volta scoprirono l’elettricità animale; a fine Ottocento Golgi inventò la colorazione con l’argento delle cellule nervose; Vittorio Erspamer riuscì a isolare la serotonina e altri neurotrasmettitori, e Giuseppe Levi, il mio professore, fu tra i primi a sperimentare la coltura in vitro”.

Rita Levi Montalcini – aggiungo io – ha scovato il Nerve growth factor (Ngf), per il quale ha preso il Nobel nel 1986.

Dice: “**Allora perché non fondare un istituto per le neuroscienze? La cosa ha preso fuoco. Tutte le regioni italiane si sono candidate e alla fine l’ha spuntata Roma, perché aveva a disposizione la struttura adatta”.

L’Ebri è un ente senza scopo di lucro. Uguale: è sempre con l’acqua alla gola. Al fondo della brochure trovo gli estremi per le donazioni a sostegno e le istruzioni per devolvere il 5 per mille. Nel 2007 la Lega Nord ha proposto un emendamento alla finanziaria per tagliare i fondi alla fondazione. Levi Montalcini, senatrice a vita, ha scelto di non votare per conflitto d’interessi.

Dice: “**Con l’Ebri stiamo raggiungendo risultati ottimi. È un centro internazionale, libero dalle logiche che regolano gran parte della ricerca in Italia. Assumiamo solo ricercatori eccellenti”.

L’emendamento della Lega è stato respinto.

1.Anatre, pascoli e smottamentiAl tassista dico “Ebri”, ma lui non sa cos’è. Allora specifico la via e lui la imposta sul navigatore. Poi ribatte che, secondo il navigatore, via del Fosso di Fiorano non arriva al 64, si ferma al 10. Ho comprato dei fiori, stanno poggiati sul sedile posteriore. Percorriamo un pezzo della Cristoforo Colombo, poi c’infiliamo nella strettoia dell’Appia antica e da lì sbuchiamo sull’Ardeatina. Mi viene da pensare che la strage delle Fosse Ardeatine è soltanto una delle innumerevoli che Rita Levi Montalcini ricorda.

“Dev’essere quello là”, indico al tassista una costruzione bianca. Intorno è campagna. C’è un gregge di pecore al pascolo, grigie sotto un cielo dello stesso colore. All’ingresso dell’Ebri i due guardiani mi squadrano, forse per via del mazzo di fiori.

Incontro Elisabetta Balestrieri, che all’istituto ha, tra l’altro, il compito ingrato di reperire i fondi per la ricerca: “**La Professoressa non è ancora arrivata”.

Penso che Professoressa, per Montalcini, lo scriverei con la maiuscola. Attendo in corridoio e infine lei arriva. Un signore l'accompagna, ma lei cammina da sola. Procedono a piccoli passi. Se fossi un regista filmerei questa scena esattamente come la sto vedendo, in campo lungo, senza muovere la macchina da presa, senza sonoro. Non taglierei neppure un fotogramma di Rita Levi Montalcini che procede esattamente al centro del corridoio bianco. La lentezza e l’ostinazione con cui questa signora aggraziata – “grazia”, ecco la parola che mi turbina in testa per tutto il nostro incontro, e anche dopo – si avvicina a me, sarebbero la sequenza perfetta per raccontare i suoi cento anni.

Cento. Anni.

Mi raggiunge, ci presentiamo, sorride, io già sorridevo. Le porgo i fiori e lei ringrazia. Ci accomodiamo nel suo studio, dove sono appesi i quadri ipnotici della sorella Paola. Comincia la Professoressa, come a fugare un mio dubbio banale: “**A me nella vita è riuscito tutto facile. Le difficoltà me le sono scrollate di dosso, come acqua sulle ali di un’anatra”.

Ecco.

2.Due cervelliSta scrivendo un nuovo libro. E questa è la prima sorpresa. Diamo per scontato che a cento anni ci si porti addosso più passato che futuro, ma la Professoressa non comincia dalla guerra o dal Nobel o dal suo soggiorno statunitense: comincia dal libro che sta scrivendo.

