Come nascono le allucinazioni

Le esperienze pregresse modificano le nostre capacità di fare previsioni su immagini o contesti ambigui. Un’abilità che, potenziata, potrebbe spiegare la comparsa delle allucinazioni

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(foto: Corbis)[/caption]

Com’è possibile riuscire a vedere cose che in realtà non esistono? Qualche indizio in più sul fenomeno delle allucinazioni arriva oggi da uno studio della Cardiff University e della University of Cambridge, secondo cui la loro origine sarebbe riconducibile a un’esagerazione della nostra normale capacità di interpretare il mondo facendo uso delle nostre esperienze pregresse e delle nostre attese.

Per capire di cosa stiamo parlando, facciamo un esempio: immaginiamo di entrare in una stanza e di vedere, per pochissimo tempo, una piccola ombra che scompare dietro il divano. Il nostro sistema visivo ha catturato troppe poche informazioni per essere realmente certo di cosa abbia visto, eppure la nostra esperienza pregressa ci porta a credere che molto probabilmente abbiamo appena visto un gatto. Probabilmente ma non certamente, perché le informazioni in nostro possesso sono ambigue e quel che abbiamo visto è frutto di un lavoro creativo più che reale, basato anche su quel che ci aspettiamo di vedere.

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Evolutivamente parlando questa capacità predittiva è importantissima, perché ci permette di dare senso a delle situazioni spesso di per sé incomplete o complesse. Ma secondo gli scienziati del Regno Unito questo significa anche che a volte potremmo percepire cose che effettivamente non ci sono, ovvero avere un’allucinazione. Un fenomeno che patologicamente, è comune per esempio nelle persone che soffrono di disturbi psicotici, ma in forme più lievi non è così raro anche a chi non soffre di disturbi mentali, ammettono gli autori dello studio in questione.

Per capire più a fondo il legame tra allucinazioni e psicosi, e per comprendere se effettivamente questo processo predittivo fosse più attivo in chi soffre di disturbi psicotici, gli scienziati hanno condotto un esperimento. Sono state arruolate alcune persone con segni precoci di psicosi e altre no; a tutte è stato chiesto quindi di cercare di identificare la presenza o meno di persone in immagini in bianco e nero, all’apparenza casuali e rappresentanti poco più di una serie di macchie. In un secondo momento è stato chiesto loro di rifarlo, dopo aver visto delle immagini a colori, complete, corrispondenti ad alcune delle prime mostrate. Per capirsi: un po’ come se vi mostrassimo queste foto in successione, e poi di nuovo la prima.

Rivedendo le immagini in bianco e nero le persone con segni precoci di psicosi erano più brave del gruppo controllo a identificare quelle con le persone. Questo perché, sostengono i ricercatori, la supposta maggiore capacità di fare predizioni nei soggetti con segni di psicosi è un vantaggio in questo caso. In termini più generali nelle persone con segni di disturbi psicotici o propensi a svilupparli la percezione visiva favorisce le conoscenze preacquisite al posto delle evidenze sensoriali, come difetto nel processamento delle informazioni.

“Questi risultati sono importanti perché, non solo ci dicono che l’emergere dei sintomi chiave delle malattie mentali può essere interpretato in termini di un alterato equilibrio nelle normali funzioni cerebrali”, ha commentato Naresh Subramaniam della University of Cambridge, tra gli autori del paper: “Ma ci dicono anche che questi sintomi e le esperienze non riflettono un cervello guasto, ma piuttosto uno che si sforza - in un modo molto naturale - di dare un senso ai dati in ingresso che sono ambigui”.* *