Dice: *“*Non so se piacerà agli altri quanto piace a me. Te lo racconto brevemente. Quello che in molti ignorano è che il nostro cervello è fatto di due cervelli. Il primo è un cervello arcaico, limbico, localizzato nell’ippocampo, non si è praticamente evoluto da tre milioni di anni fa a oggi e non differisce molto tra l’homo sapiens e i mammiferi inferiori. È un cervello piccolo, ma possiede una forza straordinaria, controlla tutte le emozioni. Ha salvato l’australopiteco quando è sceso dagli alberi, permettendogli di fare fronte alla ferocia dell’ambiente e degli aggressori. L’altro cervello è quello cognitivo, molto più giovane. È nato con il linguaggio e in centocinquantamila anni ha vissuto uno sviluppo straordinario, specialmente grazie alla cultura. Si trova nella neo-corteccia. Purtroppo, buona parte del nostro comportamento è ancora guidata dal cervello arcaico. Tutte le grandi tragedie – la Shoah, le guerre, il nazismo, il razzismo *– sono dovute alla prevalenza della **componente emotiva *su quella cognitiva. E il cervello arcaico è così abile da indurci a pensare che tutto questo sia controllato dal nostro pensiero, quando non è così”.

Provo a obiettare che, se ho capito bene, nel cervello arcaico non è annidato solo il male, ma dovrebbero risiederci anche l’amore, la passione, l’affettività. Montalcini accoglie l’osservazione con una certa freddezza. Non sembra interessarle molto.

Dice: “**Sì, la componente emotiva non è solo pessima”.

3.Futuro?Rita Levi Montalcini fatica a vedere, ma mentre parla ti guarda sempre. Sbatte le palpebre a una frequenza che è la metà, forse un terzo della mia, come se il suo tempo scorresse un po’ più lento.

*“Il cervello arcaico ha salvato l’australopiteco, ma porterà l’*homo sapiens all’estinzione. La scienza ha messo in mano all’uomo potenti armi di distruzione. La fine è già alla portata”. È seduta composta. Indossa un abito dei suoi, completamente nero, che scende fino alle caviglie. Le spalline sporgenti sembrano mimare l’acconciatura ondulata dei capelli, divisi in due emisferi. Al centro del petto una complicata spilla d’oro.

Provo ad approfondire: “**Supponiamo che tutto vada bene e che per un po’ non ci estinguiamo. Cosa arriva dopo l’homo sapiens?”.

Ma lei si ritrae: “**Non sono una futurologa. Posso solo vedere quello che capita oggi. Il passato lo conosco. Il futuro... speriamo”.

Poi fa una pausa. Si sporge verso di me: “**Paolo, come vedi il tuo futuro?”.

4.Troppi cervelliRLM: “**Bisognerebbe spiegarlo ai giovani, dei due cervelli. I giovani di oggi si illudono di essere pensanti. Il linguaggio e la comunicazione danno loro l’illusione di stare ragionando. Ma il cervello arcaico, maligno, è anche molto astuto e maschera la propria azione dietro il linguaggio, mimando quella del cervello cognitivo. Bisognerebbe spiegarglielo”.

Io: “*Lei ha idea...”*

RLM: *“*Paolo, dammi del tu. Altrimenti...”

Tentenno. Riparto.

Io: “**Tu hai idea del perché i giovani oggi avvertano un così forte senso di minaccia riguardo al futuro? A pensarci bene, ci sono state epoche storiche più drammatiche di questa, anche tra quelle che tu hai vissuto”.

RLM: Più che una minaccia, avvertono la precarietà in tutto. C’è una difficoltà nel rendersi conto che il nostro comportamento è molto complesso, che il cervello è fatto di tante componenti. E c’è una difficoltà nel vedere in ogni catastrofe la possibilità di un rovesciamento. Forse io sono un’innata ottimista, ma penso che ci sia sempre qualcosa che ci salva. Le leggi razziali [nel 1938, ndr] si sono rivelate la mia fortuna, perché mi hanno obbligata a costruirmi un laboratorio in camera da letto, dove ho cominciato le ricerche che mi hanno in seguito portato alla scoperta dell’Ngf”.

Un paio d’ore più tardi rivolgo la stessa domanda a due dei più brillanti ricercatori dell’Ebri: Alberto Bacci (neurobiologo, 39 anni, laurea e Phd a Milano, sei anni a Stanford, ora a tempo indeterminato presso l’Ebri) e Hélène Marie (34 anni, francese, laurea a Edimburgo, Phd a Londra, poi Stanford, ora a tempo indeterminato presso l’Ebri). Sono entrambi responsabili di un progetto di ricerca. Quando arrivo a disturbarli, stanno commentando dei dati su un monitor. Ci disponiamo a triangolo, su sedie con le rotelle. A volte Alberto Bacci (AB) e Hélène Marie (HM) parlano l’uno sull’altra, a volte tacciono insieme oppure si concludono le frasi a vicenda. Senza che io lo specifichi, restringono la risposta all’ambito lavorativo.

AB: “**Ci sono due questioni: una intrinseca al tipo di lavoro e una legata al sistema-Italia”.

HM: “**Non solo Italia. In Francia c’è la stessa ansia”.

AB: “**L’intrinseca è che questo non è un lavoro dove solo i più bravi possono eccellere e fare la differenza. Allora l’ansia ti viene dalla domanda: quanto sono bravo io? Quanto mi merito di andare avanti e prendere finanziamenti? A ogni pubblicazione ci si rimette in gioco completamente e ci si fa valutare dalla comunità internazionale. La seconda viene dal fatto che questo lavoro solitamente non è ben retribuito e non ci sono sbocchi di carriera facile. E c’è una gerontocrazia al potere. In America puoi dire “ci provo”, se poi sei bravo corri, altrimenti vai a fare altro. In Italia ci si ammanetta alla ricerca e, se poi le cose non vanno, si vive con una forte frustrazione”.

HM: “**C’è anche un problema più generale, occidentale, legato alla crisi che viviamo tutti. Io la vedo in un fatto molto concreto: ho uno stipendio buono, ma con due bambini non posso comprare una casa”.

5.IpaziaIpazia visse ad Alessandria d’Egitto, a cavallo fra il terzo e il quarto secolo d.C. Fu inventrice dell’astrolabio e del planisfero e insegnò filosofia per le strade della città. Divenne così amata e popolare da destare l’invidia del vescovo Cirillo, che la fece uccidere da un gruppo di cristiani fanatici. Ipazia venne fatta a pezzi – fatta a pezzi – con dei cocci, i brandelli del suo corpo bruciati.

Tutto questo lo scopro dopo.

Ma quando domando a RLM se la condizione delle donne nella ricerca è ancora quella disastrosa che negli anni Ottanta descrisse in Elogio dell’imperfezione (Garzanti), lei mi parla di Ipazia, dando del tutto per scontato che io conosca la storia.

Dice: Dall’epoca di Ipazia a oggi si è detto che il maschio è geneticamente superiore alla donna nelle scienze, ma non è così. Geneticamente uomo e donna sono identici. Non lo sono dal punto di vista epigenetico, di formazione cioè, perché lo sviluppo della donna è stato volontariamente bloccato. Nel mio libro Le tue antenate [Gallucci, ndr] presento settanta casi di donne-genio, a partire da Ipazia. È vero, sono poche, ma nel passato la cultura era accessibile solo a una ristretta élite e alle donne ebree, perché tra gli ebrei la cultura era così amata che superava la differenza di sesso”.

E ora?

Dice: Ora la situazione è migliorata. Non come vorrei, ma è migliorata. Però solo in quella parte di mondo che possiamo considerare civilizzata. In Africa ci sono migliaia di donne intelligenti che non hanno la possibilità di usare il cervello. Tutto quello per cui io mi impegno in Africa (con la Fondazione Rita Levi Montalcini, ndr) è l’istruzione. Abbiamo dato in poco tempo 6700 borse di studio, che coprono le spese dall’età infantile a quella post-universitaria. Non è molto, ma è già qualcosa. A vent’anni volevo andare in Africa a curare la lebbra. Ci sono andata da vecchia, ma per curare l’analfabetismo, che è molto più grave della lebbra”.

Nella brochure dell’Ebri e per i corridoi della Fondazione ho visto soprattutto donne, molte giovani. Le domando se per loro è facile conciliare la ricerca con una vita... non mi viene come definirla, per cui uso l’aggettivo più orribilmente preciso: "famigliare".

Rita Levi Montalcini, di nuovo, non si accende su quella parola.

Dice: “**Sono tutte ragazze eccellenti. Alcune sposate, altre divorziate, altre conviventi. Non importa. Sono ottime. Vedi, perché questo? Perché la donna è stata bloccata per secoli. Quando ha accesso alla cultura è come un’affamata. E il cibo è molto più utile a chi è affamato”.

Si narra che un giovane allievo di Ipazia si innamorò di lei. La filosofa ci tenne a mostrargli un telo imbrattato di mestruo. Gli disse: “**Questo, dunque, ami, o giovane. Niente di bello”.

6.Lunga vita al Nerve Growth FactorFrancesca Malerba (31 anni, laurea in biotecnologie e Phd a Roma, breve esperienza “che ricordo come un incubo» in una ditta farmaceutica, ora borsista presso l’Ebri) ha un piccolo spazio per sé in un laboratorio al primo piano. Sul salvaschermo del suo computer scorrono fotografie del Salento. “**Lo studio del sistema nervoso e del cervello è un campo affascinante, ti permette di fare riflessioni anche al di là del tuo ambito di ricerca”.

Mi mostra la ricostruzione della struttura cristallografica del Nerve growth factor (Ngf) e del suo precursore, appese come quadri formato A4 nel laboratorio. Sembrano macchie di Rorschach, colorate in rosso e blu. Francesca mi parla di foglietti beta e di loop. Io non capisco. Tento un’osservazione intelligente, indico il precursore e dico: “**È simmetrico”. «Sì, ma potrebbe anche non esserlo”.

RLM non si è annoiata della sua scoperta.

Dice: “**Quello che abbiamo scoperto qui è che l’Ngf è presente anche nell’ovocita e nello spermatozoo. È presente in ogni fase della vita. Abbiamo provato che, dando l’anti-Ngf alle cavie, sia prima che dopo la nascita dell’organismo, queste vivono, ma per brevissimo tempo. L’Ngf è molto di più di una molecola proteica di grande attività. È una molecola vitale. Senza di lei la vita si ferma”.

Lo stabulario è al piano di sotto. I topolini corrono in tondo nelle loro gabbiette, salgono uno sull’altro, con i loro cervelli piccoli e necessari. Chiedo a Rlm come si può far capire alla gente l’importanza degli studi sull’Ngf.

Dice: “**Abbiamo già dimostrato sui topi che la somministrazione di Ngf blocca l’avanzare dell’Alzheimer. E l’Ngf potrebbe rivelarsi utile anche nella cura di altre malattie neurodegenerative, come il Parkinson e la sclerosi laterale amiotrofica. Ma produrre Ngf artificialmente ha costi enormi e le ditte farmaceutiche non lo faranno fino a che noi non forniremo la certezza del metodo”.

Simona Capsoni (43 anni, laurea in veterinaria, Phd in chemioterapia), che incontro in corridoio mentre trasporta delle piccolissime provette appoggiate sul ghiaccio, mi spiega che i topolini con Alzheimer, se prendono dal naso l’Ngf in gocce, riacquistano la memoria.

7.Cent’anni di futuroIo: “**Dai tuoi libri mi sono reso conto di come tu abbia una visione globale della scienza, con competenze anche in altri campi, come la fisica, la matematica. Oggi non sembra più possibile”.

RLM: “**Non è passato un secolo dai miei tempi. Sono passati molti secoli. Uno sviluppo tecnologico come quello odierno era impensabile cinquanta o sessant’anni fa. Ma la tecnica non basta. Serve una visione più ampia. I giovani oggi hanno grandi capacità, ma dal punto di vista culturale sono piuttosto bassi”.

Io: “**L’età, gli impegni e anche i grandi riconoscimenti non hanno un po’ affievolito la tua fame di scoperta?”.

RLM: “**Al contrario. L’hanno accresciuta. Io ho ottimi rapporti con le giovani che lavorano qui, perché sentono che posso aggiungere qualcosa che manca alla loro formazione: l’intuito”.

Io: “**Com’è la vita a cento anni?”.

RLM: *“*Ho perso un po’ la vista, molto l’udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent’anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente”.

Io: “**E quando muore il corpo?”.

RLM: “**Quando muore il corpo, sopravvive quello che hai fatto. Il messaggio che hai dato”.

Pausa.

RLM: *“*Paolo, come vedi il tuo futuro?”

Io: ...”

RLM: ...”

Io: *“*Volevo ancora chiederti dei vestiti. Dove li prendi, così eleganti?”.Rlm: “È un lato debole della mia personalità. Non ho mai tentato di camuffare gli anni: le rughe ci sono e non le nascondo. Ma mi è rimasta questa piccola forma di vanità. Ne soffro, a volte”.

Arrossisce appena.

Potrei giurarlo.